È stato un grande giorno per i 120 giovani politici africani. Dopo aver seguito un corso intensivo in una scuola per quadri di partito in Tanzania, hanno mandato una lettera di ringraziamento allo sponsor della scuola: il “compagno” Xi Jinping.

Con loro grande sorpresa, il capo di stato cinese ha risposto. Xi è stato “lieto di sapere che il workshop è stato un successo”. Ha notato che gli studenti hanno “discusso argomenti importanti, come il tipo di sviluppo verso cui un partito di governo deve guidare il suo paese nella nuova era”. Ha chiesto ai giovani politici di tenere a mente la grande responsabilità e la missione che hanno.

“La Cina e l’Africa appartengono a una società con un futuro comune, che condividerà prosperità e preoccupazioni. La speranza di un’amicizia duratura tra i popoli cinesi e africani poggia sulle giovani generazioni”, aveva scritto Xi in risposta, come riportato dall’agenzia di stampa governativa Xinhua.

Alla scuola tanzaniana, la Mwalimu Julius Nyerere leadership school, la lettera, scritta nel 2022, è stata letta e riletta più volte. L’ultima è stata nel giugno 2023, quando un nuovo gruppo di reclute provenienti da sei paesi africani ha partecipato ai corsi di formazione. Hanno studiato le idee e le strategie del Partito comunista cinese. Il concetto di fondo è la fusione tra partito e stato, per cui il partito e l’apparato statale si sovrappongono, controllando la società nella sua interezza.

Che la Cina cerchi di trasferire nel resto del mondo alcune forme del suo governo autoritario è una novità significativa secondo gli esperti internazionali intervistati da Politiken e dall’agenzia di stampa statunitense Axios, che hanno visitato la scuola. Questo sforzo contraddice alcune dichiarazioni fatte in passato da Xi, per cui la Cina non intendeva esportare il suo modello politico.

Daniel Mattingly, esperto di politica cinese all’università statunitense di Yale, osserva: “Negli ambienti accademici finora si esitava a dire che la Cina stava provando a diffondere all’estero il suo autoritarismo. Perciò, è una novità rilevante che da questa scuola escano studenti convinti che serva ‘un modello di stato a partito unico, come il Partito comunista cinese’”.

L’esistenza di questa scuola è particolarmente degna di nota anche da un punto di vista danese. Per cinquant’anni la Tanzania è stata “la migliore amica” africana della Danimarca, il paese a cui Copenaghen ha versato più aiuti allo sviluppo: almeno 1,8 milioni di euro, di cui una parte consistente doveva servire a rafforzare la democrazia.

La Mwalimu Julius Nyerere leadership school si trova a Kibaha, a un’ora e mezza da Dar es Salaam. È frutto della collaborazione tra il Partito comunista cinese e sei formazioni politiche africane con una storia simile: tutte sono nate da movimenti che nel novecento lottarono per l’indipendenza dalle potenze coloniali e la ottennero. All’ingresso spicca una frase di Julius Nyerere, il padre fondatore della Tanzania. È un invito a decolonizzare la mente: “Imparare bene la storia significa superare i mali primitivi dell’imperialismo e del pensiero razzista”.

I sei partiti africani hanno un’altra caratteristica in comune: arrivati al potere, non l’hanno più lasciato, anche se formalmente sono a capo di democrazie parlamentari. Oltre al partito al governo in Tanzania, Chama Cha Mapinduzi (Ccm), ci sono l’African national congress del Sudafrica, il Frelimo del Mozambico, l’Mpla dell’Angola, la Swapo della Namibia e lo Zanu-Pf dello Zimbabwe.

Rigore ideologico

La scuola è stata finanziata e costruita dalla Cina, ed è costata circa 35,5 milioni di euro. È un edificio imponente, color marrone chiaro, con quasi trecento stanze, aule per le lezioni, sale riunioni, una lavanderia, una sala per i rinfreschi, campi da calcio e basket. Lo scorso giugno la struttura ha ospitato 160 politici e funzionari africani per un corso di dieci giorni. Alla cerimonia di apertura gli studenti ballavano con le uniformi colorate e cantavano inni politici, mentre i funzionari cinesi applaudivano e filmavano l’evento.

Tra i partecipanti c’era Collin Ngujapeua della Swapo, dalla Namibia. È rimasto colpito dalla “purezza” ideologica e dal “rigore” dell’insegnamento, affidato a funzionari cinesi: “Io, Collin, non sono superiore al partito. Il partito è superiore a me. La disciplina è molto importante, specialmente tra i giovani”.

La presidente tanzaniana Samia Suluhu Hassan e il leader cinese Xi Jinping. Pechino, Cina, 3 novembre 2022 (Amadeja Plankl, Imago/Alamy)

Ngujapeua è coordinatore distrettuale a Okakarara, una cittadina di settemila abitanti. Vede il suo futuro in politica, nei ranghi della Swapo, che governa la Namibia dall’indipendenza, nel 1990. È affascinato dall’idea della fusione tra partito e stato, che dovrebbe cominciare dall’alto e arrivare “alla base”: “In Namibia questo non succede. La Swapo governa, ma non ha il controllo totale. Dobbiamo ripartire da capo e lavorare mano nella mano, partito e governo. È quello che fanno in Cina, dove il capo del partito e quello del governo sono la stessa persona. È uno degli aspetti su cui dobbiamo concentrarci”.

In Namibia, un paese grande quasi quanto la Francia e la Germania messe insieme, è difficile raggiungere i villaggi più sperduti. Inoltre la popolazione, in gran parte formata da giovani, è in rapida crescita. In Cina, invece, il Partito comunista ha occhi e orecchie anche nel più piccolo centro abitato.

Ngujapeua cita anche la campagna anticorruzione di Xi Jinping, che avrebbe ripulito il partito da elementi corrotti e sleali. In un compito Ngujapeua ha scritto di voler “eliminare le tigri”, “schiacciare le mosche” e “braccare le volpi” in Namibia. Sono parole che ricalcano quelle di Xi.

Queste osservazioni fanno riflettere, afferma Richard McGregor, un esperto di politica cinese del centro studi australiano Lowy institute: “Mi colpisce soprattutto il desiderio di avere il controllo al cento per cento, che è anche l’ambizione della Cina. Uno dei princìpi fondamentali del Partito comunista cinese è che non può esistere un potere indipendente. Non ci sono ong né comitati locali indipendenti. In passato la Cina ha sperimentato un certo grado di autonomia nei villaggi, ma oggi è tutto finito. Est, ovest, nord, sud: il partito controlla tutto. Quindi è interessante che alla scuola del partito insegnino che non si deve controllare solo il governo centrale, ma anche tutto quello che sta sotto”.

L’ambasciata cinese a Washington respinge le critiche. “Il Partito comunista e le forze politiche in Africa imparano scambiandosi esperienze di governo e si sostengono a vicenda nel progetto di sviluppo più adatto alle rispettive condizioni nazionali”, ha risposto per email il portavoce Liu Pengyu. “Non cerchiamo di esportare il nostro sistema. Le relazioni esterne del Partito comunista non sono guidate dalle ideologie. I partiti stranieri e i paesi di buona volontà sono tutti invitati a confrontarsi con il Partito comunista”.

Senza invito

I corsi di formazione politica in Africa non sono un’invenzione cinese. Anche la Danimarca e altri paesi occidentali cercano di diffondere le idee su come si governa. In Tanzania l’organizzazione Mellemfolkeligt samvirke (ActionAid Danimarca) gestisce una scuola superiore che avvicina i giovani politici ai temi della democrazia e del rispetto dell’ambiente. Lo stato danese ha promosso diversi programmi, tra cui uno per riformare il sistema fiscale. Quando il comico danese Jan Gintberg ha visitato il paese africano nel 2014 per un programma tv, ha incontrato Rished Bade – all’epoca direttore dell’agenzia delle entrate locale – che si è mostrato grato, ma anche sorpreso: “Non credo ci sia un posto al mondo dove la gente ami le tasse. Ho saputo che in Danimarca la parola per tasse è skat, la stessa per tesoro. È vero?”, ha chiesto Bade con gli occhi che gli scintillavano.

Funzionari e politici africani sono stati invitati in Danimarca. Hanno soggiornato in hotel eleganti, assistito alle elezioni e seguito i dipendenti comunali danesi sul lavoro. Hanno partecipato anche a corsi sulla risoluzione dei conflitti.

Esibizione di wushu a Dar es Salaam, Tanzania, novembre 2014 (Zhang Ping, Imago/Alamy)

Tra di loro c’era Reginald Munisi, dirigente di Chadema, il più grande partito d’opposizione in Tanzania. È tanto entusiasta della formazione che ha ricevuto in Danimarca quanto preoccupato per quella cinese : “In Danimarca mi hanno insegnato come noi, come partito, possiamo evitare di cadere nelle trappole che ci vengono tese. Ho imparato ad analizzare le strategie elettorali del governo e a non alimentare i conflitti che stanno cercando di innescare”.

