L’ultima parte della strada che porta a Sail è un inferno per i veicoli, una pista piena di buche sul fianco della montagna. Questo villaggio himalayano nello stato indiano dell’Uttarakhand, il “paese degli dei”, non si può raggiungere né in treno né in aereo, e per arrivarci da New Delhi ci vogliono almeno dodici ore. Più in basso, il fiume Mahakali segna la frontiera con il Nepal.
Ramesh Bisht, 42 anni, tassista nella capitale indiana, fa questo tragitto due volte all’anno per andare a trovare la famiglia, e a lui la pista sconnessa sembra un’autostrada: fino al 2015 doveva fare gli ultimi chilometri a piedi, con le valigie sulla testa. È nato a Sail, nella casa di famiglia, come i suoi tre figli, e spera di tornarci appena il figlio di tredici anni sarà abbastanza grande per lavorare. “È un posto lontano, molto arretrato, molto povero, che non offre nessun futuro. Ma è da qui che vengo”, confida Ramesh insistendo su ogni sillaba.
Negli ultimi anni Sail ha recuperato in parte il suo ritardo, ma la strada da fare è ancora lunga. Nel villaggio l’elettricità è arrivata nel 2016, e a casa di Ramesh l’acqua corrente c’è solo da due mesi. Ogni famiglia ha ricevuto 15mila rupie (circa 166 euro) dal governo per costruire dei bagni e delle docce esterne grazie alla campagna “sviluppo per tutti” promossa dal primo ministro Narendra Modi. Quando è arrivato al governo, nel 2014, Modi si era impegnato a portare l’acqua, l’elettricità e i servizi igienici a tutte le famiglie del paese entro il 2022, per i 75 anni dell’indipendenza. Ma i lavori sono ancora in alto mare: il 25 per cento delle famiglie nelle zone rurali non ha ancora un gabinetto e la percentuale arriva al 40 per cento in stati molto poveri come il Bihar e il Jharkand.
Scelta obbligata
Il villaggio di Sail, con i suoi terrazzamenti per la coltivazione del riso, comprende più frazioni. Ci sono quattro scuole pubbliche, sette templi indù, 220 famiglie, cioè circa tremila abitanti, per lo più contadini che praticano un’agricoltura di sussistenza, senza irrigazione. Solo il cielo può assicurare a queste terre un buon raccolto di grano e lenticchie, alimenti di base. Al di là del lavoro nei campi, c’è poco altro: un po’ di edilizia e l’esercito per le famiglie più fortunate in una delle tante guarnigioni della zona. “Ho lasciato il villaggio a diciotto anni per Lohaghat, nel nostro distretto, insieme a mio padre, che faceva il saldatore. Non mi piaceva il mestiere, così sono andato da solo a New Delhi, dove ho imparato il lavoro di autista”, racconta Ramesh Bisht, mentre la macchina si avvicina al centro di Sail. Sono 24 anni che questo montanaro, basso e robusto conduce una vita familiare piuttosto complicata, come più o meno la maggior parte degli uomini della regione. In questo paese, dove lo stipendio medio di un contadino non supera i 91 euro al mese e la terra coltivabile a sua disposizione è inferiore a un ettaro, non c’è altra scelta che emigrare.
A Sail ogni famiglia conta almeno un marito o un figlio andato a cercare lavoro in città, a New Delhi, a Mumbai o a Lucknow, la capitale del vicino stato dell’Uttar Pradesh. I più istruiti lavorano nel settore alberghiero o nella ristorazione. Gli altri si accontentano di lavori domestici: pulizie, cuochi, portieri. I compiti più faticosi nell’edilizia o nella manutenzione sono riservati agli uomini delle caste più basse, pagati alla giornata, lavoratori poveri costretti a dormire nei cantieri o nelle baraccopoli che tornano al villaggio per i raccolti, per le vacanze e per le festività religiose.
Questo fenomeno di emigrazione stagionale, unito alla scarsa industrializzazione, ha frenato l’urbanizzazione dell’India. Solo un terzo degli abitanti vive in città, gli altri dipendono dall’agricoltura, anche se il settore, che rappresenta il 14 per cento del prodotto interno lordo, contribuisce in modo marginale alla ricchezza nazionale.
Una nazione di villaggi
Così il paese più popolato del mondo rimane in maggioranza rurale, radicato nei suoi circa 645mila villaggi, territori con una forte identità e spesso mitizzati. Ma, nonostante il loro aspetto conservatore e arretrato, il padre della nazione, il mahatma Gandhi, ci vedeva una forma di purezza. Il villaggio incarna la famiglia nel senso ampio del termine, il luogo delle tradizioni e delle solidarietà, ma anche delle disuguaglianze. Questa struttura ha consolidato il sistema delle caste, gerarchico e chiuso, che attribuisce uno status alla nascita e obbliga a trovare un partner nello stesso gruppo sociale.
