La prima cosa che salta all’occhio nella moltitudine di recensioni di Matrix Resurrections è la facilità con cui la trama del film (in particolare quella del suo finale) è stata interpretata come una metafora della nostra situazione socioeconomica. I pessimisti di sinistra la leggono come un’allusione al fatto che, per dirla senza mezzi termini come ha fatto Devarsi Ghosh sull’Hindustan Times, per l’umanità non c’è speranza: non possiamo sopravvivere al di fuori di Matrix (la rete del capitalismo aziendale che ci controlla), la libertà è impossibile. Poi ci sono i “realisti” pragmatici socialdemocratici, che vedono nel film una sorta di alleanza progressista tra umani e macchine: sessant’anni dopo le distruttive guerre delle macchine, “i sopravvissuti umani si sono alleati con alcune di loro per combattere un’anomalia che mette a repentaglio l’intera Matrix”, scrive John Saavedra su Den of Geek. “La scarsità di energia ha portato a una guerra civile in cui una fazione di macchine e programmi diserta e si unisce alla società umana”. Anche gli umani sono cambiati: Io (una città umana della realtà all’esterno di Matrix) è un posto molto migliore dove vivere rispetto a Zion, la città reale precedente (ci sono chiari accenni al fanatismo rivoluzionario distruttivo di Zion nei precedenti film della serie).

La carestia che colpisce le macchine non è dovuta solo agli effetti devastanti della guerra ma soprattutto alla mancanza di energia prodotta dagli esseri umani per il sistema. Ricordiamo la premessa di base della serie Matrix: quello che noi esseri umani sperimentiamo come realtà è una mondo virtuale artificiale generato da un megacomputer direttamente collegato alle nostre menti, organizzato in modo da ridurci allo stato passivo di batterie viventi che gli forniscono energia.

L’architetto e l’analista

La forza del film però non è tanto in questa premessa, che è la sua tesi centrale, quanto nell’immagine dei milioni di esseri umani che trascorrono un’esistenza claustrofobica in una sorta di culle piene d’acqua, mantenuti in vita con l’unico scopo di generare energia per il megacomputer. Perciò, quando qualcuno si “risveglia” dall’immersione nella realtà virtuale controllata da Matrix, non fa ingresso nell’ampio spazio della realtà esterna, ma ha prima di tutto l’orribile presa di coscienza del sistema in cui ognuno è solo un organismo simile a un feto immerso nel fluido prenatale. Questa assoluta passività è la fantasia proibita che contrasta con la nostra esperienza cosciente di soggetti attivi e autonomi. È la fantasia più perversa, l’idea che in definitiva siamo strumenti del godimento dell’altro (Matrix) e che la nostra sostanza vitale è risucchiata come se fossimo batterie. In questo risiede il vero enigma libidico della macchina: perché Matrix ha bisogno dell’energia umana? La spiegazione puramente energetica è, ovviamente, priva di significato: Matrix avrebbe potuto facilmente trovare un’altra fonte di energia più affidabile che non avrebbe richiesto la creazione estremamente complessa di una realtà virtuale coordinata per milioni di unità umane. L’unica risposta coerente è che Matrix si nutre del godimento umano, quindi siamo di nuovo alla fondamentale tesi lacaniana che il grande Altro, lungi dall’essere una macchina anonima, ha bisogno del costante afflusso di godimento. È così che dovremmo capovolgere lo stato delle cose presentato dal film: quella che appare come la scena della presa di coscienza della nostra vera condizione è effettivamente il suo esatto opposto, la fantasia fondamentale che sostiene il nostro essere. Ma come reagisce Matrix al fatto che gli esseri umani producono meno energia? Qui entra in gioco una nuova figura: l’Analista, il quale scopre che, manipolandone le paure e i desideri, gli esseri umani producono più energia per le macchine: “L’Analista è il nuovo Architetto, il manager di questa nuova versione di Matrix”, scrive ancora John Saavedra. “Ma mentre l’Architetto cercava di controllare le menti umane attraverso freddi calcoli matematici e fatti concreti, l’Analista adotta un approccio più personale: manipola i sentimenti per creare finzioni che manterranno gli esseri umani schiavi delle pillole blu (tra l’altro, osserva che gli esseri umani ‘crederanno alle sciocchezze più assurde’, il che non è molto lontano dalla verità, se avete mai trascorso un po’ di tempo su Facebook). L’Analista afferma che il suo metodo ha fatto sì che gli esseri umani producessero più energia che mai per nutrire le macchine, il tutto impedendogli di voler fuggire dalla simulazione”.

