Il 16 febbraio centinaia di funzionari dell’élite diplomatico-militare europea hanno lasciato la città tedesca di Monaco, dove si era svolta la conferenza sulla sicurezza, scossi, preoccupati e in alcuni casi indignati. E soprattutto con la sensazione di aver vissuto tre giorni che hanno cambiato il mondo, o almeno quel mondo nato dopo la seconda guerra mondiale a partire dalla solida alleanza tra Stati Uniti ed Europa. Alla fine della conferenza il divario tra questi due blocchi sembrava più grande che mai. Il presidente finlandese Alexander Stubb ha cercato di riassumere il sentimento generale citando Lenin, a cui ha attribuito questa frase: “Ci sono decenni in cui non succede niente, e ci sono settimane in cui succedono decenni”.
In effetti la storia del rapporto tra l’Europa e gli Stati Uniti sembra aver subìto una brusca accelerazione in pochi giorni. Il 10 febbraio il vicepresidente statunitense JD Vance, inviato da Donald Trump a Parigi, ha pensato bene di bacchettare l’Unione europea a proposito della sua “regolamentazione eccessiva” dell’intelligenza artificiale. Due giorni dopo Washington ha sconvolto il mondo politico e diplomatico europeo, in fibrillazione già dall’insediamento della nuova amministrazione, il 20 gennaio, annunciando che il presidente aveva avuto una conversazione cordiale con il leader russo Vladimir Putin su come mettere fine alla guerra in Ucraina e che Trump aveva informato il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj solo in un secondo momento. Il 13 febbraio Pete Hegseth, segretario alla difesa, ha detto agli alleati riuniti a Bruxelles che gli Stati Uniti hanno cose più importanti a cui pensare rispetto alla situazione dell’Europa. Ancora prima dell’inizio della trattativa con Mosca, Hegseth ha messo in chiaro che l’Ucraina dovrà rinunciare ai territori conquistati dalla Russia e all’idea di entrare nella Nato. Dichiarazioni che saranno sicuramente piaciute al Cremlino.
È in questo contesto che i ministri della difesa europei sono partiti per Monaco, senza sapere che il peggio doveva ancora arrivare. Il 14 febbraio Vance ha attaccato le democrazie europee, accusandole di soffocare le libertà. “Un discorso fascista e antieuropeo”, ha commentato un diplomatico presente. Senza offrire la minima risposta su come l’amministrazione Trump voglia imporre la pace in Ucraina, il vicepresidente si è rifiutato di incontrare il cancelliere tedesco Olaf Scholz e ha preferito intrattenersi con Alice Weidel, la candidata del partito di estrema destra Alternative für Deutschland. Un’ingerenza senza precedenti in piena campagna elettorale tedesca, che a molti è sembrata una provocazione. A questo punto è chiaro che la guerra ideologica è stata dichiarata. “Vogliono farci la pelle e dividere l’Europa”, ha commentato il deputato cristiano-democratico tedesco Norbert Röttgen, atlantista di lunga data.
Confusione a Washington
Il 15 febbraio è stato il turno del generale Keith Kellogg, inviato dell’amministrazione Trump per l’Ucraina. Ai funzionari europei che ripetevano “niente si decida sull’Ucraina senza l’Ucraina e niente sull’Europa senza l’Europa”, Kellogg ha risposto in modo raggelante: sì agli ucraini, ma no agli europei. La questione, ha precisato il generale, sarà risolta in tempi brevi, non nell’ordine di mesi ma “di settimane o di giorni”. La sera stessa i capi della diplomazia russa e statunitense, Sergej Lavrov e Marco Rubio, si sono parlati al telefono. Il 16 febbraio i negoziatori statunitensi e il segretario di stato erano in viaggio verso l’Arabia Saudita, dove hanno incontrato Lavrov e la delegazione russa. Gli ucraini e gli europei non sono stati invitati. In tutto questo si fa strada la possibilità di un vertice tra Putin e Trump in Arabia Saudita nel caso di un accordo per il cessate il fuoco. E così, all’improvviso, l’ipotesi della presenza di Trump al fianco di Putin e del presidente cinese Xi Jinping sulla piazza rossa di Mosca per la tradizionale parata della vittoria del 9 maggio non sembra più inimmaginabile. Il presidente statunitense ha perfino accennato alla possibilità di reintegrare la Russia nel G7, da cui era stata esclusa nel 2014 dopo l’annessione della Crimea.
A preoccupare gli europei non è solo questa evoluzione frenetica ma anche la mancanza di trasparenza del piano statunitense per l’Ucraina, sempre che un piano esista. Intanto le contraddizioni all’interno dell’amministrazione Trump alimentano la confusione. Appena un giorno dopo le dichiarazioni di Kellogg, Rubio ha espresso una posizione diversa, sostenendo che gli europei saranno “coinvolti” nel negoziato sull’Ucraina. Quando e in che modo? Non si sa.
Dalle sue conversazioni con i leader statunitensi, Zelenskyj ha concluso che ancora non hanno concordato un piano per mettere fine alla guerra. C’era un progetto, ma incentrato su un aspetto particolare: un contratto che assegnasse agli Stati Uniti i diritti di sfruttamento delle terre rare in Ucraina come risarcimento per gli aiuti forniti a Kiev. Zelenskyj ha respinto la proposta, convinto che non contenesse abbastanza garanzie di sicurezza per il suo paese.
Il 18 febbraio 2025 una delegazione statunitense e una russa, guidate rispettivamente dal segretario di stato Marco Rubio e dal ministro degli esteri Sergej Lavrov, hanno partecipato a dei colloqui a Riyadh, in Arabia Saudita, in cui hanno concordato d’istituire un “meccanismo di consultazione” per appianare le divergenze tra Mosca e Washington e di nominare dei negoziatori per mettere fine alla guerra in Ucraina. Alla fine dell’incontro, il primo tra i capi delle diplomazie dei due paesi dopo l’invasione russa dell’Ucraina, Rubio ha detto che Washington vuole una fine “giusta e duratura” della guerra, che aprirebbe “straordinarie opportunità” di partenariato tra Stati Uniti e Russia. Ha aggiunto che tutte le parti coinvolte dovranno essere presenti al tavolo dei negoziati, compresa l’Unione europea, che “avendo adottato delle sanzioni contro la Russia dovrà partecipare ai negoziati a un certo punto”. Secondo il New York Times, la Russia corteggia Trump promettendo l’accesso alle risorse naturali russe.
Intanto l’Europa cerca di capire come rispondere al brusco cambio di rotta degli Stati Uniti rispetto alla guerra in Ucraina e ai rapporti con Mosca. “Il 17 febbraio a Parigi c’è stato un incontro d’emergenza tra i principali leader europei, organizzato dal presidente francese Emmanuel Macron”, scrive Politico. L’obiettivo era stabilire un piano d’azione che permettesse all’Europa di non rimanere esclusa dalle trattative sulla fine della guerra in Ucraina. Dal vertice è emersa la richiesta di aumentare la spesa per potenziare le capacità di difesa europee, ma sono rimaste divisioni su diversi aspetti, a cominciare dalla possibilità di inviare soldati in Ucraina con incarichi di peacekeeping. Macron e il premier britannico Keir Starmer si sono detti favorevoli, mentre il primo ministro polacco Donald Tusk si è opposto e il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha detto che parlare di invio di truppe è prematuro. ◆
In Europa c’è un’evidente inquietudine per l’accordo che Trump sarebbe pronto a concludere con Putin. “Un cessate il fuoco non significa la pace”, hanno ripetuto a Monaco i leader europei, molti dei quali non si fidano del presidente russo. Per loro il pericolo è evidente: se non si garantirà una “pace giusta e duratura”, Putin tornerà ad attaccare l’Ucraina appena possibile, e non si fermerà all’Ucraina. Ironia del calendario, il 16 febbraio ricorreva il primo anniversario della morte in carcere dell’oppositore russo Aleksej Navalnyj, il cui annuncio aveva sconvolto la conferenza di Monaco del 2024. Quest’anno la vedova di Navalnyj, Yulia Navalnaya, è tornata a Monaco per mettere in guardia tutti quelli che sono tentati di concordare la pace con Putin. “Vi tradirà. Cambierà le regole all’ultimo momento e vi costringerà a stare al suo gioco”.
In ogni caso Zelenskyj ha capito che gli conviene muoversi su più tavoli. Il 15 febbraio il presidente ucraino ha cercato di risvegliare gli europei e di convincerli a costruire insieme all’Ucraina la sicurezza dell’Europa, cioè a puntare sulle tanto discusse “forze armate europee”, impegnandosi allo stesso tempo a trovare una sintonia con Trump. “Conto su di lui”, ha dichiarato.
Lo stesso dilemma riguarda gli europei, che in questi giorni si sono resi conto che la situazione della loro sicurezza è cambiata radicalmente. “Siamo effettivamente entrati in una nuova era”, ha riconosciuto Friedrich Merz, capo dell’Unione cristiano-democratica e probabile prossimo cancelliere tedesco, facendo riferimento alla Zeitenwende annunciata da Scholz qualche giorno prima dell’invasione russa dell’Ucraina, nel 2022. “Questa settimana è la più chiarificatrice che abbiamo vissuto”.
