Sapete qual è l’incubo ricorrente di un reporter? È un rivale con una storia esclusiva e il tuo direttore che ti chiede perché tu non ne sapevi niente. Lo spietato ambiente dei quotidiani di Mumbai, in India, mi ha fatto pagare caro il mio mancato scoop del 10 marzo 2015. La notizia era clamorosa: nella casa di un agente di polizia nel distretto di Satara, a tre ore di auto dalla città, la sera prima era stato trovato più di un quintale della droga sintetica mefedrone.

L’unico modo che avevo per rimediare era ficcare il naso nella faccenda, impegnandomi più di tutti gli altri per assicurarmi che nessuno potesse più cogliermi impreparato. Ed è quello che ho fatto per quattro anni, spinto solo dalla paura, almeno all’inizio. Preferisco che le mie mattine siano senza stress.

Baby è stata descritta come una spietata criminale delle baraccopoli. In tv la definivano regina della droga. Un personaggio abbastanza truce, insomma

All’indomani della prima perquisizione erano stati trovati altri 12 chilogrammi di droga nell’armadietto del poliziotto nella sede del dipartimento di Marine Drive, a Mumbai.

L’arresto dell’agente era stato solo il primo atto di uno spettacolo che ha per protagonista una donna di mezza età che abitava su una collina, a Worli. Si chiamava Shashikala Patankar. Era la più giovane di cinque fratelli e per questo la chiamavano Baby.

Dalla polizia avevamo saputo che Baby Patankar gestiva un ricco traffico di droga dalla sua collina. Sapevamo anche che per molto tempo era stata lasciata in pace perché denunciava i trafficanti di droga rivali e che aveva portato a Mumbai il mefedrone. Da quelle parti lo chiamano meow meow, miao miao. Che nome ridicolo, per una droga. A quanto pare Baby e il poliziotto, Dharmaraj Kalokhe, erano complici. Ed erano anche amanti. Lo confermava una vecchia foto scattata in vacanza e resa pubblica dalla polizia. Baby è stata descritta come una spietata criminale delle baraccopoli. In tv la definivano regina della droga. A quanto sembrava nella sua vita c’erano più segreti di quanti se ne possano contare sulle dita di due mani. Un personaggio abbastanza truce, insomma.

Il problema è che all’inizio nessuno riusciva a trovarla. Non era a casa, non era da suo fratello, non era dai parenti e nemmeno dagli amici. Non era da nessuna parte a Mumbai. Nel mese trascorso da quando si era volatilizzata, la polizia ci aveva raccontato che possedeva decine di immobili in tre diverse città e altrettanti jhopdas sulla collina. Poi all’improvviso era arrivato l’annuncio della sua cattura.

Avevo capito che quella vicenda non sarebbe passata di moda in fretta, così avevo voluto scavare ancora più a fondo. Non era come un lento crescendo. Quanti colpi di scena poteva riservare un crimine senza omicidi né rapimenti e nemmeno violenza di qualsiasi tipo?

Durante quell’estate Baby ha occupato stabilmente i notiziari, e nel frattempo i dettagli dei suoi rapporti torbidi con la polizia emergevano uno dopo l’altro. Nella centrale di Crawford market la tensione era palpabile, mentre si mettevano insieme i pezzi della sua versione fornita negli interrogatori. Il disagio è aumentato ancora quando la polizia ha arrestato cinque dei suoi stessi uomini (due stavano per andare in pensione) con l’accusa di aver collaborato con Baby e di averla aiutata nella fuga. Uno di loro era un informatore, e questo complicava ulteriormente le cose. Quanto altro ancora nascondeva la saga di Baby?

In questa storia la polizia non ha mai dichiarato chiuso il caso. Non davanti al tribunale, non con l’accusata e nemmeno con i reporter. Gli agenti erano costretti ad andare avanti, ma la verità è che in autunno l’indagine era ormai crollata. E Baby era di nuovo libera.

Due diversi dipartimenti di polizia hanno condotto indagini parallele ma separate. Gli agenti hanno raccolto una grande quantità d’indizi, ma non sono riusciti a trovare risposte alle domande più pressanti. Più che altro hanno rivelato molto su Baby e sugli eventi che l’avevano portata fino a quel punto della sua vita. Ma bastava dare una letta ai rapporti della polizia per capire che c’era dell’altro. Le risposte le nascondeva tutte lei.

Ho incontrato Baby per la prima volta nella sua casa di Worli, nel settembre 2015. Insieme a Prashant Nadkar, esperto fotoreporter, avevamo camminato per quasi un’ora e mezza fino a raggiungere la cima della collina, sotto una pioggia leggera. Lì abbiamo cercato faticosamente d’individuare la sua casa, in una baraccopoli sconosciuta. Quello che alla fine avevamo trovato era il massimo della normalità: una corpulenta nonnetta sulla cinquantina che viveva in un ambiente angusto. Baby è una donna che scorderesti subito, se la incontrassi per strada. Una faccia come un’altra.

