Il 20 gennaio scorso, durante il campionato di serie A, la Federcalcio (Figc) ha sorpreso i tifosi di tutto il mondo sanzionando con quindici punti di penalità la Juventus, la squadra più famosa d’Italia, facendole perdere sette posizioni in classifica. Il club è accusato di aver gonfiato il valore economico dei giocatori in occasione di alcune trattative di mercato per il trasferimento da una squadra all’altra e di aver mentito agli azionisti. Per questo deve affrontare due processi: uno davanti alla magistratura ordinaria e l’altro di fronte a quella sportiva. Per quanto riguarda il reale valore di mercato dei calciatori la corte federale d’appello della Figc ha giudicato la Juventus colpevole di “ripetute violazioni dei princìpi di lealtà sportiva”.
In un paese famoso per il suo campanilismo, la Juventus ha invece tifosi in tutta Italia. La squadra di Torino è sostenuta da circa otto milioni di persone, molte di più rispetto al Milan o all’Inter. Ma ora è anche diventata un simbolo del tracollo del calcio italiano a causa di una serie di scandali che la riguardano.
Al centro della sua crisi ci sono alcuni trasferimenti sospetti. Nel 2021 la commissione di vigilanza sulle società di calcio ha informato la Figc dei propri dubbi su 62 accordi conclusi in Italia e all’estero per il trasferimento di alcuni giocatori: in 42 era coinvolta la Juventus. Il club avrebbe messo in atto più volte un meccanismo in cui due squadre si scambiano giocatori per un valore complessivo identico, migliorando come per incanto il loro bilancio senza spendere né incassare denaro. Secondo la tesi dei giudici il valore dei giocatori sarebbe stato gonfiato per garantire delle plusvalenze, il guadagno che si ottiene da una cessione.
La penalizzazione in classifica è solo l’ultimo episodio di una spirale negativa. Il 28 novembre 2022 l’intero consiglio d’amministrazione della Juventus, compresi il presidente Andrea Agnelli e il suo vice Pavel Nedvěd, ex giocatore della squadra, si era dimesso a causa delle inchieste che hanno coinvolto la società. Al momento la Juventus è al centro di due processi. Il primo, davanti alla giustizia sportiva, riguarda le plusvalenze; mentre il secondo, condotto dalla magistratura ordinaria, si basa sulle accuse di falso in bilancio, manipolazione del mercato, ostacolo agli organi di vigilanza e dichiarazioni finanziarie fraudolente.
Ma c’è un’altra crisi ancora più preoccupante che incombe. Nel 2022 i guadagni della Juventus sono calati dell’8 per cento, mentre i costi di esercizio sono aumentati del 7,6 per cento. Negli ultimi cinque anni la dirigenza ha chiesto agli azionisti settecento milioni di euro per coprire perdite per 612,9 milioni. “È come se si fosse aperta una voragine”, ha spiegato Giovanni Cobolli Gigli, che è stato presidente della Juventus tra il 2006 e il 2009. “Hanno continuato a cercare nuovi guadagni quando quello che dovevano fare era tagliare i costi sproporzionati e insensati”.
Vendersi l’anima
Lo scandalo delle plusvalenze non riguarda solo la Juventus. Il trasferimento per settanta milioni dal Lille al Napoli di Victor Osimhen, la stella del campionato in corso, è anch’esso al centro di una controversia. I quattro giocatori del Napoli coinvolti sarebbero stati enormemente sopravvalutati (19,8 milioni) in modo da ridurre il costo complessivo dell’operazione. Ma anche se la Juventus non è l’unica società di calcio ad aver mosso freneticamente i giocatori come pedine su una scacchiera per migliorare il bilancio, le accuse, se saranno provate, indicano che il club di Torino ha fatto un uso smodato di questa pratica. Un dirigente della squadra, intercettato durante le indagini, avrebbe ammesso: “Sentivo che mi stavo vendendo l’anima”.
Negli anni ottanta e novanta la serie A era il campionato più ricco e seguito del mondo, quello in cui i giocatori avevano gli stipendi più alti e che offriva il gioco migliore. Oggi, invece, è la versione povera dei più importanti campionati europei. Molte squadre italiane sono fortemente indebitate. Secondo l’ultimo rapporto della Figc, il debito complessivo accumulato è di 5,3 miliardi di euro.
Alla metà di aprile il collegio di garanzia del Coni ha accolto il ricorso della Juventus contro i quindici punti di penalizzazione, rinviando gli atti alla procura della Federcalcio per una nuova valutazione. La squadra ha così scalato la classifica, arrivando al terzo posto. Ma la notizia non ha fatto altro che alimentare la sensazione che la serie A sia ormai un prodotto scricchiolante, una competizione in cui la posizione in classifica di uno dei club più importanti dipende dai procedimenti giudiziari e non dai risultati sportivi. Gli scandali che hanno coinvolto la Juventus sono una finestra non solo sulla crisi generale del calcio italiano, ma anche sul marcio nel cuore di questo sport.
Per gli italiani la Juventus è stata a lungo un simbolo di fascino aristocratico, ma anche un sinonimo di imbrogli. La società è stata fondata nel 1897 da un gruppo di ragazzi ricchi di Torino che diedero alla squadra il suo accattivante nome latino (che significa “gioventù”) e una divisa rosa con papillon o cravattino nero. La Juventus era considerata la squadra della classe alta, mentre gli operai tendevano a sostenere il Torino. Quest’immagine è stata definitivamente confermata nel 1923, quando la società è stata comprata da Giovanni Agnelli, un imprenditore che aveva fatto fortuna nel campo degli armamenti, dell’aviazione, delle spedizioni, della produzione di cuscinetti a sfera, della vendita al dettaglio e del commercio di tessuti, cemento e acciaio. A quel tempo la Juventus aveva ormai abbandonato le divise rosa per adottare la maglia a strisce verticali bianche e nere. Il cambiamento è legato ai rapporti tra le industrie tessili di Nottingham, nel Regno Unito, e Torino: quando i giocatori ordinarono una nuova divisa dall’Inghilterra, ricevettero per errore quella del Notts County Football Club, che aveva la maglia bianconera.
Nell’ultimo secolo la storia della Juventus è stata la storia degli Agnelli, spesso descritti come la versione italiana dei Kennedy: una famiglia reale all’interno della repubblica il cui nome è circondato da un alone di fascino e tragedia. Edoardo Agnelli, nominato da Giovanni presidente della Juventus, morì in un incidente aereo nel 1935. Sua moglie, madre di sette figli, perse la vita in un incidente automobilistico nel 1945. Uno dei figli della coppia è morto in un ospedale psichiatrico, nel 1965. Un nipote di Edoardo è morto di cancro all’età di 33 anni, mentre un altro si è suicidato nel 2000.
Una mucca per ogni gol
Ma la storia degli Agnelli è fatta anche di fascino e successi. Gianni, nipote di Giovanni, è diventato presidente della Juventus nel 1947. Descritto da Vanity Fair come “il padrino dello stile” e “un playboy internazionale”, frequentava il principe Ranieri III di Monaco, Errol Flynn e Rita Hayworth, ed ebbe una relazione sentimentale con la nuora di Winston Churchill, Pamela. L’azienda di famiglia, la Fiat, ha dominato il panorama industriale italiano del dopoguerra. Chiunque tifasse per la Juventus sentiva di far parte del mondo cosmopolita e dorato degli Agnelli. La Juventus non era solo la squadra dei capi, ma anche di chi aspirava a essere come loro. Per i suoi detrattori, il motto ufficioso della squadra ne riassume la mentalità discutibile: “Vincere non è importante. È l’unica cosa che conta”. Lo slogan è stato coniato da Giampiero Boniperti, ex calciatore della Juventus diventato poi presidente della società. Tra il 1946 e il 1961 Boniperti ha segnato 178 gol con la Juventus, ma a causa del tetto imposto a livello nazionale il suo stipendio non rifletteva il suo valore. Per aggirare quel limite Agnelli aveva offerto a Boniperti, figlio di agricoltori, una mucca per ogni gol segnato. Un giorno l’allevatore che vendeva il bestiame ad Agnelli lo chiamò per lamentarsi: Boniperti sceglieva sempre le mucche gravide. Tipico stile Juventus.
Nella storia della squadra ci sono state altre crisi e altri scandali. Nel 2004 il medico della società era stato condannato in primo grado, e poi assolto in appello, per aver dato ai giocatori, alla fine degli anni novanta, farmaci proibiti. In quel periodo la Juventus ha ottenuto successi spettacolari. Nel 2006 si è scoperto che era a capo di un sistema per influenzare gli arbitri in cui erano coinvolte molte squadre importanti (lo scandalo conosciuto con il nome di Calciopoli). A causa di quella vicenda, la squadra fu retrocessa in serie B. Dieci anni dopo, l’indagine sul suicidio di un consulente del club per i rapporti con la tifoseria, Raffaello “Ciccio” Bucci, rivelò che la società regalava biglietti ad alcuni ultrà nonostante fossero legati al crimine organizzato.
L’Italia è divisa tra chi vede la Juventus come un manipolo di imbroglioni e chi pensa che la squadra sia continuamente presa di mira da magistrati ostili e di parte. Come scrive Herbie Sykes nel suo libro intitolato Juve!, “il calcio italiano è un sistema binario: c’è la versione juventina e quella anti-juventina”. Questa storica contrapposizione è resa alla perfezione da un dialogo a cui ho assistito in un bar il giorno in cui è arrivata la notizia della penalizzazione. “Non lo ha fatto solo la Juventus”, ha detto un tifoso, riferendosi alle plusvalenze. “No”, ha risposto l’amico. “Ma c’è sempre di mezzo la Juventus”.
Dopo Calciopoli, la squadra è tornata subito in serie A. Andrea Agnelli, nipote di Edoardo, a maggio del 2010 è diventato presidente della Juventus, riportandola lentamente al vertice del calcio italiano. Una mossa decisiva per la resurrezione del club è stata la nomina di Giuseppe Marotta ad amministratore delegato e direttore sportivo. Marotta proveniva da esperienze in squadre minori della serie A e si era costruito la reputazione di dirigente particolarmente abile nel mercato dei trasferimenti e nella gestione delle dinamiche nello spogliatoio, due caratteristiche fondamentali per costruire una squadra di successo. Poco dopo l’arrivo di Marotta, Antonio Conte è stato preso come allenatore. Sotto la guida di Conte, e poi di Massimiliano Allegri, sono arrivate nuove vittorie. A partire dal 2012 la Juventus ha vinto il campionato per nove anni di seguito. Nel frattempo Andrea Agnelli si stava dimostrando ancora più abile in campo finanziario, almeno in apparenza. Nel 2011 è stato inaugurato un nuovo stadio di proprietà del club, con uno sponsor arrivato ancora prima dell’inizio dei lavori, nel 2008. Nel 2017 il contratto di sponsorizzazione è stato firmato con il gigante tedesco della finanza Allianz. Agnelli era convinto che la società potesse aumentare i guadagni con un marchio che definiva uno stile di vita: la lettera “J”. Nei pressi dello stadio il club ha costruito lo Juventus museum e il J-medical (una struttura medica), e sviluppato il fondo immobiliare J-village, che comprende il J-hotel e i campi di allenamento J-tc. Nel 2012 il produttore di auto Jeep è diventato il principale sponsor della squadra. Nel 2017 la Juventus ha presentato un nuovo logo: due linee nere su sfondo bianco che formavano una J stilizzata. Durante quegli anni di trionfi, i supermercati, le scuole e i centri sportivi erano tappezzati di J-infradito, J-zaini e J-pantaloncini.
Agnelli, intanto, stava aumentando la propria influenza anche negli ambienti politici del calcio europeo. Nel 2017 è diventato presidente dell’Associazione dei club europei (Eca), un’organizzazione che rappresenta 234 società del continente. In quel periodo l’Eca era in costante trattativa con la Uefa, l’ente che governa il calcio in Europa, per ottenere maggiori guadagni per le squadre che partecipano alla Champions league. In quel contesto Agnelli ha stretto un’amicizia con il presidente della Uefa, lo sloveno Aleksander Čeferin, al punto da chiedergli di fare da padrino alla figlia, battezzata in Vaticano.
Ma nell’estate 2018 Agnelli ha preso una decisione che ha avuto conseguenze catastrofiche per le finanze del club. Ad aprile del 2018, in Champions league, la Juventus aveva subìto una pesante sconfitta in casa dal Real Madrid. In quella partita Cristiano Ronaldo aveva segnato due gol, di cui uno con una rovesciata applaudita da tutto lo stadio. La Juventus aveva raggiunto la finale della competizione nel 2015 e nel 2017, e Agnelli era ormai ossessionato dall’idea di vincere la coppa. Così si era convinto che investire 116 milioni di euro per acquistare Ronaldo fosse una scelta sensata sia dal punto di vista sportivo sia da quello finanziario. Marotta era fortemente contrario, perché si rendeva conto che gli stipendi dei calciatori erano fuori controllo e perché temeva che la personalità di Ronaldo potesse alterare gli equilibri interni. Alla fine ha prevalso Agnelli e a luglio è arrivato Ronaldo. Marotta, invece, ha lasciato il club.
Stipendio stratosferico
Il matrimonio tra Ronaldo e la Juventus non è stato privo di soddisfazioni. Il calciatore ha segnato 101 gol in 134 partite, vincendo due volte lo scudetto. Ma la Champions league è rimasta un miraggio, mentre le ripercussioni finanziarie sono state devastanti. “È stato un errore clamoroso”, mi ha spiegato Cobolli Gigli. “È l’esempio di un sistema drogato dal denaro per rincorrere i risultati sportivi, che però dipendono sempre dal caso”.
“È lì che è cambiato tutto”, conferma un dirigente di un’altra squadra, che ha chiesto di mantenere l’anonimato. “C’è stato un effetto inflazionistico sugli stipendi”. Lo stipendio lordo di Ronaldo era di 54,24 milioni all’anno, una somma superiore a quella totale spesa da molte piccole squadre di serie A, dove di solito i giocatori guadagnano uno o due milioni all’anno. Le conseguenze sono state quelle previste da Marotta. Secondo un rapporto della società di consulenza Deloitte, la percentuale dei guadagni investiti dalla Juventus negli stipendi tra il 2018 e il 2022 è aumentata, passando dal 66 all’84 per cento. Un’altra stima, dal sito specializzato in finanza e calcio Swiss Ramble, suggerisce che oggi la percentuale sia arrivata al 92 per cento. “Il principale problema delle finanze calcistiche non riguarda gli incassi, ma i costi e soprattutto gli stipendi”, spiega Roger Mitchell, fondatore ed ex amministratore delegato della lega calcio scozzese e oggi consulente sportivo in Italia. “Una percentuale del 92 per cento è almeno venti punti al di sopra di quanto dovrebbe essere”.
Considerando l’inevitabile oscillazione delle entrate in base ai risultati e alla qualificazione per le competizioni in cui si guadagna di più come la Champions league, una spesa per gli ingaggi così alta esponeva in modo drammatico ai rischi legati alle circostanze. Quando è arrivata la pandemia, la Juventus si è scoperta vulnerabile. “È stata una tragedia per tutti”, ha detto Alessio Secco, ex direttore sportivo della squadra. “Ma per chi aveva scherzato troppo con il destino, il virus ha creato difficoltà ancora più grandi. I nodi sono venuti al pettine”.
A novembre del 2018 il ruolo di direttore sportivo della Juventus è stato affidato a un pupillo di Marotta, Fabio Paratici. Ex calciatore con un lungo passato nelle categorie minori, una carriera cominciata nelle giovanili del Piacenza e proseguita indossando la maglia di dodici società diverse, Paratici era abituato alle avversità. Nel 1994 un incidente d’auto gli aveva causato lesioni che minacciavano di costringerlo al ritiro, invece ha continuato a giocare per altri dieci anni. Ma solo quando la sua carriera da calciatore si è conclusa ha avuto davvero successo nel mondo del calcio. Nel 2004 è stato nominato da Marotta capo osservatore della Sampdoria. Perennemente incollato a decine di schermi che mostravano partite da tutto il mondo, Paratici ha costruito una squadra giovanile capace di vincere il “triplete” nella stagione 2007-2008, aggiudicandosi il campionato primavera, la coppa Italia e la Supercoppa. Nel 2010 è passato alla Juventus insieme a Marotta, e quando nel 2018 il suo mentore ha lasciato la società, Paratici era l’ovvio successore. “Era carismatico”, mi ha raccontato un ex dirigente della Juventus. “Molto socievole, divertente, sempre sorridente. Era chiaro che amava la bella vita, essere famoso e circondarsi di belle donne”. Ma la favola si è conclusa amaramente nella primavera 2020, con la pandemia di covid-19. Tra il 9 marzo e il 20 giugno del 2020 il campionato di serie A si è fermato, e con lui i guadagni legati alla vendita dei biglietti. Fatto ancora più disastroso dal punto di vista finanziario, le tv hanno chiesto di rinegoziare gli accordi per la trasmissione delle partite. Dato che gli stipendi fagocitavano una parte enorme delle entrate sempre più ridotte della Juventus, Paratici ha chiesto una mano ai giocatori. Il 28 marzo 2020 la società ha comunicato formalmente che gli atleti avevano rinunciato a quattro mesi di stipendio, con un risparmio di novanta milioni per il club, quotato in borsa. Ma in realtà, prima dell’annuncio, la società e il capitano Giorgio Chiellini avevano firmato un accordo segreto in cui il club s’impegnava a pagare in futuro tre mesi di stipendio. In un messaggio scritto in due lingue e pubblicato sulla chat WhatsApp della squadra, Chiellini aveva spiegato lo stratagemma ai suoi compagni: “La proposta finale è questa: ci mancano quattro mesi di salario, tre mesi pagati in caso che riusciamo a finire il campionato, due mesi e mezzo in caso di stop. Per questioni legislative di Borsa, la comunicazione che uscirebbe è solo della rinuncia ai quattro mesi. È chiesto di non parlare delle interviste sui dettagli di questo accordo”.
La pandemia di covid-19 ha causato un buco enorme nel bilancio della società, dunque Paratici ha cominciato a usare sistematicamente i trasferimenti di giocatori per aumentare le entrate del club senza in realtà incassare denaro, ricorrendo alla cosiddetta tecnica delle plusvalenze incrociate. Il sistema funzionava grazie al fatto che, come succede nel mondo dell’arte moderna, è difficile stabilire con precisione il valore di un calciatore. Se due squadre si accordavano su uno scambio e aumentavano di dieci volte il valore dei due giocatori che sul bilancio ufficiale erano valutati un milione di euro a testa, ognuna delle due società poteva registrare una plusvalenza di nove milioni, inserendo nel bilancio un bene del valore presunto di dieci milioni. La pratica era discutibile, ma legale. Chi poteva provare con certezza che un giovane calciatore non avesse aumentato, anche di molto, il suo valore? Dopotutto il mercato sottovaluta continuamente gli atleti emergenti. Il meccanismo delle plusvalenze non era certo una novità. Già prima del covid-19 era diffuso. Nel libro Il calcio del futuro (Sperling & Kupfer 2021), Carlo Diana, ex dirigente dell’area marketing della Juventus, e Davide Lippi, procuratore di vari calciatori, raccontano che il calcio italiano era vicino alla bancarotta e che da anni si sosteneva solo grazie alle plusvalenze. A quanto pare, alla Juventus la pressione per nascondere le perdite attraverso le plusvalenze false arrivava dai vertici societari. In un’email inviata a Paratici e altri colleghi il 22 febbraio 2020, Andrea Agnelli chiedeva ai suoi collaboratori di “contenere le perdite” attraverso “azioni correttive”.
Dopo la crisi causata dalla pandemia, Paratici ha cominciato a scambiare vorticosamente calciatori con altre società per cifre presumibilmente gonfiate. Nel mercato dell’estate 2020 il centrocampista bosniaco Miralem Pjanić è passato dalla Juventus al Barcellona per sessanta milioni di euro, mentre il brasiliano Arthur Melo ha compiuto il percorso inverso per 72 milioni. Entrambe le cifre sono subito sembrate esagerate rispetto al valore dei due calciatori. Questo genere di operazione, di cui lo scambio Pjanić-Melo è solo uno dei molti esempi, sembrava soddisfare tutte le parti coinvolte. Come ha detto Paratici in una telefonata con il direttore generale del Pisa, intercettata a settembre del 2021: “Se va tutto bene, troppi soldi per tutti!”. Quel meccanismo era diventato talmente diffuso che i dirigenti della Juventus, in una serie di conversazioni intercettate, avevano cominciato a chiedere ai loro consulenti consigli su come “supercazzolare” gli ispettori della Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob).
Documento segreto
Spesso i trasferimenti sembravano non aver alcun legame con il calcio giocato. In più di un’occasione, secondo gli inquirenti, la Juventus avrebbe fissato la cifra della plusvalenza prima ancora di scegliere quali calciatori coinvolgere nell’operazione. Nella sentenza della Corte federale d’appello della Figc si legge che la Juventus programmava “sistematicamente la realizzazione di plusvalenze prescindendo dall’individuazione stessa del soggetto da scambiare, spesso indicato con una semplice ‘x’ accanto al nome del giocatore della Juventus da cedere”. Il documento esprime lo stupore della federazione davanti al fatto che quasi tutti i dipendenti della società sembrassero al corrente del sistema. A maggio del 2021 la procura di Torino ha avviato un’inchiesta sulle finanze della Juventus, chiamata Prisma. I magistrati hanno scoperto che la società aveva accordi segreti con molti club, giocatori e loro agenti per sistemare i bilanci. Un dirigente ha rivelato: “C’è un debito da sette milioni con l’Atalanta che non figura nel bilancio”. Un agente aveva un credito con la Juventus da quattrocentomila euro. I debiti della Juventus nei confronti dei giocatori, a cui spettavano arretrati per diverse mensilità, erano diventati una sorta di vincolo del debito: il denaro dovuto veniva infatti usato come incentivo a restare nel club. Gli stipendi non pagati erano trasformati in bonus fedeltà. A luglio del 2021 Paratici aveva consegnato a Ronaldo un nuovo documento segreto, scoperto durante le indagini. Era una sorta di promessa di pagamento per una cifra che si ritiene fosse di 19,9 milioni di euro, relativa a un’altra serie di pagamenti segreti riferiti alla stagione 2020-2021.
Abbiamo fatto una serie di domande alla Juventus in vista della pubblicazione di questo articolo, ma la società ci ha comunicato che non sarebbe stato possibile intervistare Agnelli e ci ha inviato alcuni link ai propri comunicati stampa sugli argomenti in questione. In un comunicato del 12 aprile 2023 si legge: “La Società ritiene di aver applicato correttamente i rilevanti princìpi contabili internazionali, nonché di aver operato nel pieno rispetto del principio di lealtà sportiva”.
La pandemia di covid-19 ha causato un buco enorme nel bilancio della società
La Superlega
Nel 2021 era ormai evidente che la Juventus faticasse a restare a galla. Dopo aver beneficiato per anni di prestiti con interessi vicini allo zero, il club, sommerso dai debiti, era costretto ad affrontare difficoltà sempre maggiori a causa dell’aumento degli interessi sui prestiti. Agnelli, però, era convinto che esistesse una soluzione facile: la Juventus e altri cosiddetti super club europei avrebbero creato una Superlega, così i guadagni sarebbero aumentati e soprattutto sarebbero stati garantiti, eliminando le incertezze legate al processo di qualificazione alla Champions league. Le dodici squadre fondatrici della Superlega – tra cui sei club inglesi: Liverpool, Tottenham, Manchester City, Manchester United, Arsenal e Chelsea – non sarebbero mai rimaste escluse. Inoltre, grazie alla spartizione di un finanziamento da 3,5 miliardi garantito dalla banca d’affari JPMorgan Chase, il piano avrebbe immediatamente risolto tutti i problemi di bilancio della Juventus.
Ma la notizia del progetto della Superlega, arrivata poco dopo la mezzanotte del 19 aprile 2021, si è trasformata immediatamente in un disastro in termini di comunicazione per Agnelli, per la Juventus e per tutte le altre squadre coinvolte. La segretezza del piano lo faceva apparire subdolo, mentre la natura esclusiva della competizione (nonostante fossero previsti sei posti aggiuntivi da assegnare ogni anno) dava l’impressione di enorme arroganza. “Quando proponi un cambiamento nello sport, l’importante è mostrarti umile”, spiega Roger Mitchell. “Devi ripetere che hai un profondo rispetto per il passato e altre cose del genere. La comunicazione sulla Superlega è stata pessima”. Considerando che la nuova lega avrebbe sostanzialmente messo fine alla Champions league, l’iniziativa è stata considerata un attacco diretto contro la Uefa, la società che organizza la competizione iconica. Il presidente della Uefa, Aleksander Čeferin, in particolare, si è sentito tradito dall’amico Agnelli. In una conferenza stampa organizzata frettolosamente pochi giorni dopo la notizia, ha criticato “la proposta disonorevole ed egoista” dei grandi club, sottolineandone “l’individualismo, l’avidità e il narcisismo”. In quell’occasione Čeferin ha addirittura paragonato Agnelli a un “serpente”. Due anni dopo ha usato anche la parola “vampiro”.
Lo scontro pubblico tra la Uefa e la Superlega è degenerato in una battaglia personale tra le due figure di riferimento. Čeferin, fine stratega, si è dimostrato ben più astuto di Agnelli, interpretando alla perfezione il ruolo dell’uomo del popolo e sfruttando le sue umili origini in Slovenia. “Non permetteremo a queste persone di portarci via il calcio”, ha dichiarato, invitando i tifosi a protestare in tutto il continente. Agnelli, invece, è apparso come un simbolo del privilegio e dell’elitarismo. “Sembrava un ‘figlio di papà’ qualunque”, ricorda Mitchell.
Quotazione in borsa
Pochi giorni dopo l’annuncio, la Superlega era già diventata un problema. Le società che fin dall’inizio erano più incerte, Paris Saint-Germain e Bayern Monaco, si sono schierate subito con la Uefa, mentre i club inglesi hanno cominciato a tirarsi indietro uno dopo l’altro, scusandosi con i propri tifosi. Agnelli, che per anni aveva sfoggiato un’aura di professionalità e statura internazionale, all’improvviso è sembrato un incompetente. A Roma è stato affisso un manifesto che lo ritraeva mentre bucava un pallone con un coltello. L’opera ha ricevuto grande risalto sui social network. Agnelli per i suoi detrattori era l’uomo che voleva uccidere il calcio. Chi conosce bene l’ambiente della Juventus non è rimasto sorpreso dal fallimento della Superlega. Secondo diverse fonti, che hanno chiesto di mantenere l’anonimato, nella società non c’era la giusta atmosfera. “Agnelli pensa di essere un visionario, ma è un sociopatico, un maniaco del controllo”, ha confessato un ex dirigente.
“I bilanci della Juventus non sono attendibili”, si legge nella sentenza
Svanita la prospettiva dei soldi della Superlega, Agnelli ha cercato disperatamente di trovare altri metodi per guadagnare. A settembre del 2021 ha riunito a pranzo i capi della Figc, della serie A e di altri club per convincerli a creare una società di comunicazione che potesse gestire i diritti televisivi del campionato. “Spero che nasca qualcosa”, confidava Agnelli al direttore generale dell’Atalanta in una conversazione intercettata, “altrimenti non so cosa fare, sennò ci schiantiamo piano piano”. Poco dopo la Juventus è stata costretta a ricorrere a una ricapitalizzazione. A dicembre del 2021 gli azionisti hanno versato nelle casse del club altri quattrocento milioni di euro, dopo i 298 di due anni prima.
Nel frattempo all’interno del club cresceva la preoccupazione a proposito della vicenda delle plusvalenze. Un dirigente è stato intercettato mentre ammetteva: “Ho avuto delle sere che tornavo a casa e mi veniva da vomitare solo a pensarci”. Comprare e cedere giocatori solo per migliorare il bilancio stava producendo conseguenze negative anche sul fronte sportivo. L’allenatore Allegri era furioso per quella girandola di trasferimenti. “Il mercato dell’anno scorso era solo plusvalenze e quindi era un mercato del cazzo”, si è lamentato in una intercettazione.
“Con Fabio [Paratici] non si poteva ragionare”, ha detto un dirigente a un collega in un’altra conversazione registrata dai carabinieri. “Finché c’è stato Marotta gli metteva un freno. Quando è andato via ha avuto carta bianca. Si poteva svegliare la mattina e firmare venti milioni senza che nessuno gli dicesse niente”. Paratici, che non ha voluto concedere un’intervista per questo articolo, ha lasciato la Juventus a maggio del 2021.
A novembre del 2022, subito dopo le dimissioni di Agnelli, la Juventus ha annunciato di aver riesaminato i propri bilanci e di aver trovato un’ulteriore perdita di ventuno milioni di euro per l’anno 2020-2021, portando così il passivo a 226,8 milioni. “I bilanci della Juventus semplicemente non sono attendibili”, si legge nella sentenza della corte federale d’appello della Figc.
Agnelli è stato inibito per due anni dalle attività legate al calcio italiano, mentre Paratici, l’uomo al centro dello scandalo, è stato sospeso per due anni e mezzo. La Fifa, l’organo che governa il calcio mondiale, ha esteso l’inibizione a livello globale. Dopo le sentenze della Figc e della Fifa, Paratici ha lasciato l’incarico di direttore generale del Tottenham, che ricopriva dall’estate 2021. Con un comunicato la Juventus ha detto che confida “di poter ulteriormente dimostrare la correttezza del proprio operato” in vista dell’udienza del 22 maggio sul caso plusvalenze. Non esiste alcuna possibilità che la Juventus fallisca. Il 63,8 per cento delle azioni è infatti controllato dal gigante finanziario Exor, di proprietà della famiglia Agnelli. Nel 2022 la Exor ha registrato utili netti per 6,2 miliardi di euro. Tuttavia, nei prossimi mesi la crisi della società potrebbe aggravarsi. La Uefa potrebbe intervenire nella vicenda imponendo un blocco dei trasferimenti, sanzioni finanziarie o addirittura l’esclusione dalle coppe europee.
Chi sostiene la Juventus afferma che è controllata molto di più delle altre società, non solo perché è la squadra più famosa d’Italia, ma anche perché, essendo una delle due di serie A quotate in borsa (l’altra è la Lazio), deve rispettare regole più rigide. “Lavorare per un club quotato in borsa è un peso”, conferma Secco. “Tutte le altre società di calcio hanno una libertà d’azione maggiore. È un enorme vantaggio”. Gran parte degli esperti ritiene che nei prossimi mesi la Juventus rinuncerà a essere quotata in borsa per evitare queste restrizioni. Tuttavia, il recupero delle azioni sarebbe un’operazione molto costosa per Exor.
Secondo i tifosi della Juventus la loro squadra è vittima di un accanimento ingiustificato. Ritengono che la loro tesi sia confermata dalla diffusione a febbraio di quest’anno di un video del 2019 in cui Ciro Santoriello, uno dei pubblici ministeri dell’inchiesta Prisma, scherzava sulla sua fede calcistica napoletana e dichiarava “odio la Juve”. A tal proposito Carlo Diana mi ha confessato con una certa esasperazione che “se il sistema vuole colpire una società, è molto facile orchestrare uno scandalo”.
Molti esperti del mondo juventino credono che Agnelli, pur fornendo le risposte sbagliate, abbia quantomeno posto la domanda giusta: in che modo il calcio italiano può incrementare i propri guadagni e tornare a essere competitivo? La crisi della Juventus ha evidenziato le difficoltà finanziarie della maggior parte delle squadre italiane. Il calcio italiano è intrappolato in un circolo vizioso: gli investimenti scarsi rendono impossibile vendere i diritti televisivi a prezzi alti, un fatto che a sua volta impedisce investimenti consistenti, e così via. “Il prodotto ha un aspetto orribile”, conferma Mitchell. “Gli stadi sono vecchi, le gradinate sono vuote, il gioco è molto più lento rispetto a quello del campionato spagnolo o inglese”. Inoltre, una legge che vieta la vendita dei diritti televisivi a lungo termine scoraggia qualsiasi investimento.
Il crollo dei guadagni dalle tv ha spinto molte società calcistiche italiane sull’orlo del fallimento. Per il ciclo 2021-2024 i diritti della serie A sono stati venduti all’estero per 658 milioni, una cifra irrisoria rispetto alla Premier League inglese (6,55 miliardi per il periodo 2022-2025) e alla Liga spagnola (4,48 miliardi per il periodo 2018-2024). Ora che il denaro in arrivo dall’estero scarseggia, le società di serie A stanno provando a vendere i diritti per i prossimi anni. A giugno del 2022 il Barcellona, un altro club coinvolto nella corsa alle spese folli e attualmente indebitato per 1,1 miliardi, ha venduto il 25 per cento dei diritti televisivi fino al 2047 a un fondo d’investimento.
Gli esperti di finanza sportiva inorridiscono davanti a queste manovre, che paragonano a un doppio mutuo. “È sempre la stessa storia: incassa oggi e rimanda i debiti al futuro”, ironizza Mitchell. Come molti altri, il consulente usa il linguaggio della dipendenza dalla droga per descrivere la disperata ricerca di denaro da parte dei club: “È come dare a un tossicodipendente dieci buste piene di soldi e dirgli ‘vai a comprarti qualcosa da mangiare’. Sappiamo benissimo come andrà a finire”. Anziché investire nelle infrastrutture, il denaro sarà impiegato per pagare agenti e calciatori, rincorrendo in eterno i successi sportivi.
Munificenza aristocratica
Secco elenca una serie di ragioni quasi antropologiche per spiegare la crisi attuale. “In Italia il calcio è sempre stato una festa, qualcosa che ti permette di sfuggire alle difficoltà della vita. Le regole imposte alle altre attività non lo hanno riguardato e non è stato amministrato con rigore. In realtà non è mai stato gestito come un vero affare. Gli accordi erano conclusi negli alberghi o nei ristoranti. Tutto faceva parte della convivialità radicata nella natura degli italiani”. Fino a qualche anno fa, in effetti, in Italia le squadre di calcio erano gestite partendo dal presupposto che non avrebbero prodotto guadagni. Erano considerate attività in perdita costante, sostenute da un imprenditore locale o, come nel caso della Juventus, internazionale.
La crisi della Juventus è un simbolo del rapporto conflittuale tra lo sport e la finanza. Un tempo lo sport era amatoriale per definizione, “più nobile che capitalista”, per dirla con le parole di Mitchell. Quello che lo rendeva attraente – il suo ludico sdegno nei confronti delle preoccupazioni terrene, il suo apprezzamento per il rischio e l’incertezza, l’amore per le sorprese – era precisamente ciò che teneva lontani gli investitori, abituati a pretendere un ritorno garantito.
Il modello tradizionale europeo, incarnato dagli Agnelli, era quello della munificenza aristocratica: quando vincere il campionato era “l’unica cosa che conta” nessuno si preoccupava di quanto bisognasse spendere. L’interpretazione più generosa della caduta di Andrea Agnelli è che l’uomo, nonostante tutti i suoi sforzi, sia rimasto un dilettante in uno sport che oggi è controllato dai professionisti. Una lettura meno generosa è che Agnelli, come un nobile dissoluto, non abbia mai imparato che non bisogna fare il passo più lungo della gamba. Inoltre, quando ha capito la gravità del problema, le sue soluzioni non hanno fatto altro che sprofondare il club sempre di più in un pantano . ◆ as
Tobias Jones è un giornalista britannico. Vive a Parma. Il suo ultimo libro in italiano è Ultrà (Newton Compton Editori 2020).
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Questo articolo è uscito sul numero 1512 di Internazionale, a pagina 58. Compra questo numero | Abbonati