Volendo essere ironici potremmo dire che l’Analista corregge il tasso di profitto in calo dovuto all’uso degli esseri umani come fonti di energia. Si rende conto che rubare il godimento agli esseri umani non è abbastanza produttivo: Matrix dovrebbe anche manipolare l’esperienza degli umani usati come batterie in modo da alimentare il loro godimento. Le vittime devono godere: più gli umani godono, più si può trarre da loro il sovrappiù di godimento. Il parallelo lacaniano tra plusvalore e surplus di godimento è qui ancora una volta confermato. Il problema è solo che, anche se il nuovo regolatore di Matrix si chiama Analista (con ovvio riferimento alla psicoanalisi), non agisce come un analista freudiano ma come un utilitarista piuttosto primitivo che segue il principio di evitare il dolore e la paura e provare piacere. Non c’è nessun piacere nel dolore, nessun “al di là del principio di piacere”, nessuna pulsione di morte, in contrasto con il primo film in cui Smith, l’agente di Matrix, dà una spiegazione diversa, molto più freudiana: “Lo sapevi che la prima Matrix era stata progettata per essere un mondo umano ideale? Dove non si soffriva, e dove tutti erano felici e contenti. Fu un disastro. Nessuno si adattò a quel programma, andarono perduti interi raccolti. Tra noi ci fu chi pensò a errori nel linguaggio di programmazione nel descrivere il vostro mondo ideale, ma io ritengo che, in quanto specie, il genere umano riconosca come propria una realtà di miseria e di sofferenza. Quello del mondo ideale era un sogno dal quale il vostro primitivo cervello cercava, si sforzava, di liberarsi. Ecco perché poi Matrix è stata riprogettata così. All’apice della vostra civiltà”.

Meno binario

Si potrebbe quindi affermare che Smith (non dimentichiamo che non è un essere umano ma un’incarnazione virtuale dello stesso Matrix, il grande Altro) nell’universo del film è la controfigura dell’analista molto più dell’Analista stesso. Questa regressione dell’ultimo film è confermata da un altro tratto arcaico: l’affermazione della forza produttiva del rapporto sessuale. L’Analista spiega che, dopo la morte di Neo e Trinity, li ha resuscitati per studiarli e ha scoperto che potevano battere il sistema quando collaboravano; ma se fossero stati tenuti vicini senza entrare in contatto, gli altri esseri umani all’interno di Matrix avrebbero prodotto più energia per le macchine.

Matrix Resurrections (Warner Bros. Pictures)

Molti commentatori hanno accolto Matrix Resurrections come meno “binario”, più aperto verso “l’arcobaleno” delle esperienze transgender, ma, come possiamo vedere, la vecchia formula holly­woodiana della produzione di una matrice di coppia si ripete anche qui: “Neo non ha altro interesse se non quello di riprendere il suo rapporto con Trinity”, scrive Adi Robertson nella sua recensione su The Verge. Questa regressione si basa su ciò che è falso già nel primo Matrix, nella scena forse più nota, quella in cui Morpheus offre a Neo la scelta tra la pillola blu e la pillola rossa. Ma è una non scelta perché chi vive immerso nella realtà virtuale non ha preso nessuna pillola, quindi l’unica scelta è: “Prendi la pillola rossa o non fare niente”. La pillola blu è un placebo, non cambia nulla. Inoltre non esistono solo la realtà virtuale regolata da Matrix (accessibile se scegliamo la pillola blu) e la “vera realtà” esterna (il mondo reale devastato e pieno di macerie che troviamo se scegliamo la pillola rossa). C’è anche la macchina stessa che costruisce e regola la nostra esperienza (a questo, al flusso delle formule digitali, non alle macerie, si riferisce Morpheus quando dice a Neo: “Benvenuto nel deserto del reale”). Questa macchina è (nell’universo del film) un oggetto presente nella “vera realtà”: una serie di giganteschi computer costruiti dall’essere umano che tengono prigionieri i personaggi e regolano la loro esperienza di se stessi.

La scelta tra la pillola blu e la pillola rossa nel primo film di Matrix è falsa, ma questo non significa che tutta la realtà sia solo nel nostro cervello: interagiamo nel mondo reale, ma attraverso le fantasie che ci sono imposte dall’universo simbolico in cui viviamo. L’universo simbolico è “trascendentale”, e l’idea che ci sia un agente a controllarlo come un oggetto è un sogno paranoico: l’universo simbolico non è un oggetto del mondo, costituisce la cornice del nostro rapporto con gli oggetti. Oggi, tuttavia, ci stiamo avvicinando sempre più alle macchine che ci promettono un universo virtuale in cui possiamo entrare (o che ci controlla contro la nostra volontà). L’Accademia cinese delle scienze mediche militari persegue quella che chiama “intelligentizzazione” della guerra: “La guerra sta cominciando a passare dall’obiettivo di distruggere corpi a quello di paralizzare e controllare la volontà dell’avversario”. Possiamo essere certi che l’occidente sta facendo la stessa cosa, l’unica differenza sarà (forse) che se la renderà pubblica ci sarà una giustificazione umanitaria:“Non stiamo uccidendo esseri umani, stiamo solo deviando le loro menti per un breve periodo”.

Il metaverso di Zuckerberg

Uno dei possibili nomi della pillola blu è il progetto del “metaverso” di Zuckerberg: prendiamo la pillola blu registrandoci sul metaverso e ci lasciamo magicamente alle spalle i limiti, le tensioni e le frustrazioni della realtà ordinaria, ma per questo dobbiamo pagare un caro prezzo: “Mark Zuckerberg ‘ha il controllo unilaterale su tre miliardi di persone’ grazie alla sua inattaccabile posizione al vertice di Facebook’, ha detto l’informatrice Frances Haugen ai parlamentari britannici chiedendo una regolamentazione urgente per frenare la gestione dell’azienda tecnologica e ridurre i danni che provoca”, ha scritto il Guardian. La grande conquista della modernità, lo spazio pubblico, sta così scomparendo. Alcuni giorni dopo le rivelazioni di Haugen, Zuckerberg ha annunciato che la sua azienda cambierà nome da Facebook a Meta e ha delineato la sua visione del “metaverso” in un discorso che è un vero manifesto neofeudale.

La scelta tra la pillola blu e la pillola rossa nel primo Matrix è falsa, ma questo non significa che tutta la realtà sia solo nel nostro cervello

“Zuckerberg vuole in ultima analisi che il metaverso comprenda il resto della nostra realtà, collegando frammenti di spazio reale qui e là e facendoli apparire come quello che consideriamo mondo reale. Nel futuro virtuale e aumentato che Facebook ha pianificato per noi, non è che le simulazioni di Zuckerberg diventeranno realtà, è che i nostri comportamenti e le nostre interazioni diventeranno così standardizzati e meccanici che questo non avrà nessuna importanza. Invece di creare espressioni facciali umane, i nostri avatar potranno fare iconici gesti con il pollice in su. Invece di condividere aria e spazio, potremo collaborare su un documento digitale. Impareremo a ridurre la nostra esperienza di stare insieme a un altro essere umano al vedere la sua proiezione nella stanza come un Pokémon nella realtà aumentata”, scrive lo studioso di comunicazione di massa Douglas Rushkoff.

Il metaverso funzionerà come uno spazio virtuale al di là (meta) della nostra frammentata e dolorosa realtà, uno spazio virtuale in cui interagiremo comodamente attraverso i nostri avatar, con l’aggiunta di elementi di realtà aumentata (una realtà a cui sono sovrapposti segni digitali). Non sarà quindi niente di meno che metafisica attualizzata: uno spazio metafisico che sussume pienamente la realtà, i cui frammenti potranno entrare in quello spazio solo se ricoperti di linee guida digitali che manipolano la nostra percezione e il nostro intervento. E il problema è che avremo un bene comune di proprietà privata, con un signore feudale privato che sovrintende e regola le nostre interazioni.

Questo ci riporta all’inizio del film in cui Neo, in convalescenza da un tentativo di suicidio, va da uno psicoterapeuta (l’Analista). L’origine della sua sofferenza è che non ha modo di verificare la realtà dei suoi pensieri confusi, quindi ha paura d’impazzire. Nel corso del film apprendiamo che, come scrive Joseph Earp su The Ethics Centre, “l’Analista è la fonte meno affidabile a cui Neo avrebbe potuto rivolgersi. Non solo fa parte di una fantasia che potrebbe essere una realtà, e viceversa. È anche un ulteriore strato di fantasia come realtà e realtà come fantasia, un caos di capricci, desideri e sogni che esistono contemporaneamente in due stati diversi”. Il sospetto di Neo che l’ha spinto al suicidio non è quindi confermato?