All’epoca era appena uscita di galera e si muoveva come una tigre in gabbia. Non aveva nessun motivo per parlare con me né quel giorno né qualsiasi altro, fatta eccezione per il desiderio di mettere ordine nella storia e affermare la propria innocenza, già sancita dalla legge. O forse mi ha parlato solo perché è una donna che non ha paura di niente. Ogni volta che l’ho incontrata mi ha fatto le stesse domande retoriche: “La polizia ha fatto lo stesso casino per il caso della sorella di Dawood Ibrahim? Perché mi hanno chiamato regina della droga?”. Se Baby non fosse stata così schietta il mio lavoro sarebbe finito subito.

Quello che alla fine avevamo trovato era il massimo della normalità: una corpulenta nonnetta sulla cinquantina che viveva in un ambiente angusto. Baby è una donna che scorderesti subito, se la incontrassi per strada. Una faccia come un’altra

A Baby non piace attirare l’attenzione. Quando l’ho contattata nel 2020 per dirle che avrei voluto scrivere un libro sul suo caso, il momento non era propizio. Quell’estate, infatti, l’attrice Rhea Chakraborty era finita al centro di un processo pubblico simile a quello che Baby aveva subìto cinque anni prima. Lei ci ha messo qualche minuto prima di ricordare il mio nome. Poi è esplosa: “Perché i mezzi d’informazione parlano di nuovo di me? Non sanno che il mio caso è stato chiuso?”.

In un primo momento quell’accesso di rabbia mi ha sorpreso. Poi ho scoperto che un canale televisivo aveva trovato il pretesto per riesumare un rapporto del 2015 sulla “regina della droga di Mumbai” e ne aveva parlato collegandolo al caso di Chakraborty.

Quando finalmente ha deciso di parlare, Baby è stata sincera. L’indagine a suo carico aveva lasciato molti sospetti di corruzione. Nel 2016 l’agente che aveva gestito la perquisizione in casa di Kalokhe era stato indagato dall’ufficio anticorruzione del Maharashtra, con l’accusa di aver tentato di corrompere Baby perché lo scagionasse.

L’arresto di Baby era stato annunciato la sera stessa. Il suo ruolo nell’indagine sull’agente corrotto, oltre al fatto che era lei la querelante, era stato tenuto segreto. Quando le ho chiesto di spiegarmi cosa fosse successo, mi ha descritto tutto nei dettagli, con una sorta di sadico piacere. Il messaggio era chiaro: non mettetevi contro di me. Questa è una di quelle storie che ricordano un approccio per strada: ti cattura con poche frasi.

Un caso processuale basato sulle indagini della polizia a proposito di un enorme carico di una droga molto potente non dovrebbe crollare nel giro di pochi mesi. Qualcosa doveva essere andato completamente storto. La caccia alle risposte non è stata facile. In questa vicenda ci sono un’infinità di bugie e cantonate in cui mettere ordine: soluzioni illusorie che alla fine si sono dimostrate solo quello, illusioni; piste che non hanno portato a nulla; casi in cui due indagini si sono contraddette a vicenda. Alcune delle persone coinvolte nell’indagine si sono cucite la bocca. Baby non avrebbe mai detto alla polizia quel che sapeva.

Per trovare le risposte ho trascorso una quantità pericolosamente lunga di tempo con gli spacciatori di miao miao a Worli Seaface. Sono tornato a parlare con tutte le persone che avevo intervistato nel 2015, con nuove domande. Ma in fondo ce n’era solo una importante: secondo te cosa è successo?

Ho letto ogni singola parola dei rapporti di polizia, ma non è bastato. C’erano ancora troppi buchi. Sono riuscito a riempirli solo quando un manipolo di collaboratori spericolati è riuscito a procurarmi documenti cruciali. Sono anche andato nell’unico luogo che poteva permettermi di trovare il bandolo della matassa: il laboratorio governativo incaricato di esaminare la droga.

Questa storia, cominciata otto anni fa come un incubo, avrebbe dovuto concludersi con la pubblicazione del mio libro, Meow meow, insieme ai miei affannosi tentativi di trovare risposte alle domande da cui ero partito. E invece Baby continua a ricordarci che nessun libro può racchiudere tutta una vita umana, men che mai una vita caotica ed elettrizzante come la sua.

Nel settembre 2023, la polizia l’ha incriminata accusandola di aver ingannato un agente della dogana con il pretesto di vendergli cinque chili di lingotti d’oro. Baby era rimasta nell’ombra per così tanto tempo che tutti gli agenti di polizia con cui ho parlato si erano convinti che finalmente avesse scelto la retta via. Ma non era così, a quanto pare. Ora Baby è sparita di nuovo, lasciando i suoi avvocati a occuparsi di questo ennesimo guaio.

Da tempo Baby non è più sinonimo esclusivo di mefedrone. Sulla piazza sono arrivati nuovi personaggi che hanno occupato il suo piedistallo, conquistando il territorio. Ma come dimostra il suo recente ritorno sotto la luce della ribalta, con Baby è sempre meglio non credere che sia davvero tutto finito. ◆ as

Srinath Rao è un reporter freelance indiano. Lavora a Mumbai. È stato uno dei giornalisti d’inchiesta dell’Indian Express. Segue il caso di cui si occupa in questo articolo da più di dieci anni. Gli ha dedicato un libro, Meow, meow (HarperCollins India 2023). La traduzione è di Andrea Sparacino.

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Questo articolo è uscito sul numero 1543 di Internazionale, a pagina 60. Compra questo numero | Abbonati