Rocco Papalia, 72 anni, è una persona taciturna e ombrosa, che va in giro in tuta. Gli piace portare a passeggio il cane e fare la spesa al supermercato vicino a casa. A Buccinasco, periferia benestante a sudovest di Milano, tutti sanno chi è. Nonostante l’apparenza, è un boss della ’ndrangheta. Un tempo negoziava le consegne di cocaina con i colombiani del cartello di Medellín. Faceva l’imprenditore edile e le sue ruspe lavoravano in tutti i cantieri della zona. Quelle dei concorrenti troppo temerari di solito finivano bruciate. All’epoca Papalia si faceva chiamare “u nginu”, una parola senza un significato che ripeteva da bambino.
Papalia ha conosciuto il carcere: ventisei anni per omicidio – un regolamento di conti davanti a una discoteca milanese – seguiti da diciannove mesi per non aver rispettato i termini della libertà vigilata. Nel 2020 è tornato a Buccinasco, un paese di ventottomila abitanti. Lo stato italiano ha confiscato una parte della sua villa e l’ha assegnata al comune per attività di volontariato. Papalia ha fatto causa al comune per usare un cortile interno. La decisione è attesa per l’inizio del 2023. Se dovesse vincere i pochi metri quadrati del cortile gli servirebbero per stendere il bucato, sistemare i bidoni della spazzatura e fare qualche grigliata. Ma l’obiettivo è simbolico: quando il cortile era suo c’era una statua della Madonna del santuario di Polsi, paese calabrese in cui per tanto tempo si sono riuniti i principali clan della ’ndrangheta, compresi i Papalia.
La finestra sul cortile
Questo “conflitto di vicinato” è il simbolo della guerra di logoramento tra le autorità locali e “u nginu”. “Qui ho fatto più io del sindaco perché ho costruito mezza città. Se qualcuno deve andarsene da qui, è lui!”, sosteneva il boss nel 2021 davanti alle telecamere. Ce l’aveva con Rino Pruiti, che lo aveva sfidato organizzando dei consigli comunali nel suo famoso cortile, sotto le finestre del mafioso.
“I Papalia sono arrivati a Buccinasco nel 1974 con il grande flusso migratorio dei calabresi in Lombardia. Hanno trovato in questa cittadina, all’epoca una periferia rurale, la base ideale per la loro espansione. C’era la ricchezza delle fabbriche e tanto da fare nel settore immobiliare”, racconta il sindaco Pruiti.
Due fratelli Papalia, Antonio e Domenico, sono stati condannati all’ergastolo. Buccinasco ha conquistato così il soprannome di “Platì del nord”, con allusione al comune in Aspromonte, noto per la forte presenza mafiosa e terra d’origine dei Papalia e dei clan alleati, in particolare i Sergi e i Barbaro. Sono 2.200 le famiglie di Buccinasco che provengono da Platì.
Qui c’era la ricchezza delle fabbriche e tanto da fare nel settore immobiliare
Il magistrato Alberto Nobili, in pensione da ottobre del 2022, dopo 42 anni di servizio a Milano, ha vissuto l’espansione della ’ndrangheta in Lombardia: “Le famiglie hanno cominciato con i sequestri di persona. Con i soldi dei riscatti hanno potuto sviluppare prima il traffico d’eroina e poi quello di cocaina. La loro importanza nella regione è aumentata con la gestione dei rifiuti legati all’edilizia. Da qualche anno sono inseriti nel tessuto imprenditoriale e preferiscono non attirare l’attenzione”.
A Buccinasco i ventisette beni immobiliari sequestrati testimoniano questo radicamento. In via Aldo Moro il box di un garage sotterraneo è usato da un’associazione di scout per conservare il proprio materiale, ma nel 1988 qui è stato tenuto prigioniero il figlio del titolare di una concessionaria di Pavia, liberato 743 giorni dopo in Aspromonte, in cambio di un riscatto di un miliardo di lire.
A poche vie di distanza anche la villa in cui c’è la sede della Croce rossa locale ha avuto una storia movimentata. Nell’edificio da più di tre milioni di euro hanno vissuto Antonio Papalia, sua moglie Rosa Sergi e i tre figli. Ma l’eredità dei Papalia-Sergi è difficile da gestire. Quando il comune ha lanciato un appalto per ristrutturare la villa, nessuna azienda locale ha osato partecipare. “Ogni decisione che prende il comune è delicata”, osserva Pruiti. “Dobbiamo fare attenzione a tutte le gare d’appalto e controllare i cambi di proprietà delle imprese edili”. Negli ultimi mesi alcuni bar, una stazione di servizio e un gommista sono stati chiusi per infiltrazione mafiosa. Ma l’appetito del clan va ben oltre i confini di Buccinasco. Così gli stanziamenti legati ai lavori per le olimpiadi invernali del 2026 di Milano-Cortina devono essere monitorati attentamente dalla magistratura. Il primo arresto c’è stato a giugno del 2022 e riguardava un imprenditore originario di Platì che aveva anche degli affari a Buccinasco.