Secondo le valutazioni di Munisi il Ccm ha a disposizione un budget elettorale duecento volte superiore a quello di Chadema. Nonostante ciò, il suo partito ha ottenuto quasi il 40 per cento delle preferenze alle elezioni del 2015. Poi il vincitore di quel voto, il presidente John Magufuli, ha inasprito la persecuzione politica e per sei anni a Chadema è stato vietato di organizzare incontri politici. Due esponenti di spicco hanno subìto aggressioni e sono sopravvissuti ad attentati, altri sono stati imprigionati o si sono visti confiscare illegalmente le loro proprietà. Secondo Munisi, le ultime elezioni, nel 2020, sono state rubate.

“Hanno soffocato il parlamento. Hanno ridotto al silenzio i mezzi d’informazione e il settore privato. Hanno sperimentato che possono vincere le elezioni in modo illegale, ma senza creare il caos. Quando ho visto tutto questo, ho pensato: questo non è il Ccm che conosco. Hanno cominciato a usare strategie che nessun paese democratico può tollerare. Sospetto che stiano imparando l’approccio cinese”, dice Munisi.

All’istituto Confucio di Dar es Salaam, agosto 2020  (Amadeja Plankl, Imago/Alamy)

L’occidente è alle strette, afferma Lisbeth Pilegaard, direttrice dell’Istituto danese per i partiti e la democrazia, un’organizzazione indipendente creata dal parlamento danese per promuovere la democrazia a livello globale. “Per sessant’anni la Danimarca ha versato soldi alla Tanzania, e ora a che punto siamo? Ci troviamo con un governo relativamente repressivo che non rispetta le minoranze, i diritti lgbt e gli altri partiti politici. Non abbiamo fatto abbastanza per il movimento democratico, perché in tutto il mondo la democrazia è in declino. Dobbiamo essere più aggressivi, e abbiamo delle idee su come diventarlo. Ma non possiamo imporre la democrazia agli altri. Allo stesso tempo, dobbiamo ammettere che finora le nostre attività di sostegno alla democrazia non hanno funzionato”.

Dall’apertura della scuola in Tanzania i mezzi d’informazione cinesi propongono reportage e interviste che mostrano studenti allegri. Ai giornalisti di Politiken, invece, è stata riservata un’accoglienza fredda a luglio, quando abbiamo visitato la scuola dopo lunghi mesi di trattative. Non ci è stato permesso di assistere ai corsi, parlare con gli studenti e fare foto. La direttrice Marcellina Chijoriga non ha voluto essere intervistata, anche se parla spesso con i giornalisti cinesi.

In cambio abbiamo ottenuto una visita guidata e tanti discorsi. Abbiamo potuto vedere il cuore della scuola, la grande sala conferenze dove politici, funzionari e dirigenti aziendali vengono formati. I simboli dei partiti africani sono esposti insieme alla falce e martello del Partito comunista cinese. A sinistra, c’erano le foto dei vari presidenti cinesi che stringono la mano ai colleghi africani. C’erano anche le foto di leader africani come Robert Mugabe, dello Zimbabwe, e Nelson Mandela, del Sudafrica. Ma i cinesi erano più numerosi.

La visita ci ha dato un’idea della missione della scuola. Per i politici africani lo sviluppo cinese è un riferimento. La Cina in quarant’anni ha fatto uscire 800 milioni di cinesi dalla povertà. La scuola è stata fondata perché, secondo i partiti africani, c’era un “vuoto di leadership” nelle nuove generazioni. La direttrice Chijoriga ha detto alcuni mesi fa all’emittente cinese Cgtn: “Voi cinesi avete una visione, siete uniti. E seguite sempre la vostra strategia… È qualcosa da cui noi africani dobbiamo imparare”.

Diverse forze politiche del continente ammirano l’organizzazione del Partito comunista, conferma Mandira Bagwandeen, ricercatrice alla Nelson Mandela school of public governance dell’università di Città del Capo, in Sudafrica: “Il partito è visto come una macchina ben oliata che ha il polso di ogni aspetto dell’economia, dell’amministrazione e della società cinese”.

Molti insegnanti vengono dalla scuola centrale del Partito comunista cinese di Pechino. Mattingly spiega che è un centro di formazione unico nel suo genere: “Nelle democrazie occidentali non troviamo nulla di simile. Immaginate se da Science Po, il prestigioso istituto di Parigi dedicato agli studi politici, uscissero i rappresentanti e i funzionari statali di un solo partito. È quello che succede in Cina, dove i dirigenti civili e militari vengono tutti da quella scuola. Uno dei suoi obiettivi è il controllo ideologico, ma un altro è costruire una rete sociale integrata nel partito e un senso di appartenenza. Xi Jinping è stato un ex presidente della scuola centrale”.

