A Parma non si scherza con la spazzatura. I bidoni rossi della città emiliana fanno già capire che aria tira: “È vietato abbandonare i rifiuti domestici dentro e vicino ai bidoni”. Il richiamo all’ordine è accompagnato da un avvertimento: “Questo comportamento sarà sanzionato”. E le sanzioni possono essere molto salate: fino a diecimila euro di multa più eventuali procedimenti penali per aver lasciato rifiuti pericolosi.
Dieci videocamere installate nella città controllano i “comportamenti scorretti” dei cittadini. Sette sono ben visibili, attaccate a dei lampioni come radar per sensibilizzare gli abitanti, che sono quasi 200mila; tre invece sono nascoste in una sorta di cabine elettriche per riprendere i più ribelli. Le immagini sono analizzate da una ditta specializzata e in caso di sospetta infrazione sono trasmesse agli “ispettori” dell’Iren, l’impresa pubblica a cui il comune di Parma ha affidato la gestione dei rifiuti.
In questo momento la squadra, composta da sette persone, è sulle tracce di un “inquinatore seriale”. In un mese un medico in pensione ha abbandonato 27 volte dei rifiuti domestici trasportandoli con l’auto. Attraverso i video è stato possibile identificare la targa: il pensionato è stato colto in flagranza di reato e ora il suo caso è nelle mani della polizia.
I casi però non sono sempre così semplici per i “detective dei rifiuti”, come si divertono a chiamarsi tra di loro. Con indosso il gilet giallo fluorescente, Sara Mazzola e Nicola Nuzzi, tutti e due sulla trentina, pattugliano le strade del centro cittadino. Trovano un sacco di spazzatura sul marciapiede di fronte a un palazzo e a pochi metri da una videocamera di sorveglianza. Nicola Nuzzi infila un primo paio di guanti di lattice, poi un secondo più spesso, apre il sacco con un taglierino e tira fuori i rifiuti uno a uno. Ci sono mozziconi di sigaretta, contenitori e scatole di cartone provenienti dai fast food o dalle vendite online.
Più generi e più paghi
Sara Mazzola fotografa con il suo smartphone rosa quelli che potrebbero essere “indizi” per risalire al trasgressore. Il quale, per evitare di essere identificato, ha fatto attenzione a togliere l’etichetta con il suo nome dal cartone di spedizione e ha usato un accendino per rendere illeggibile il codice a barre.
“Molto furbo”, commenta Nuzzi.
“Sarà multato tutto il palazzo?”, chiede un’anziana signora affacciata alla finestra del suo appartamento.
“No, non si preoccupi, solo il proprietario del sacco rischia una multa”.
I “detective dei rifiuti” fanno circa quattromila controlli all’anno, e di questi tra il 10 e il 15 per cento porta a una multa, per lo più dovuta a rifiuti abbandonati in strada da chi si sottrae (volontariamente o per ignoranza) ai vincoli della raccolta differenziata e della tariffa puntuale (ogni nucleo familiare paga un canone proporzionale ai rifiuti che genera), i due pilastri del sistema di gestione dei rifiuti di Parma. Una strategia detta “zero rifiuti”, applicata progressivamente dal 2013, che ha dimostrato la sua efficacia ed è stata copiata da molte città: New York, Barcellona, Bruxelles, Bordeaux.
Delegazioni di tutto il mondo (parlamentari, associazioni, ricercatori) non vengono più a Parma solo per assaggiare il suo prosciutto e il suo formaggio, ma per studiare il suo modello.
In una decina d’anni i parmigiani sono diventati i campioni della raccolta differenziata nella regione italiana che è al primo posto per produzione di rifiuti urbani. Il tasso di raccolta di quelli riciclabili è cresciuto in modo spettacolare, passando da meno del 50 per cento all’inizio del 2010 a più dell’80 per cento di oggi, molto in anticipo rispetto all’obiettivo europeo del 55 per cento entro il 2025. La raccolta differenziata è quasi raddoppiata, passando da 270 a 450 chili per abitante, mentre è di circa 60 chili nella regione parigina. Al contrario i rifiuti indifferenziati (mandati all’inceneritore o in discarica) si sono ridotti a quasi un terzo, passando da 305 a 105 chili per abitante. A Parigi oggi sono ancora 268 chili per abitante.
La terza crisi ambientale
Insieme al cambiamento climatico e alla scomparsa della biodiversità, l’inquinamento da materie plastiche legato alla cattiva gestione dei nostri rifiuti (nel mondo se ne ricicla meno del 10 per cento) è la terza grande crisi ambientale che l’umanità si trova di fronte. Ogni minuto viene sversato nell’oceano l’equivalente di un camion pieno di rifiuti plastici. Dopo anni di errori, la comunità internazionale sembra finalmente decisa a combattere questa piaga: un trattato internazionale, sul modello dell’accordo di Parigi per il clima, dovrà essere elaborato entro la fine dell’anno.
Giana Barbini, 83 anni, non ha aspettato le Nazioni Unite per fare la guerra ai rifiuti, di plastica e non. La donna abita nello stesso appartamento del centro città dal 1947. “Nelle cucine moderne ci sono dei contenitori integrati per ogni tipo di rifiuto”, dice Giana; lei però mette i resti alimentari in un piccolo secchio sotto il lavello, la plastica in un grande cestino in corridoio e gli altri rifiuti in cantina, al pianoterra del palazzo. “Se posso farlo io, può farlo chiunque”, dice Giana, mostrando sul tavolo della sala da pranzo la “guida pratica per una buona raccolta differenziata”, tradotto in inglese, francese, spagnolo, romeno, arabo e cinese per rivolgersi a tutte le comunità e in particolare a quella dei circa 30mila studenti che vivono a Parma.
Nei giorni e nelle ore indicati per la raccolta, i marciapiedi della città si riempiono di bidoni blu, marroni, neri e con dei mucchi più o meno voluminosi di sacchi gialli. La raccolta dei rifiuti, fatta porta a porta, a eccezione del vetro, risponde a un calendario settimanale e a degli orari molto precisi a seconda del tipo di materiale e della zona (quattro settori dal centro alla periferia): il lunedì (tra le 9 e le 14) i bidoni blu per la carta, il cartone e i contenitori tipo Tetra Pack; il mercoledì (tra le 21 e le 3 del mattino) i sacchi gialli – dotati di un codice a barre che ne identifica il proprietario – per le plastiche riciclabili e le scatole di conserva; il lunedì, il mercoledì e il venerdì sera i bidoni marroni per l’umido; infine il lunedì e il venerdì sera il bidone nero per l’indifferenziata (mozziconi di sigaretta, penne, spazzolini, rasoi usa e getta, pannolini e così via).
Il bidone nero è la chiave di volta del sistema di tariffa puntuale. Ogni nucleo familiare ne possiede uno, di una capacità standard di 40 litri. Dotato di un processore Rfid (radio-identificazione), è la “spia” dei rifiuti dei parmigiani. I camion della spazzatura hanno uno scanner ottico. Dopo le 21 piccoli automezzi ibridi percorrono il centro storico. Domenico Acune, in tenuta giallo fluorescente dalla testa ai piedi, guida il camioncino intorno al teatro Regio: “Qui si lavora benissimo. Sono di Napoli, e lì appena ti fermi ti suonano il clacson”.
La tassa dei rifiuti è composta da una parte fissa, che dipende dalla superficie dell’alloggio, e da una parte variabile in funzione del numero di bidoni neri svuotati: più sono, più si paga. Una famiglia di tre persone che vive in cento metri quadrati pagherà per esempio 246 euro con 18 ritiri inclusi nel contratto, e 1,60 euro per ogni ritiro supplementare.
Pratiche virtuose
“Viviamo circondati da immondizia, stiamo distruggendo il nostro pianeta. Io ormai la mia vita l’ho fatta, è lei che dovrebbe preoccuparsi”, dice Giana indicando la figlia Cecilia, gli stessi occhi verdi, tornata a vivere qui dopo la morte del marito. “Finita la guerra non avevamo nulla, e si doveva riparare quello che c’era”, ricorda Giana. “Oggi i giovani gettano via tutto. Così mi sembra giusto far pagare di più chi butta di più”. Alcune deroghe sono concesse alle persone con mobilità ridotta o alle famiglie con bambini fino a trenta mesi, grandi consumatrici di pannolini.
“Buttiamo molte cose, ma speriamo che la situazione cambi quando sarà più grande”, dice Nika Tadic, 33 anni, tenendo in braccio il figlio di due mesi e mezzo. Lei e il marito vivono in un quartiere residenziale a sudovest di Parma, in un appartamento al pianoterra con giardino, dove sono allineati cinque bidoni della spazzatura: plastica, carta, vetro, rifiuti biodegradabili e indifferenziato. Il padre, Davide Labrini, preferiva il vecchio sistema: “C’era un grande cassone in strada dove potevi gettare quello che volevi. Il riciclo è ovviamente meglio per il pianeta, ma abbiamo già fatto molti sforzi e il servizio dovrebbe essere gratuito”.
Il sistema offre un po’ di flessibilità quando si sbaglia il giorno di raccolta. Una ventina di “ecostazioni” permette di buttare i propri rifiuti 24 ore su 24 e sette giorni su sette. Le più grandi sono dotate di otto “bocche” (due per ogni tipo di rifiuto). Per aprirle bisogna usare la propria “ecocard” o la tessera sanitaria. Ogni sacchetto di rifiuti indifferenziati sarà quindi messo in conto ai vari nuclei familiari. “Abbiamo ridotto di molto i nostri rifiuti indifferenziati”, riconosce Simona Gondolfi, dipendente della Barilla venuta per gettare tre sacchi di rifiuti plastici, dopo aver perso il passaggio dei netturbini per due settimane di seguito. “Oggi buttiamo un sacco ogni quindici giorni, mentre prima della raccolta differenziata erano almeno due alla settimana”. Sbarazzarsi di nascosto dei propri rifiuti indifferenziati per ridurre la tassa da pagare è rischioso, dato che le ecostazioni sono videosorvegliate.
Esistono comunque dei modi meno complicati per pagare di meno. La tariffa puntuale incoraggia le pratiche virtuose. I “gesti corretti” permettono di accumulare punti e di ridurre la tassa fino al 30 per cento. Gli abitanti che fanno il compost, per esempio, hanno una riduzione della fattura del 12 per cento. Ma finora solo mille famiglie hanno installato una compostiera. Anche sforzarsi di portare in discarica i rifiuti speciali o ingombranti permette di risparmiare, guadagnando punti: 36 per un frigorifero, cinque per una lampada al neon. Ogni punto corrisponde a 15 centesimi.
Circa il 20 per cento dei rifiuti domestici dei parmigiani finisce nelle cinque discariche della città. L’ultima è stata aperta nel 2023. All’ingresso, sempre con l’aiuto della ecocard (o della tessera sanitaria) la persona deve identificarsi e dichiarare ogni oggetto che butta: ferro, metalli, legno, piastrelle, cartoni voluminosi, oggetti ingombranti e così via in otto cassoni giganti.
I rifiuti pericolosi come pesticidi, acidi, detergenti, solventi e spray sono conservati dentro bidoni blu ermetici. I barattoli di vernice vanno su un bancale, come in un ferramenta; le lampadine in due grandi contenitori verdi; le pile in due casse grigie; i medicinali in un raccoglitore bianco. Gli oli alimentari sono raccolti in un serbatoio di 500 litri: serviranno per produrre della colla.
C’è anche il reparto per grandi e piccoli elettrodomestici e per le batterie e le cartucce di inchiostro. “Uno specchio della società dei consumi e dell’obsolescenza programmata”, si lamenta Andrea Peri. Il responsabile della gestione del servizio rifiuti del comune di Parma si consola con il fatto che parte dei materiali (plastica, rame eccetera) è recuperata da aziende specializzate per riutilizzarla.
I “detective dei rifiuti” fanno quattromila controlli all’anno, e di questi tra il 10 e il 15 per cento porta a una multa per i rifiuti abbandonati in strada
Siamo in Italia e tre bidoni marroni sono pieni di capsule Nespresso. “Se non le raccogliessimo noi per separare l’alluminio, finirebbero nell’inceneritore”, spiega Peri. “Le capsule sono un prodotto recente; una volta i fondi di caffè li versavamo direttamente nelle fioriere. È difficile ridurre i rifiuti mentre l’industria continua a mandare nuovi usa e getta sul mercato. Allo stesso modo, con l’esplosione del commercio online, i bidoni sono pieni di cartone; è il nostro stile di vita a produrre questi rifiuti”.
In effetti, anche se sono campioni di riciclo, i parmigiani ancora non padroneggiano perfettamente il concetto di “rifiuti zero”: tra il 2018 e il 2023 la quantità a testa è diminuita solo di venti chili, per arrivare a 557 chili all’anno. Indubbiamente sono settanta chili in meno rispetto alla media regionale e venti chili in meno di un francese medio. Dove può, il comune cerca di chiudere il rubinetto alla fonte, sostituendo per esempio i pannolini usa e getta con quelli lavabili negli asili nido comunali, ma il covid-19 (e le misure di igiene) ha avuto la meglio sull’esperimento.
Nella stessa direzione va la sostituzione delle bottiglie di plastica con acqua del rubinetto in tutte le mense scolastiche o la moltiplicazione dei distributori di acqua liscia e gassata in città. Una misura non facile nel paese della San Pellegrino: “In Italia c’è una vera e propria cultura dell’acqua minerale”, dice Peri, con una bottiglietta d’acqua minerale in mano che smaltisce in una macchina per bottiglie in plastica riciclabile collocata nell’ingresso del comune.
Recuperare il possibile
Il comune aprirà un secondo centro di riuso. Il primo (Altro Giro), vicino a una discarica, è pieno di oggetti di seconda mano: stoviglie, utensili da cucina, lampade, valigie, biciclette, mobili, libri, giocattoli, oggetti di decorazione e così via. “Bienvenue dans la caverne d’Ali Babà”, dice in francese e con un grande sorriso Médoune Wade, il presidente italosenegalese dell’associazione a cui il comune ha affidato la gestione del centro, una via di mezzo tra un negozio dell’usato solidale e un’officina di riparazioni.
Sostituzione delle bottiglie di plastica con acqua del rubinetto nelle mense scolastiche e più distributori di acqua liscia e gassata in città
Il campione del riciclo è Marcelo Marika, albanese e unico dipendente della struttura, che funziona a pieno regime grazie a sette volontari. “Marcelo ripara di tutto, televisori, biciclette, ha anche rimesso in sesto una poltrona”, dice Médoune. “Il nostro scopo è recuperare il possibile. Viviamo in tempi difficili, molte persone hanno perso il lavoro, e qui possono trovare una lavatrice per 40 euro o una tv per dieci”. L’associazione va con un furgoncino a svuotare appartamenti e manda regolarmente in Africa del materiale medico o scolastico fornito da ospedali o da scuole.
Ad Altro Giro non ci sono vestiti, e il comune se ne sta occupando sostenendo un altro esperimento con la cooperativa Emc2: la raccolta a domicilio in biciclette cargo. In questo modo ogni mese tra una e due tonnellate di abiti sono raccolti e rivenduti a prezzi d’occasione nei mercati dell’usato o nel negozio della cooperativa situato nel parco della Cittadella. Il progetto ha una forte dimensione sociale: Emc2 ha sei dipendenti con autismo e il riciclo, il lavaggio e gli eventuali ritocchi dei vestiti competono a persone con problemi di salute mentale, seguite da addetti specializzati nell’integrazione. Davide, 22 anni, appassionato di musica rock come indica la sua maglietta dei Queen, fa una prima selezione tra gli abiti che possono essere subito riutilizzati e quelli da sistemare; quando vede una maglietta dei Nirvana fa salti di gioia. Nella stanza accanto, Elisa, 26 anni, capelli raccolti in uno chignon impeccabile e occhialini tondi, ricuce un vestito con dei ricami rossi.
Anche il compito di Ali Diallo, un maliano di 33 anni, richiede abilità e concentrazione, ma è molto più stancante. Lui e i suoi colleghi nigeriani, senegalesi, burkinabé sono infatti i dipendenti di un’azienda che lavora per il gruppo Iren nel suo moderno impianto di riciclaggio (plastica, cartone, carta). Ognuno è al suo posto davanti a un nastro trasportatore verde coperto di rifiuti che procede a grande velocità. Con guanti, cappello e mascherina, Ali Diallo deve togliere tutto quello che non è carta e che il lettore ottico non ha già messo da parte – oggetti di plastica, portafogli, scarpe da ginnastica. Un giorno la squadra ha addirittura trovato una tartaruga viva. Ali e i suoi colleghi sono tutti sudati. Nella struttura fa caldo, il rumore è assordante, l’odore è forte e il ritmo molto sostenuto. “È un lavoro duro, però siamo pagati bene. A noi va bene così”, dice Ali. Ma il nastro scorre veloce e qualche rifiuto di plastica può sfuggire al suo controllo. “C’è un margine di errore dell’1,5 per cento”, interviene il responsabile, Massimiliano Picchi.
Aperta nel 2022, la struttura è la più grande d’Italia nel suo genere; tratta 135mila tonnellate di rifiuti all’anno provenienti dalla provincia di Parma, da Piacenza e da Reggio Emilia, cioè un bacino di popolazione di circa 1,3 milioni di abitanti. Dentro un immenso capannone si distinguono due montagne di rifiuti: da un lato i cartoni e la carta che vengono regolarmente bagnati per ridurre la polvere; dall’altro le plastiche (sporcate da altri rifiuti) che sprigionano un odore nauseabondo e attirano le mosche.
◆ Secondo i dati elaborati dall’Agenzia prevenzione ambiente energia Emilia-Romagna (Arpae), nel 2023 la raccolta differenziata nella regione ha raggiunto il 77,2 per cento, il 3,2 per cento in più rispetto al 2022. La percentuale maggiore di differenziata ha riguardato i rifiuti organici (36,7 per cento), poi la carta (18,7 per cento), il vetro (9,1 per cento), il legno (8,5 per cento), la plastica (8 per cento) e i rifiuti ingombranti (4,5 per cento). Il capoluogo di provincia con la percentuale più alta di rifiuti differenziati è Ferrara (87,9 per cento) seguita da Reggio Emilia (83,9 per cento), Forlì-Cesena (81,9 per cento), Parma (80,9 per cento), Ravenna (76 per cento), Modena (73,4 per cento), Bologna (72,9 per cento), Piacenza (71,3 per cento) e Rimini (65,8 per cento). Arpae
Due gru li scaricano su nastri trasportatori, che sono più di 150 sempre in movimento su diversi livelli. Una volta superata la selezione ottica e quella meccanica (fatta dalla squadra di Ali), compattati da una pressa enorme i rifiuti sono puliti e diventano delle “materie prime secondarie”, destinate a entrare nella fabbricazione di nuovi imballaggi.
Per le plastiche il discorso è più complicato. Non tutte sono riciclabili, una parte rimarrà un rifiuto indifferenziato e sarà bruciata nel vicino inceneritore insieme ai residui del famoso bidone nero. “A Parma i rifiuti plastici sono di buona qualità”, dice il responsabile del centro. Questo significa che meno del 20 per cento è incenerito, mentre la quota supera il 30 per cento nella vicina Piacenza, meno brava in materia di raccolta differenziata. Messo in servizio nel 2014, l’inceneritore ha una capacità di trattamento di 180mila tonnellate all’anno. Ma visto che i parmigiani hanno ridotto drasticamente il numero di bidoni neri, l’Iren, per rendere redditizio lo sfruttamento dell’impianto, è dovuta andare a cercare i rifiuti nelle province di Piacenza e di Reggio Emilia.
L’impianto non entuasiasma Aldo Caffagni. Nei primi anni dieci, insieme alla sua associazione Gestione corretta dei rifiuti e delle risorse, questo responsabile di un piccolo albergo del centro aveva organizzato delle grandi manifestazioni per le strade di Parma contro l’inceneritore: “L’Iren aveva promesso che avrebbe trattato solo i rifiuti della città”. Le proteste non hanno fermato la costruzione, ma hanno imposto l’argomento nella campagna per le elezioni amministrative del 2012 e la nuova giunta ha completamente rivisto il sistema di raccolta dei rifiuti, abbandonando il trasporto volontario – i cassonetti per strada erano sempre pieni di spazzatura – con il passaggio porta a porta.
Termovalorizzatori
Oggi il gruppo Iren non parla più di inceneritore ma di “termovalorizzatore”, organizza visite scolastiche nel suo “polo ambientale” per spiegare agli studenti che “i rifiuti sono una risorsa” per produrre elettricità (sufficiente per il consumo di 50mila famiglie) e per riscaldare 14mila alloggi, che gli scarichi di ossido di azoto e di altre diossine sono sotto controllo e che la foresta di 15mila alberi che circonda gli impianti “attenua” le emissioni di gas a effetto serra e il particolato del traffico automobilistico della vicina autostrada. “Tutto questo è solo greenwashing”, dice arrabbiato Caffagni. “I tumori li vedremo tra venti o trent’anni”.
Nel suo ufficio in comune, l’assessore all’ambiente Gianluca Borghi è meno drastico: “Indubbiamente l’obiettivo è ridurre la produzione di rifiuti, ma non possiamo fare a meno dei termovalorizzatori. Quando Virginia Raggi era sindaca di Roma (2016-21) diceva che non erano necessari, intanto però continuava a spedire i suoi rifiuti nel resto d’Italia”. Il giorno prima l’assessore ha inaugurato, insieme a un dirigente dell’Iren, la prima centrale solare del comune: 900 pannelli su una superficie di cinquemila metri quadrati in quella che era la più grande discarica di Parma prima che la città decidesse di dichiarare guerra ai rifiuti. ◆ adr
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Questo articolo è uscito sul numero 1588 di Internazionale, a pagina 60. Compra questo numero | Abbonati