No, il rischio dell’escalation è incalcolabile. Il buonsenso, con la sua basilare concezione della giustizia, ci suggerisce che l’aggredito ha tutto il diritto di attaccare l’aggressore sul suo territorio. È stabilito anche dal diritto internazionale: secondo l’articolo 51 della carta delle Nazioni Unite, un paese aggredito può difendersi nel rispetto del diritto di guerra. Questo significa che può attaccare il territorio di uno stato straniero, purché non prenda di mira obiettivi civili.

Tuttavia Washington e Londra non dovrebbero consentire a Kiev di usare i missili occidentali per attaccare in profondità nel territorio russo e distruggere aeroporti militari, piattaforme di lancio e raffinerie.

Un soldato ucraino appena liberato dai russi, Ucraina, 13 settembre 2024 (Anatolii Stepanov, Afp/Getty)

In termini politici, infatti, la questione è più ambigua. Sul piatto della bilancia va messo da un lato il necessario sostegno all’Ucraina e dall’altro il pericolo di un conflitto tra la Russia e la Nato. Attaccare in profondità la Russia in effetti potrebbe complicare le cose per il presidente Vladimir Putin. Ma missili da crociera come gli Storm Shadow costano cari e l’esperienza insegna che Mosca è capacissima di adattarsi al mutare delle situazioni. Lo storico militare statunitense Stephen Biddle ricorda che i lanciarazzi Himars hanno perso efficacia dopo i primi successi, proprio perché le forze russe hanno preso le contromisure giuste. Gli attacchi in profondità nel territorio russo non saranno il fattore in grado di spostare la dinamica della guerra a favore dell’Ucraina.

Questo conflitto difficilmente si concluderà con una vittoria ucraina. L’economia di guerra russa è stabile e Putin ha armi e soldati a sufficienza ancora per molti anni. La guerra finirà al tavolo dei negoziati, con una pace fredda e fragile: è un boccone amaro da mandar giù, ma è un’ipotesi realistica.

Una cosa è evidente: la logica dell’escalation è una caratteristica della guerra. A maggio gli Stati Uniti hanno autorizzato l’uso di armi statunitensi in territorio russo, ma solo nelle vicinanze del confine nella zona di Charkiv, per prevenire attacchi russi su obiettivi civili ucraini. Poi, però, l’esercito ucraino, con tanto di armi occidentali, è avanzato in territorio russo nella regione di Kursk. E ora si parla di usare queste armi per colpire obiettivi vicini a Mosca. Quello che ieri era a stento immaginabile, oggi è realtà. Questa logica, che il ministro della difesa tedesco Boris Pistorius chiama “adattamento strategico”, è tipica della dinamica bellica. Ma fino a che punto ci si può spingere?

Non sappiamo quanto vada preso seriamente Putin quando dice di voler rispondere attaccando l’occidente. Tutto sembra indicare che si tratti di minacce a vuoto e che, in fin dei conti, Putin segua una politica di potenza piuttosto razionale. Ma non possiamo esserne certi. E se le armi occidentali colpiranno sempre più spesso obiettivi nelle vicinanze di Mosca, al Cremlino il rischio di un corto circuito aumenta. Valutando pro e contro, sembra più ragionevole mettere un freno all’uso delle armi occidentali. ◆ sk

Stefan Reinecke è un giornalista tedesco. Segue i lavori parlamentari a Berlino per la Tageszeitung.

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Questo articolo è uscito sul numero 1582 di Internazionale, a pagina 44. Compra questo numero | Abbonati