Ramesh Bisht si è sposato alla fine della sua adolescenza. Un’unione combinata dai genitori. La moglie, Manju Devi, è arrivata a piedi dal suo villaggio, qualche chilometro più in alto, sulla montagna. Si sono conosciuti una settimana prima della cerimonia nuziale; lei aveva a malapena frequentato la scuola, ma come Ramesh era una rajput, una casta importante, criterio fondamentale per i genitori nella scelta del marito.
Sail è dominato dalle caste superiori dei thakur e dei rajput e ha tra gli abitanti 150 dalit, gli “oppressi”, un tempo definiti “intoccabili”. Anche se afferma che il villaggio è tollerante, Ramesh sa benissimo quali sono le case dei dalit. Queste famiglie sono autorizzate a condividere i pozzi comuni e i templi, ma nessuno delle caste superiori accetterebbe mai di mangiare a casa loro.
Insieme a Ramesh, Manju Devi ha sposato anche il villaggio e la famiglia del marito. In India è così: le donne devono seguire il marito, mentre i figli maschi hanno il privilegio, tra gli altri, di rimanere con i genitori. Anche nelle grandi città, dove gli stili di vita sono cambiati, la tradizione delle famiglie allargate continua a far convivere figli, genitori e nonni sotto lo stesso tetto.
I tre figli della coppia vanno a scuola in un istituto privato a Pithoragarh, la capitale del distretto, a un’ora e mezzo di corriera. La qualità scadente dell’istruzione pubblica primaria e secondaria costringe le famiglie, anche le più povere, a pesanti sacrifici. “Gli insegnanti non hanno nessuna formazione”, dice un padre. “C’è un forte assenteismo. Nessuno ci vuole andare e le classi sono vuote”.
Tra la scuola, i corsi di sostegno, le uniformi, i libri, Ramesh spende ogni anno 120mila rupie (1.340 euro) per l’istruzione dei figli, cioè più di due mesi di stipendio. È il prezzo, spera, per ottenere un impiego pubblico stabile nell’esercito, per il figlio, o in banca, per le figlie. Un sogno, però, difficilmente accessibile in un’economia dove il 90 per cento del lavoro rimane informale, senza sistema previdenziale, senza ferie e senza pensione. Ramesh ha dovuto smettere di studiare prima del liceo perché il padre non aveva i mezzi per mandarlo a Pithoragarh.
Arrivati a casa sua, il figlio Rahul lo accoglie toccandogli un piede in segno di rispetto, e lo precede fino all’abitazione, una struttura secolare costruita dal bisnonno. Nonostante l’usura, la facciata ha conservato le aperture in legno finemente scolpite, ma il tetto, riparato alla meno peggio, non impedisce le infiltrazioni delle piogge monsoniche. L’interno comprende solo delle camere da letto e la cucina, dove sua madre, Kali Devi, cuoce nel forno a legna i roti, le focaccine, seduta sul suolo in terra battuta.
È da tempo che la vita di questa vedova di 57 anni si è adattata alle abitudini del villaggio. Sposata a 13 anni, ha avuto Ramesh a 16. All’epoca si usavano ancora le lampade a olio e si dormiva per terra. Kali non è mai andata a scuola e sa solo scrivere il suo nome. Il pradhan, il capo del villaggio, un cugino, le dà ogni mese le 1.500 rupie (circa 17 euro) concesse dal governo alle vedove. La donna condivide il letto con la figlia di 23 anni, la sorella di Ramesh, che non si è ancora sposata, e con il nipote di quattro anni, di cui si prende cura. Anche il resto della casa obbedisce alle usanze locali: una stanzetta senza finestre è riservata alle donne quando hanno le mestruazioni o dopo che hanno partorito: undici giorni di isolamento per la nascita di un maschio e nove se è una femmina. Se qualcuno della famiglia sfiora una donna che ha le mestruazioni, Kali Devi, indù molto devota, lo asperge con urina di vacca per purificarlo.
Ma anche se il comfort di Kali Devi è migliorato nel corso degli anni, la vita in questa regione soggetta alle incertezze dei cambiamenti climatici rimane difficile. Dopo un marzo particolarmente piovoso, che ha piegato e fatto marcire le piantine ancora giovani, il raccolto di grano si annuncia disastroso. Nel luglio 2022 il monsone aveva già distrutto il raccolto di lenticchie. Il figlio le ha dovuto mandare più denaro del solito da New Delhi.
Il tassista è ormai l’unico sostegno della famiglia. Suo padre è morto a sessant’anni d’infarto nel 2019. Era appena arrivato all’ospedale di Pithogararh, dopo tre ore sulla strada innevata. Da allora la famiglia ha vissuto altre tragedie legate all’assistenza medica insufficiente. Una sorella di Ramesh si è suicidata nel 2022 con del veleno dopo aver perso il figlio di tre mesi. L’ospedale pubblico di Pithogararh aveva preferito indirizzare il bambino e la giovane madre verso un centro medico più attrezzato nella città di Almora. Ma il viaggio era stato un incubo: avevano dovuto prendere sette mezzi di trasporto, tra auto e ambulanze. Le campagne indiane, penalizzate da infrastrutture vecchie, soffrono di una grave carenza di medici. Prima di ogni elezione la questione sanitaria è molto presente nelle campagne elettorali. I candidati promettono molto ma senza grandi risultati. Anche a Pithogararh da mesi l’acqua corrente provoca epidemie mortali di tifo e di ittero.
Ma il problema principale del distretto riguarda un’altra questione sempre legata all’acqua. Il governo di Narendra Modi, infatti, progetta di costruire una diga idroelettrica tra il Nepal e l’India che allagherebbe 134 villaggi, incluso Sail. Più di 31mila famiglie rischiano di essere trasferite e di perdere tutto. L’opera, presentata come la più grande diga al mondo, è stata a lungo rimandata, ma la scadenza è vicina. “Nel 2017 duecento esperti sono arrivati da New Delhi per fare dei controlli e tracciare mappe, e sono stati scavati sette tunnel tra l’India e il Nepal”, spiega Nath Singh, proprietario di un negozio vicino al fiume Mahakali.
Suo padre, Laxman Singh, un indù che non mangia mai né aglio né cipolla in segno di devozione, ha mandato un libro a Narendra Modi per cercare di sensibilizzarlo, visto che è un praticante devoto. La diga, infatti, allagherebbe il Pancheshwar Mahadev, un tempio indù dedicato a Shiva che si trova nel punto di unione di due fiumi. Ma è poco probabile che l’argomento possa far cambiare idea a un governo determinato a moltiplicare le sue fonti energetiche. La sorte dei contadini non ha mai fermato lo sforzo delle autorità per sviluppare le città, considerate il motore della crescita nazionale.
Joël Cabalion, antropologo del Centro di scienze umane di New Delhi, ritiene che dal 1947 settanta milioni di indiani siano stati trasferiti a causa di progetti infrastrutturali, per lo più dighe, il cui impatto viene sistematicamente minimizzato. “Ogni volta questi spostamenti forzati si traducono nell’impoverimento generale di popolazioni già colpite dalla cancellazione dei loro mezzi di sussistenza e dal sentimento di abbandono”. Anche il sogno di Ramesh Bisht di tornare un giorno a vivere nel villaggio rischia di essere inghiottito dalle acque. ◆ adr
◆ Secondo le stime delle Nazioni Unite alla metà di aprile del 2023 la popolazione indiana ha superato quota 1,42 miliardi, diventando la più numerosa del mondo. Tra le conseguenze della sua crescita c’è l’aumento della pressione sulle città a causa dell’emigrazione dalle zone rurali. Si calcola che la popolazione urbana passerà da 483 milioni di persone nel 2020 a 675 milioni nel 2035. Gli abitanti di New Delhi, che nel 2021 erano 20,6 milioni, potrebbero diventare 30,9 milioni nel 2041.
◆A gennaio del 2023 un rapporto di Oxfam ha svelato che il 5 per cento degli indiani possiede più del 60 per cento della ricchezza del paese, mentre la metà più svantaggiata ne possiede solo il 3 per cento. Nel duemila, scrive Asia Times, il patrimonio netto dei miliardari indiani era pari al 2 per cento del pil nazionale, mentre nel 2020 era il 20 per cento. Durante la pandemia i miliardari hanno visto i loro patrimoni più che raddoppiare, mentre nel 2021 il reddito dell’84 per cento delle famiglie indiane è calato. Queste disparità sono dovute a diversi fattori, tra cui la perdita di posti di lavoro, la volatilità del settore informale e l’inflazione in aumento. In India vivono 228,9 milioni di poveri e il più alto numero di persone al mondo in condizioni di estrema povertà (83 milioni).
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Questo articolo è uscito sul numero 1510 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati