Il 22 novembre 2021 circa cento persone si sono radunate a Dealey plaza, a Dallas, nel posto dove 58 anni prima era stato assassinato John Fitzgerald Kennedy (Jfk). Erano convinte che il figlio dell’ex presidente, John F. Kennedy junior, sarebbe comparso per ricevere l’incarico di vicepresidente degli Stati Uniti. Quindi insieme a Donald Trump, nel frattempo reintegrato alla presidenza, avrebbe combattuto e sconfitto la congrega satanica e pedofila che si era impadronita di Washington. Alcuni reggevan0 cartelli con la scritta “Trump-Kennedy 2024”. Quelle persone non credevano che John F. Kennedy junior fosse morto in un incidente aereo nel 1999, ma credevano alla teoria cospirativa di QAnon. Quando la profezia non si è avverata, hanno detto che Kennedy junior sarebbe apparso al concerto dei Rolling Stones quella sera a Dallas. Alcune sostenevano che con lui ci sarebbero state altre persone date per morte da tutti ma in realtà ancora vive, come Robin Williams, Michael Jackson e lo stesso Jfk, che nel 2021 avrebbe avuto 104 anni.
Se volessimo trovare il punto d’inizio di quest’epoca di complottismo dovremmo partire dal 22 novembre 1963. L’omicidio di Jfk ha contribuito alla nascita della cosiddetta post-verità e delle fake news, e ha alimentato la diffidenza nei confronti degli esperti e dei mezzi d’informazione tradizionali.
Naturalmente le teorie cospirative esistevano anche prima del 1963. Ma l’attentato contro Jfk fu uno dei primi eventi a essere seguiti in tempo reale dai mezzi di comunicazione di massa. Grazie alle notizie in diretta e ai programmi radiofonici, l’opinione pubblica poté conoscere gli sviluppi della storia, dalla morte di Lee Harvey Oswald ucciso da Jack Ruby in diretta tv, due giorni dopo l’omicidio di Jkf, ai funerali che si svolsero a Washington il 25 novembre 1963.
Non si trattava solo della morte di un presidente: l’assassinio di Jfk segnò anche la fine dell’epoca cominciata dopo la seconda guerra mondiale, caratterizzata dalla sicurezza, dalla stabilità e dalla fiducia. Per certe persone “frantumò il nostro senso della realtà”, sostiene Clare Birchall, docente di cultura contemporanea al King’s college di Londra, che studia da tempo le teorie complottiste. Birchall cita il politologo Fredric Jameson, secondo cui i fatti del 22 novembre 1963 segnarono “il passaggio all’età adulta dell’intera cultura dei mezzi d’informazione”, e lo scrittore Don DeLillo, convinto che abbiano “reso profondamente incerta la nostra presa sulla realtà”.
Paure legittime
L’omicidio di Jfk suscitò una reazione diversa rispetto ad altri eventi anche perché molti elementi della versione ufficiale semplicemente non quadravano. Questo rendeva la vicenda più inquietante e portava più persone a credere alle teorie cospirative. Com’era possibile che Oswald, un personaggio anonimo con un vecchio fucile di precisione, fosse riuscito da solo a uccidere un presidente? Nel 1964 la commissione parlamentare Warren escluse altre possibilità, ma invece di chiudere la questione alimentò nuovi interrogativi. Perché Oswald aveva detto di essere un “capro espiatorio”? Quali erano le vere ragioni che avevano portato Ruby a uccidere Oswald? Chi altro voleva la morte di Kennedy? La mafia? I comunisti? Il complesso militare industriale? La Cia? Lyndon Johnson, vicepresidente e suo successore? Tutti quanti loro?
Secondo Birchall, dopo i fatti di Dallas gli statunitensi smisero di preoccuparsi “delle teorie complottiste sulle minacce esterne provenienti dalla Russia e cominciarono a sospettare dei complotti interni al proprio governo”. Con il passare degli anni sessanta e settanta emersero ulteriori motivi per diffidare delle versioni ufficiali: la guerra in Vietnam, lo scandalo Watergate e gli interventi di Washington in altri paesi, dal Cile all’Indonesia, per non parlare dell’assassinio di Martin Luther King e di Robert Kennedy, il fratello di Jfk. In effetti dietro molte di queste vicende c’era davvero un complotto. “Negli ambienti della sinistra universitaria molte persone si convinsero che il governo mentisse di continuo,” dice Peter Knight, docente di studi americani all’università di Manchester ed esperto della cultura complottista su Kennedy. Essere paranoici significava essere sani di mente. “La gente era preoccupata per l’influenza del complesso militare industriale, dall’eccessivo potere dello stato nella gestione della sicurezza e, naturalmente, per la sensazione che tutti quegli omicidi nascondessero qualcosa di losco”. Secondo il Pew research center durante la presidenza Kennedy il 75 per cento degli statunitensi si fidava del governo; alla metà degli anni settanta il dato era sceso sotto il 40 per cento. “Credo che l’assassinio di Kennedy funzioni come una scena primaria ricordata male. Ogni evento è ricollegato a quell’attentato, considerato come il momento in cui tutto andò orribilmente storto”, sostiene Knight.