Nella prima metà di dicembre 2022 alcune operazioni condotte dalla magistratura e dalle forze dell’ordine hanno indebolito altri clan presenti in Lombardia sospettati di estorsione, usura e frode elettorale: il 12 dicembre sono state arrestate dieci persone nella periferia di Milano e a Cremona. Il giorno dopo 65 a Reggio Calabria e nella provincia di Brescia.
Per Alessandra Dolci, magistrata e coordinatrice della Direzione distrettuale antimafia di Milano, il radicamento della ’ndrangheta nel nord è una grave minaccia. “Si tratta di una mafia che punta sui fallimenti delle aziende, sulle fatture false, sui crediti di imposta e che si avvale di commercialisti ed esperti di finanza. Ma non è autonoma: le decisioni strategiche, come le nomine, vengono prese in Calabria”. Il “ramo” lombardo è un aiuto per le aziende locali, offre manodopera a buon mercato e prestiti in modo più semplice delle banche. Quindi per arricchirsi non ha bisogno di essere violenta. L’ultimo omicidio nella zona attribuito all’organizzazione criminale risale a trent’anni fa.
Da allora Buccinasco vive in una sorta di finta tranquillità, una forma di convivenza strana, tra i grandi criminali e il resto degli abitanti. Ci si incrocia nei negozi, a scuola, nelle palestre. E i piccoli che giocano a calcio e che provengono dai clan mafiosi sono spesso trattati con deferenza: sono loro a tirare i rigori e guai a chi prova a fare fallo sul figlio di un boss.
Francesca Grillo, nata a Buccinasco, si occupa della cronaca della sua città per il quotidiano Il Giorno. Ormai non conta più le minacce, gli atti di vandalismo e gli sputi ricevuti dalle donne dei boss. Ci dà appuntamento nell’unico bar in cui si sente al sicuro. “In un primo tempo gli abitanti hanno avuto paura, anche se si è fatta strada una forma di resistenza civica. Così per continuare a fare i loro affari, alcuni mafiosi si sono spostati verso paesi più anonimi in provincia di Pavia”.
Il colonnello Domenico La Padula dirige i 170 carabinieri della periferia sudovest di Milano: “Qui nessuno delle generazioni più giovani si dissocia dalla famiglia criminale. Le loro riunioni le fanno passeggiando, per non essere intercettati. Non hanno bisogno di mettere paura, cercano il consenso”. A Buccinasco non si spaccia droga. “Tengono la loro città pulita”, precisa il colonnello. “Invece nelle altre zone, compresa Milano, fanno lavorare dei pusher nordafricani”.
Rifiuti tossici
L’orgoglio di “u nginu” è Buccinasco Più, un quartiere con edifici di mattoni ocra e grandi parcheggi. Claudio (il nome è di fantasia) è stato uno dei primi a comprare un appartamento all’ultimo piano di un edificio in questa zona. “Si sa che Buccinasco Più è la ‘casa dei boss’. Ma la costruzione non è di cattiva qualità. Ogni tanto si sentono strani odori e ho un po’ paura delle polveri del sottosuolo, ma non mi faccio troppe domande e con i vicini non ne parliamo”.
L’allusione agli odori e alle polveri rimanda a un problema noto: il sottosuolo riempito negli anni con rifiuti tossici. Un modo per i clan di guadagnare dallo sbancamento, dalla gestione dei rifiuti e dalla costruzione edilizia, e talvolta anche attraverso un’azienda “amica” che partecipa alla gara d’appalto per la bonifica del terreno. Lungo l’autostrada c’è un’altra zona della ’ndrangheta. Delle porte in acciaio chiuse con delle catene bloccano l’accesso ad alcuni orti recintati. Da una ventina d’anni questi dieci ettari di verde appartengono ai Papalia e ai loro affiliati. Secondo i carabinieri a volte sono usati come nascondigli o per riunirsi al riparo dei dispositivi di sorveglianza.
In comune c’è la prova delle alleanze tra le famiglie criminali: il registro dei matrimoni. Sul certificato dello stato civile i Papalia, i Barbaro e i Sergi non possono nascondersi dietro dei prestanome. Sono matrimoni strategici.
“L’importanza di questi nomi rimane forte”, si dispera Pruiti. “I loro figli si sentono dei supereroi”. Sui social network mostrano l’orgoglio del successo di famiglia e condividono le foto delle serate nelle discoteche di Milano. La città in cui i loro nonni hanno fatto fortuna con le armi in pugno, inondandola di droga e costruendo la periferia. ◆adr
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Questo articolo è uscito sul numero 1493 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati