I problemi sentimentali, e in modo particolare le separazioni, sono tra i principali motivi per cui le persone cominciano un percorso di psicoterapia. La fine di un rapporto è un’esperienza che può essere traumatica e complessa, di quelle che ci fanno soffrire immensamente e per cui siamo meno preparati.
Ma perché ci risulta così difficile separarci? Di solito per due motivi. Da un lato abbiamo paura del cambiamento, della perdita. Una rottura comporta una privazione che va ben oltre la semplice assenza della persona che avevamo al nostro fianco. Perdiamo le abitudini, i progetti futuri condivisi, il sogno d’invecchiare insieme, di creare una famiglia, di goderci i figli. Questa paura nasce nel cervello e la scienza ci dimostra che il cervello opera senza sosta per mantenerci in vita, ma anche per risparmiare energia ed evitare le sofferenze. In assenza di cambiamenti tutto è più facile, perché il cervello sa cosa succede e cosa deve fare per raggiungere il suo obiettivo. Di conseguenza cercherà in ogni modo di evitare la perdita, dato che affrontare una nuova situazione comporterebbe uno sforzo ulteriore.
D’altro canto la separazione amorosa è spesso traumatica perché infligge un colpo devastante alla nostra autostima. L’altra persona ci ha lasciato, non ci ama più e questo dimostra la nostra insufficienza: non valiamo, non meritiamo. È difficile tornare a guardarci con amore, a trattarci con bontà e compassione. Dunque non ci rassegniamo a lasciar andare quello che sembrava darci valore.
È necessario amare veramente noi stessi per separarci da chi non ci ama più o da qualcosa che non ci appartiene più, e dimentichiamo che forse non ci è mai appartenuto. La vita ha messo quella persona sul nostro cammino come un’opportunità per imparare, crescere e conoscerci un po’ meglio. Se ci capita di vivere il dolore di una rottura amorosa, il primo consiglio è di avviare un processo per prenderci cura di noi e dimostrare al cervello che siamo capaci di ricostruire la nostra vita senza una persona che non vuole più stare al nostro fianco.
La strada verso la serenità
È un percorso da seguire con calma, ma anche senza adagiarci troppo, ricordando che la chiave di tutto è la conoscenza. Se abbiamo le informazioni necessarie su cosa ci succede riusciremo a capire che all’inizio è normale non voler credere alla realtà, provare rabbia o sentirsi feriti e convincersi di essere sprofondati negli abissi della tristezza più assoluta. Ma sapremo anche che una volta intrapreso questo percorso, riusciremo a raggiungere l’accettazione.
Inoltre è importante ricordare che ogni processo è unico, perché ogni persona è diversa dalle altre e ogni storia è a sé. Dovremmo evitare di paragonare le nostre esperienze a quelle degli altri, concentrandoci su ciò che proviamo. Spesso le persone che si paragonano agli altri si tormentano pensando: “La mia situazione è la peggiore di tutte” o “per me sarà molto più difficile” e in un certo senso agiscono in modo da concretizzare quei pensieri negativi. Ma non dev’essere per forza così. Possiamo tutti affrontare una rottura.
Epitteto diceva che dovremmo considerare la vita come un banchetto: quando ti passano un vassoio, allunga la mano e serviti una porzione moderata; se una portata va oltre, accontentati di quello che hai nel piatto; se una prelibatezza non ti è stata ancora offerta, attendi pazientemente il tuo turno.
Essere capaci di lasciar andare chi non fa per noi, chi ci abbandona o chi ci ignora ci aiuterà a recuperare la serenità e a comprendere meglio le nostre ferite. La capacità di apprezzare tutto ciò che di buono continuiamo ad avere e le persone che continuano a starci vicine ci permetterà di capire quello che conta davvero: l’amore, la bontà e le persone che non ci hanno abbandonato, a prescindere dalle tormente che abbiamo attraversato. ◆ as
Silvia Congost è una psicologa spagnola esperta in dipendenza emotiva, autostima e relazioni tossiche. Ha scritto diversi libri sul tema, tra cui Diario de una ruptura, Personas tóxicas_, e_ Si duele, no es amor.
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Questo articolo è uscito sul numero 1609 di Internazionale, a pagina 115. Compra questo numero | Abbonati