Le principali teorie complottiste su Kennedy si diffusero negli anni settanta, continua Knight. Il noto filmato di Abraham Zapruder – 26 secondi di riprese amatoriali realizzate dal sarto di Elm
street che stava assistendo al corteo presidenziale, in cui si vede l’omicidio in tutta la sua brutalità – fu trasmesso in tv per la prima volta nel marzo 1975. Quell’anno il senato statunitense aprì un’inchiesta sui tentativi della Cia, dell’Fbi e di altre agenzie governative di insabbiare le indagini. Questo portò a una nuova indagine della camera. Nelle conclusioni, pubblicate nel 1979, si diceva che Oswald probabilmente non era l’unico colpevole e che forse si era trattato di un complotto, ma non si faceva il nome di nessun potenziale complice e molti dei risultati sono rimasti segreti per cinquant’anni, un fatto che ha alimentato ulteriori speculazioni. Le teorie sull’omicidio diventarono un passatempo nazionale. I vari elementi del caso entrarono nel linguaggio comune: la collinetta erbosa, la pallottola magica, il secondo tiratore. Tutti diventarono esperti di balistica e fori d’uscita.
Una comunità
La morte di Jfk trasformò il complottismo in un’industria. Nel 1966 Mark Lane – avvocato e attivista che ha indagato per tutta la vita sui fatti di Dallas – pubblicò Rush to judgement (Giudizio affrettato), un libro che metteva in dubbio i risultati della commissione Warren e che rimase per due anni nella lista dei libri più letti del paese. Da allora sono stati pubblicati più di mille testi sull’argomento. Tante persone capirono subito che si potevano fare soldi sostenendo tesi complottiste.
Qualche settimana fa ne è spuntata una nuova. Paul Landis, che il 22 novembre 1963 era una delle guardie del corpo del corteo presidenziale, ha “rotto il silenzio” con un libro intitolato The final witness, il testimone finale. Landis aggiunge un altro mattoncino alla pista della cospirazione, sostenendo di aver rimosso una pallottola dal sedile posteriore della limousine di Kennedy – forse proprio “la pallottola magica” che uccise Jfk e ferì John Connally, il governatore del Texas – e di averla poi messa su una barella in ospedale, dove fu ritrovata. Gli esperti si chiedono perché Landis abbia aspettato tanto tempo per raccontare la sua storia e se i suoi ricordi siano accurati.
I fatti di Dallas hanno ispirato anche grandi scrittori, tra cui Don DeLillo, Norman Mailer, J.G. Ballard, James Ellroy e Thomas Pynchon. Il romanzo pubblicato da DeLillo nel 1988, Libra, fa luce sulla natura del complottismo e sulle narrative postmoderne. Oltre a essere uno studio speculativo del personaggio di Oswald, immagina un agente della Cia che esamina gli archivi a distanza di decenni cercando di dare un senso alla marea di informazioni. Secondo DeLillo è questo, in estrema sintesi, l’istinto complottista: immaginare di trovare un senso in quello che altrimenti sarebbe un mondo caotico e casuale. È anche, lascia intuire l’autore, la funzione degli artisti. “È possibile che sarei diventato un tipo di scrittore senza quell’assassinio”, ha detto in un’intervista.
Nel 1991 uscì Jfk di Oliver Stone, un film che diede una nuova spinta al complottismo. Stone era stato uno di quei ragazzi che avevano vissuto l’omicidio di Kennedy come il momento in cui “tutto andò storto”. Il film si basa sulle discutibili indagini del giornalista investigativo Jim Marrs e del procuratore distrettuale di New Orleans, Jim Garrison. Nel momento culminante delle tre ore di Jfk Garrison, interpretato da Kevin Costner, presenta le sue conclusioni in un’aula di tribunale, esponendo in dettaglio una complessa trama cospirativa e riproponendo le immagini di Zapruder con la testa squarciata di Kennedy, per dimostrare che c’era un secondo tiratore.
È un film potente, avvincente e pieno di sciocchezze. Nel 1969 Garrison aveva provato senza successo a far condannare Clay Shaw, imprenditore e collaboratore dei servizi segreti, accusato di aver partecipato al complotto. Per tenere insieme la sua storia Stone ha modificato i fatti e aggiunto personaggi inventati, ma la sua ricostruzione è stata ampiamente smentita. Però l’opinione pubblica credette a quella storia. Jfk guadagnò più di duecento milioni di dollari al botteghino e vinse molti premi. Il successo del film portò il congresso ad approvare il Jfk records act, che ordinava all’archivio nazionale di raccogliere tutti i documenti ufficiali relativi all’attentato e renderli pubblici, anche se alcune carte sono consultabili solo dal 2022.
A quel punto intorno all’omicidio di Kennedy si era creata una comunità. “Ne facevano parte persone che non si consideravano complottisti ma studiosi seri”, dice Birchall. È difficile stabilire con precisione quando i primi abbiano avuto il sopravvento, ma gradualmente si sono trasformati in una sottocultura. Knight ricorda di aver partecipato ad alcune conferenze sull’assassinio di Kennedy nei primi anni novanta: “Sul piano sociologico somigliavano stranamente a riunioni accademiche, nel senso peggiore del termine: gente che discuteva all’infinito sui minimi dettagli di questioni specialistiche che nel mondo reale non interessavano a nessuno”.
Parola di nipote
Un po’ alla volta le teorie su Kennedy cominciarono a fondersi con altre – gli insabbiamenti del governo sugli ufo, i programmi militari segreti, i fenomeni paranormali – e all’inizio degli anni duemila la situazione è sfuggita di mano. Internet ha accelerato la nascita di un nuovo genere e di una nuova industria del complottismo. Le chat e i social network hanno aiutato le persone a diffondere e monetizzare i loro contenuti, in un contesto dove è diventato motivo d’orgoglio essere criticati dai mezzi d’informazione tradizionali. Sono arrivate nuove cospirazioni da esaminare, a partire dagli attentati dell’11 settembre 2001.
Su Infowars, il sito creato dal conduttore radiofonico di estrema destra Alex Jones, l’attentato alle torri gemelle è stato definito un’operazione false flag, cioè realizzata con l’obiettivo di proteggere i veri responsabili e incolpare qualcun altro. Jones ha sostenuto teorie simili sull’attentato di Oklahoma City del 1995 e sulla sparatoria nella scuola Sandy Hook, nel 2012, in cui sono stati uccisi venti bambini.
A quel punto gran parte dei complottisti di sinistra aveva abbandonato la nave, e a sostenere teorie discutibili erano soprattutto persone di destra come Jones, omofobe, razziste e vicine al suprematismo bianco. Nell’era di Kennedy la sinistra sospettava l’esistenza di un “governo invisibile” che faceva pendere segretamente la bilancia a suo sfavore; ora la destra accusa lo “stato profondo” di fare altrettanto per danneggiarla.
Poi è arrivata la pandemia di covid-19, che, per dirla con le parole della scrittrice canadese Naomi Klein, ha messo insieme persone molto di destra con persone molto strambe. I movimenti no vax sono diventati tutt’uno con chi attacca la tecnologia 5g e con chi diffonde teorie antisemite. Il covid ha causato quella che la giornalista Anna Merlan definisce “singolarità cospirativa”: “Movimenti che sembravano eterogenei hanno trovato una causa comune. Per molti è stata un’occasione per fare soldi e richiamare l’attenzione remando nella stessa direzione. Sono riusciti a saltare in gruppo su nuovi argomenti con disinvoltura”.
Secondo Birchall, a questo punto le teorie cospirative hanno smesso di essere una sfida alle autorità. “Hanno perso qualunque forza critica, anche quando parlano di ingiustizie. Sono diventate un’arma nelle guerre per procura – guerre culturali – usata spesso da chi è al potere”.
Invece di richiamare i politici alle loro responsabilità, il complottismo è diventato uno strumento politico. Ne è una prova la teoria della “grande menzogna” sostenuta da Donald Trump a proposito delle elezioni del 2020. Anche se è stato dimostrato che le sue accuse di brogli erano infondate, a marzo un sondaggio ha rivelato che il 63 per cento degli elettori repubblicani le prende ancora per buone.
Il cerchio si chiude con l’ultimo politico statunitense che ha usato le teorie cospirative come un’arma: Robert Kennedy Jr., nipote di Jfk e figlio di Bobby Kennedy. Candidato alle elezioni presidenziale del 2024 da indipendente, Robert Kennedy Jr. si è spinto oltre tanti altri complottisti, sostenendo che il covid “è stato concepito per colpire i bianchi e i neri” mentre “gli ebrei ashkenaziti e i cinesi” sono immuni. In varie interviste ha rilanciato le tesi sul 5g che minaccia la salute, sui vaccini che causano l’autismo, sugli antidepressivi che provocano le stragi di armi da fuoco. Sembra che il suo cognome gli conferisca autorevolezza in materia di complotti. Naturalmente è intervenuto anche sull’omicidio dello zio.
A maggio ha detto al canale tv Fox News che ci sono stati “sessant’anni di insabbiamenti” e di avere “forti prove” del coinvolgimento della Cia. Ha aggiunto che suo padre, all’epoca ministro della giustizia, telefonò alla Cia chiedendo: “Siete stati voi?”.
“Il primo pensiero di mio padre fu che fosse stata la Cia a uccidere il fratello”, ha detto. Anche se sbaglia su tutto il resto, in questo potrebbe anche avere ragione. Ma chi è disposto a credergli? Chi è disposto a credere a chiunque, a prescindere dalle prove che presenta? Chiunque abbia ucciso Kennedy non poteva immaginare le ripercussioni storiche di questo avvenimento e l’entità dei danni collaterali. ◆ gc
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Questo articolo è uscito sul numero 1538 di Internazionale, a pagina 62. Compra questo numero | Abbonati