◆ “Ad alimentare la tensione tra l’amministrazione Trump e i paesi europei c’è anche il tema dei dazi commerciali”, scrive Politico. Il 10 febbraio 2025 il presidente statunitense ha ripristinato i dazi sulle importazioni di acciaio e di alluminio che aveva introdotto durante il suo primo mandato. E ha annunciato che a partire da inizio aprile imporrà tariffe “reciproche”, cioè dazi contro paesi che secondo lui attuano pratiche commerciali e finanziarie scorrette nei confronti degli Stati Uniti, e che potrebbero infliggere danni enormi all’industria automobilistica europea. La Commissione europea ha risposto cercando il dialogo, ma si sta preparando a rispondere a Trump se i negoziati dovessero fallire. “Dopo essere stata colta di sorpresa durante il primo mandato di Trump, sotto la spinta della Francia l’Unione europea ha rafforzato i suoi strumenti di difesa commerciale, innanzitutto rinnovando il suo regolamento che consente di rispondere se le violazioni dei partner negli accordi commerciali danneggiano i suoi interessi economici”.
Dovilė Šakalienė, ministra della difesa lituana, ha detto di aver notato “un cambiamento interessante” tra i suoi colleghi europei, che ha trovato “tutti un po’ scossi”. “Nell’arco di 24 ore siamo passati dall’illusione che gli Stati Uniti volessero difendere l’Europa alla presa di coscienza che dovremo sbrigarcela da soli, magari con un po’ di aiuto da parte di Washington. C’è una grande differenza”. Soprattutto dal punto di vista del bilancio, viene da dire. Sul Financial Times il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa ha parlato dei “negoziati sulla nuova architettura di sicurezza, che dovrebbe tenere conto della minaccia rappresentata dalla Russia, una minaccia globale e non solo per l’Ucraina”.
Un posto a tavola
Ma come può l’Europa garantire la propria sicurezza senza averne i mezzi e dopo più di un decennio in cui è stata incapace di prendere atto della tendenza al disimpegno degli statunitensi? Come fare a meno degli Stati Uniti in un momento in cui la difesa europea non è pronta a prenderne il posto e la minaccia russa non è svanita?
Questa prospettiva, a cui è impossibile sottrarsi davanti alla brutalità della squadra di Trump, è potenzialmente devastante per l’unità dell’Europa. “Ho sempre pensato che gli Stati Uniti potessero dividerci più della Russia o della Cina”, ha confessato un funzionario a Bruxelles. I paesi più esposti alle ambizioni russe avranno la tentazione di corteggiare Trump per mantenere la presenza delle truppe statunitensi invece che scommettere su una rinascita europea.
Ma resta il fatto che questa rinascita è indispensabile per fare in modo che l’Ucraina sia nella condizione di difendersi, anche nell’ipotesi di un cessate il fuoco. Va letta in questa chiave la decisione francese di organizzare un incontro d’urgenza tra i leader di alcuni paesi europei – definiti “capaci e volenterosi” – a Parigi il 17 febbraio, accolta favorevolmente a Monaco. La rinascita passa inevitabilmente dall’abbandono degli schemi europei tradizionali, per evitare i blocchi e coinvolgere il Regno Unito.
All’incontro hanno partecipato i leader di Francia, Germania, Regno Unito, Italia, Polonia, Spagna, Paesi Bassi e Danimarca, insieme al presidente del Consiglio europeo Antonio Costa, alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e al segretario generale della Nato Mark Rutte. L’obiettivo era capire cosa mettere sul piatto per rivendicare un posto al tavolo dei negoziati sull’Ucraina. Rutte ha cercato di incoraggiare i leader europei: “Imponetevi nel dibattito, non lamentandovi ma con proposte concrete, come le garanzie di sicurezza”.
Le garanzie di sicurezza di cui parla il segretario generale della Nato sono al centro del dibattito su ciò che accadrà dopo il cessate il fuoco in Ucraina. Washington ha messo con le spalle al muro i partner europei inviando a ciascuno un questionario sulle risorse che è disposto a mettere a disposizione per garantire la sicurezza dell’Ucraina di fronte alle forze russe in caso di interruzione delle ostilità. Oltre alle missioni di sorveglianza del cessate il fuoco, secondo alcune fonti vicine alla trattativa l’invio di truppe europee sul posto come forza di dissuasione è un’ipotesi che potrebbe corrispondere a una garanzia di sicurezza. I francesi e i britannici sono pronti, come ha confermato la sera del 16 febbraio il premier britannico Keir Starmer.
Questa ipotesi solleva una serie di domande: sul numero di truppe, sulla loro gestione, sulla reazione a un eventuale attacco, sul ruolo che potrebbe avere la Nato (anche se l’Ucraina non ne fa parte) e soprattutto sugli equipaggiamenti che solo gli statunitensi possono fornire per appoggiare un dispiegamento europeo. È ancora presto per affrontare questi temi, spiegano i diplomatici coinvolti: “Siamo all’inizio dell’inizio”. Tuttavia, in questo momento di crisi, sembra davvero che la dinamica del riarmo dell’Europa sia stata avviata. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1602 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati