Lale Gül, 23 anni, ha già ricevuto più di settanta minacce di morte solo per aver scritto un libro sulla sua vita. La polizia è riuscita a identificare e arrestare due delle persone che le hanno augurato la morte su Instagram e su altri social network. Fanno parte del movimento Sharia4Belgium.
Gül è nata nei Paesi Bassi. Figlia di genitori turchi molto religiosi e conservatori, è cresciuta a Kolenkitbuurt, un quartiere nella parte ovest di Amsterdam abitato per l’85 per cento da immigrati. A dodici anni ha cominciato a portare il velo. Nei fine settimana frequentava una scuola coranica del movimento islamico turco Millî Görüş, che ha posizioni non particolarmente favorevoli all’integrazione, ma a scuola ha fatto amicizia con i compagni di classe olandesi, conoscendo da vicino la loro idea di libertà. Frequentava la biblioteca del suo quartiere e leggeva libri che le facevano scoprire il mondo. A 16 anni è uscita di nascosto con il suo primo ragazzo, un olandese bianco. A 18 anni si è tolta il velo e ha rifiutato un matrimonio combinato.
La sua famiglia è caduta dalle nuvole, ma era solo l’inizio, perché Lale Gül ormai aveva deciso di seguire la sua strada. All’università si è iscritta a lettere e ha scritto un libro sulla sua storia intitolato Ik ga leven (Voglio vivere). È un romanzo coraggioso, feroce e a tratti divertente. È in classifica tra i best seller olandesi da settimane. Dire che il libro ha suscitato scalpore sarebbe un eufemismo. Gül ha toccato un tasto sensibile e oggi tutta l’Olanda parla di lei.
La sua famiglia è sconvolta: “Come hai potuto farci questo?”, le hanno chiesto i genitori. I colleghi, i vicini, i fedeli della moschea che frequenta e i parenti in Turchia hanno cominciato a tormentare suo padre e sua madre, per tentare di capire cos’era andato storto nell’educazione della figlia.
Geert Wilders, populista di estrema destra e leader del Partito per la libertà, l’ha definita una “ragazza turca coraggiosa” che ha ricevuto delle minacce per essersi ribellata all’islam. Secondo il politico, Gül è la prova che “l’islam turco non si adatta ai Paesi Bassi”. Da quando Geert Wilders si è espresso in suo favore, la sinistra accusa Gül di fare gli interessi dei populisti di destra. Arnoud van Doorn, un ex militante del partito di Wilders, convertito all’islam e figura ambigua della politica olandese, ha accusato la donna di blasfemia.
Comunque, oltre alle decine di messaggi con minacce e foto di armi e agli inni di battaglia islamisti che ha ricevuto, la scrittrice può contare anche su tante email d’incoraggiamento: “Mi ci ritrovo, anche io ho vissuto la stessa identica cosa”, le scrivono delle ragazze e molti gay che come lei provengono da famiglie musulmane molto religiose. “Loro sono la mia forza. E le loro parole mi fanno capire che non sono io ad aver perso la testa”, dichiara Gül dalle stanze della sua casa editrice di Amsterdam, che si trova sull’Herengracht.
Per essere una che ha appena rivoluzionato la sua vita, la scrittrice sembra incredibilmente calma, come se guardasse da fuori il subbuglio che l’ha sconvolta. A marzo se n’è andata dalla casa dei genitori. “Gli ho detto che sono libera di scrivere quello che mi pare, ma loro non capiscono davvero il concetto di libertà o di libertà d’espressione”, racconta. “Mi hanno chiesto se ero pazza”. E hanno aggiunto che era la peggior cosa che potesse succedergli.
◆ 1997 Nasce ad Amsterdam, nei Paesi Bassi, figlia di immigrati turchi musulmani. Riceve un’educazione molto conservatrice.
◆ 2015 Smette d’indossare il velo e rifiuta un matrimonio combinato. Si iscrive alla facoltà di letteratura.
◆ febbraio 2021 Pubblica il romanzo autobiografico Ik ga leven, in cui racconta la sua infanzia e la sua ribellione. Alcuni estremisti islamici la minacciano di morte.
◆ marzo 2021 A causa dei forti contrasti con la famiglia decide di andarsene di casa.
Tutti contro di me
Lale Gül descrive questo dramma familiare con toni molto contenuti, ma s’intuisce la violenza che l’ha caratterizzato. “Non ho neanche cercato di difendermi. Avrei solo peggiorato le cose, erano tutti contro di me, anche i vicini. Non potevo neanche più andare al supermercato, mi fissavano tutti. Due ragazzi marocchini una volta mi hanno sputato addosso. Non potevo più vivere in quel quartiere”. Se è riuscita a resistere tanto tempo è solo per amore della sua sorellina di dieci anni. Gül teme che per lei sarà ancora più difficile. “Ora i miei genitori sanno tutto quello che ho fatto io e con lei saranno ancora più severi”.