Economia
Espansione ventennale
Dal 2000 la Cina è diventata il primo partner commerciale di più di 30 paesi africani. (Fonte: Politiken)

Alla Mwalimu Julius Nyerere ci sono anche docenti africani, che insegnano storia delle rivoluzioni e panafricanismo. Secondo uno di loro, il tanzaniano Hussein Lufunyo, l’istituto non è una minaccia per la democrazia: “La Cina è una democrazia dittatoriale in cui lo stato e il partito si sono fusi. La scuola racconta questa esperienza e come abbia contribuito allo sviluppo cinese. Noi non vogliamo per forza adottare lo stesso modello. La Tanzania è sempre stata un paese neutrale e i nostri leader hanno sempre seguito un modello misto, che guarda a ovest ma anche a est”. Per lui la scuola è un’iniziativa positiva. I leader africani oggi hanno a disposizione “un menù con varie opzioni tra cui scegliere”. A volte guardano a occidente, altre volte alla Cina, a seconda di cosa gli sembra meglio.

Tuttavia il menù offerto dalla scuola di Kibaha non è per tutti. I politici dell’opposizione non sono benvenuti, a meno che non condividano le idee di quelli al governo, ci hanno spiegato durante la visita.

Secondo Anne-Marie Brady, esperta di Cina all’università di Canterbury, nel Regno Unito, non si può parlare di menù, ma di “ingerenza politica”, perché la scuola insegna ai partiti di governo ad aumentare il loro controllo sullo stato. I corsi “alimentano la dittatura”, sostiene. “È come ai tempi di Mao, quando la Cina voleva essere un modello per i paesi in via di sviluppo. Solo che questa volta Pechino non sostiene gruppi rivoluzionari, ma partiti autoritari in democrazie deboli”.

Un’esperienza indimenticabile

Oltre alla scuola di Kibaha, la Cina ha finanziato una nuova biblioteca nell’università di Dar es Salaam, la principale del paese. L’ateneo ospita anche un centro studi sinoafricano e una grande sede dell’istituto Confucio per la diffusione della cultura cinese all’estero, che in dieci anni ha insegnato la lingua cinese a quasi cinquantamila studenti.

“In Tanzania la Cina si rivolge all’élite: i leader politici e le persone più istruite”, osserva Muhidin Shangwe, dell’università di Dar es Salaam, che studia il soft power cinese. “Quando parlo con le persone che fanno parte della diaspora africana in Cina, molte mi dicono di avere genitori o familiari con incarichi politici importanti. A Dar es Salaam, invece, quasi tutti preferirebbero studiare in Europa, in particolare in Scandinavia. Verrebbe da dire che la Cina fa presa sull’élite, ma meno sul resto della popolazione, che al contrario guarda con simpatia all’occidente”, spiega Shangwe.

Ma anche se la scuola di partito in Tanzania non riesce a diffondere nel continente le idee politiche della Cina, può comunque incidere. Molti ex studenti hanno scritto sui social network che il loro soggiorno alla Mwalimu Julius Nyerere leadership school è stata un’esperienza fantastica, in cui hanno stretto amicizie con giovani di altri paesi. Parlano della gita che hanno fatto a Bagamoyo, città sulla costa che un tempo era il principale centro dell’Africa orientale per il commercio di avorio e gli schiavi. Le giovani promesse dei partiti rivoluzionari hanno parlato del loro futuro tra le rovine dei governi coloniali, tedesco e britannico.

Se chi lascia la scuola ha la sensazione che il Partito comunista cinese gli abbia regalato un’esperienza da ricordare per tutta la vita, l’iniziativa può essere definita un successo. Sono come quei viaggi premio che la Danimarca, gli Stati Uniti e altri paesi occidentali offrono ai politici, spiega Richard McGregor del Lowy institute australiano: “Naturalmente i cinesi vogliono che questi studenti facciano una bell’esperienza e non che passino tutto il tempo sui libri. Ma c’è una differenza. Quando le democrazie cercano di accattivarsi le élite di un altro paese, non lo fanno per insegnargli a costruire uno stato a partito unico”. ◆ pb, fc

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Questo articolo è uscito sul numero 1531 di Internazionale, a pagina 64. Compra questo numero | Abbonati