La fine del film apre uno spiraglio di speranza semplicemente dando la svolta opposta a questa triste intuizione: sì, il nostro mondo è composto solo da strati di “fantasia come realtà e realtà come fantasia, un caos di capricci e desideri”, e lì non c’è una prospettiva esterna che sfugga agli ingannevoli strati di false realtà. Tuttavia, proprio questo apre un nuovo spazio di libertà: la libertà d’intervenire e riscrivere le finzioni che ci dominano. Poiché il nostro mondo è composto solo da strati di “fantasia come realtà e realtà come fantasia, un caos di capricci e desideri”, questo significa che anche Matrix è caos: la versione paranoica è sbagliata, non c’è un agente nascosto (Architetto o Analista che sia) che controlla tutto e muove i fili. Secondo Earp, la lezione è che “se impariamo ad accettare fino in fondo il potere delle storie che tessiamo per noi stessi, che si tratti di videogiochi o narrazioni complesse sul nostro passato, potremo riscrivere tutto. Possiamo fare quello che vogliamo della paura e del desiderio, possiamo modificare e plasmare le persone che amiamo e che sogniamo”. Il film si conclude quindi con una versione piuttosto banale della nozione postmoderna per cui non esiste una “vera realtà” definitiva, solo l’interazione tra una moltitudine di finzioni digitali.

Matrix Resurrections (Warner Bros. Pictures)

“Neo e Trinity hanno rinunciato alla ricerca di fondamenti epistemici. Non uccidono l’Analista che li ha tenuti schiavi di Matrix. Anzi lo ringraziano”, scrive ancora Earp. “Dopotutto, grazie al suo lavoro hanno scoperto il grande potere della riscrittura, la libertà che arriva quando interrompiamo la nostra ricerca della verità, qualunque cosa possa significare quel concetto nebuloso, e lottiamo sempre per nuovi modi di comprendere noi stessi”.

La quinta di Šostakovič

La premessa del film secondo cui le macchine hanno bisogno degli esseri umani è quindi corretta: hanno bisogno di noi non per la nostra intelligenza e capacità consapevole di pianificazione, ma a un livello più elementare di economia libidica. L’idea che le macchine possano riprodursi senza l’essere umano è simile al sogno dell’economia di mercato che funziona senza l’essere umano. Alcuni analisti hanno recentemente proposto l’idea che, con la crescita esplosiva della produzione robotizzata e dell’intelligenza artificiale, che assumeranno sempre più la gestione della produzione, il capitalismo si trasformerà gradualmente in un mostro che si autoriproduce, una rete di macchine digitali che avranno sempre meno bisogno degli esseri umani. La proprietà e le azioni rimarranno, ma la concorrenza in borsa sarà ottimizzata in base a profitto e produttività. Quindi per chi o che cosa saranno prodotti gli oggetti? Gli esseri umani non rimarranno comunque consumatori? Idealmente, possiamo anche immaginare macchine che si alimentano a vicenda.

Per quanto perversamente attraente, questa visione è una fantasia ideologica. Il capitale non è qualcosa di oggettivo come una montagna o una macchina che rimarranno dove sono anche se tutte le persone che le circondano spariranno. Il capitale esiste solo in quanto altro virtuale di una società, forma “reificata” di un rapporto sociale, proprio il valore delle azioni è il risultato dell’interazione di migliaia di individui, ma appare a ciascuno di loro come qualcosa di oggettivo.

Avrete notato che, nella mia descrizione di Matrix Resurrections, mi affido completamente a recensioni di altri. Il motivo è chiaro: nonostante alcune scene brillanti alla fine non vale la pena di vedere il film. E quindi ho scritto questa recensione senza vederlo.

Il 28 gennaio 1936 la Pravda criticava brutalmente l’opera di Šostakovič La lady Macbeth del distretto di Mcensk definendola un “pasticcio piuttosto che un’opera”. Matrix Resurrections è realizzato in modo intelligente e pieno di effetti ammirevoli, ma alla fine rimane un pasticcio piuttosto che un film. Resurrections è il quarto episodio della serie Matrix, quindi speriamo solo che il prossimo sia come quello che è stata la quinta sinfonia per Šostakovič, la risposta creativa di un artista a critiche giustificate. ◆ bt

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Questo articolo è uscito sul numero 1443 di Internazionale, a pagina 76. Compra questo numero | Abbonati