Oggi Gül vive in un luogo segreto. Non esce più da sola. Sta trattando per un adattamento cinematografico del suo libro ma ha paura che l’impatto di un film sarà ancora più violento. Soprattutto perché Büsra, la protagonista del suo romanzo, fa solo cose che sono vietate dall’islam, come andare alle feste o fare l’amore. Con un film le reazioni si farebbero certamente sentire.
Alcuni la considerano già la nuova Ayaan Hirsi Ali, la militante critica verso l’islam che lavorò insieme al regista Theo van Gogh, ucciso nel 2004 ad Amsterdam da un estremista islamico. Anche Ayaan Hirsi Ali fu vittima di minacce e vive ormai da molti anni negli Stati Uniti. “Non avrei mai voluto ritrovarmi in una situazione simile, ma tutti mi vedono così. Io ho solo scritto la mia storia. Non avrei mai pensato di diventare la nuova Ayaan Hirsi Ali, mentre tutti oggi mi dicono che sono come lei”, racconta Gül. Il successo di Ik ga leven la costringe a ricoprire un ruolo che non è ancora convinta di voler impersonare. Sui motivi che l’hanno spinta a scrivere il libro, Gül racconta che i suoi amici non musulmani continuavano a chiederle perché non andava alle feste o in spiaggia, o perché portava il velo (quando lo portava). A un certo punto si era detta: “Visto che passo il tempo a giustificarmi, forse dovrei scrivere un libro per farmi capire da tutti”. L’accoglienza ricevuta dalla sua opera la rincuora. “Gli insegnanti che lavorano nei quartieri come il mio mi dicono che hanno visto quello che succedeva lì e che ora capiscono meglio molte cose. Era proprio questo il mio obiettivo”, dice.
Secondo Gül la storia delle musulmane è stata trascurata dalla letteratura dei Paesi Bassi: “Siamo in tante, ma non siamo nei libri”. E neanche il rapporto dell’islam con le donne viene mai affrontato: “Se tiri fuori il problema, sei immediatamente etichettata come una di destra”. Una persona moderata può convincersi che alle musulmane piaccia indossare il velo e che sia addirittura una sorta di simbolo femminista. E se contesti questa idea, dice Gül, sei accusata di razzismo.
Ma non è razzismo, aggiunge. “Quando fuori fa caldo e tutti hanno voglia di andare in spiaggia, quale donna si metterebbe una tunica lunga e un velo? Nessuna. Lo fanno perché è un’usanza culturale e sociale, perché è una regola religiosa. Per questo non si può andare alle feste o avere un ragazzo che non sia musulmano. È solo a causa della religione e della cultura, ma non si può dire. Così ho deciso di raccontare queste cose nel romanzo”.
L’etichetta di islamofobica che le hanno affibbiato non la farà smettere. “Mi dà fastidio che le persone pensino che io sia di destra solo perché quello che penso non gli interessa. Non vogliono capire, hanno solo bisogno di dividere il mondo in buoni e cattivi”. Con il cinismo che la contraddistingue, Gül sintetizza la situazione paradossale in cui si trova: è turca, quindi non può essere etichettata come razzista, ma questo non fa di lei una “brava” persona, perché le sue idee potrebbero alimentare la discriminazione nei confronti dei musulmani.
Niente stereotipi
Una sua amica olandese che frequenta un musulmano un giorno le ha chiesto come avesse potuto scrivere un libro che rafforzava lo stereotipo secondo cui i musulmani sono degli oppressori e le musulmane delle oppresse. Gül le ha risposto: “Ma cosa ti aspettavi, che non raccontassi la mia storia perché tu potessi proporne una più positiva?”.
Gül non pensa che la sua storia sia universale. “Su questo punto sono chiara: io parlo dei miei genitori, che non sono neanche andati a scuola. Vengo da una famiglia conservatrice e ho frequentato le lezioni del movimento Millî Görüş”. Eppure la accusano di diffondere stereotipi sui turchi. “Non ho mai detto che questo vale per tutti i musulmani”, risponde. Al tempo stesso chi la critica cerca di presentarla come l’eccezione assoluta. “La mia non è una storia così eccezionale. Ho raccontato quello che succede a tante ragazze che conosco”. ◆ cp
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Questo articolo è uscito sul numero 1427 di Internazionale, a pagina 76. Compra questo numero | Abbonati