Le scritte sui muri – “osteria”, “bar” – sono sbiadite, anche perché le due attività sono chiuse da anni. In giro non ci sono cantieri. In un giardino una betoniera è stata capovolta, dipinta di giallo e trasformata in un vaso. Molte case sono vuote e hanno il cartello “vendesi” affisso alla porta. Siamo in Piemonte, a Massiola, un paese di montagna a 772 metri sul livello del mare, a ovest del lago Maggiore.
È un posto incantevole: i vicoli serpeggiano tra le case e i giardini terrazzati. Nell’aria c’è odore di concime e di legna bruciata. Ma a parte il rumore del fiume che scorre nella valle e quello lontano dei campanacci, c’è un silenzio spettrale. “Qui non c’è più nessuno”, mi spiega un anziano. A Massiola non nascono bambini dal 2015. Nel frattempo sono morte 23 persone. In 23 anni la popolazione è passata da 173 a 117 persone.
La coalizione guidata da Giorgia Meloni ha presentato quattro proposte di legge contro l’aborto, e una riconosce i diritti legali del feto
Massiola sta morendo lentamente. È un paese rimasto legato a un’epoca più semplice di quella in cui viviamo. La via principale è talmente stretta che le auto vanno lasciate in cima o in fondo al paese. Il telefono non sempre prende. Nel 2020 una valanga ha colpito il centro abitato distruggendo l’ultimo negozio. Da allora il pane viene depositato in un armadietto sotto gli archi della chiesa.
Eppure fino alla metà degli anni sessanta Massiola contava 350 abitanti, aveva una segheria ed era specializzata nella produzione di cucchiai di legno e tasselli per le botti di vino. Poco lontano c’era anche una cava di marmo. A Omegna, un paese a valle, c’erano le fonderie in cui si lavoravano lo stagno, il peltro e l’alluminio. “Era tutto così diverso”, ricorda il sindaco Renzo Albertini, 74 anni. “A metà degli anni sessanta c’erano due negozi di alimentari, tre bar, l’osteria, duecento pecore. Ogni famiglia aveva una mucca e quasi tutte avevano un maiale”. Ma la cava di marmo è stata chiusa negli anni sessanta, mentre la richiesta di cucchiai e sostegni di legno è calata inesorabilmente. La scuola del paese non accoglie studenti dall’inizio degli anni duemila. Anno dopo anno le famiglie hanno abbandonato Massiola per trasferirsi in centri più grandi. “Oggi nessuno lavora nei boschi”, racconta Albertini con amarezza. “Qui non c’è più vita”. Un’anziana aggiunge che senza i giovani “non c’è futuro”.
Un grave problema economico
Massiola è un prisma attraverso cui osservare al rallentatore la crisi che sta colpendo l’Italia, il suo “inverno demografico”. I dati dell’Istat, pubblicati ad aprile di quest’anno, hanno rivelato che nel 2022 la popolazione residente si è ridotta di 179mila persone, ovvero dello 0,3 per cento. I decessi ormai superano di gran lunga le nascite, che l’anno scorso sono scese sotto le 400mila per la prima volta. Poco dopo la diffusione dei dati, il miliardario sudafricano-statunitense Elon Musk ha scritto in un tweet che “l’Italia sta scomparendo”. Secondo il sito d’informazione Tuttoscuola, dall’anno scolastico 2014-2015 in Italia hanno chiuso 2.600 scuole dell’infanzia e primarie. Il numero di studenti è in calo costante. Le previsioni dicono che quest’anno gli alunni saranno 127mila in meno rispetto all’anno scorso.
Nel campo della demografia c’è un numero di riferimento: 2,1. Indica il tasso di fecondità che permette alla popolazione di restare stabile, chiamato anche “indice di sostituzione”. Oggi il tasso di fecondità italiano è 1,24 e in alcune regioni è addirittura più basso. In Basilicata non supera l’1,09 e in Sardegna è 0,95. Ogni anno l’età media della popolazione italiana aumenta lentamente. Oggi è di 46,4 anni. Quasi un quarto degli italiani ha più di 65 anni. La tradizionale piramide della popolazione – con un’ampia base di giovani che si assottiglia progressivamente fino a raggiungere il vertice composto dai pochi anziani – oggi somiglia a un’urna. Se le tendenze attuali saranno confermate, si trasformerà in una piramide capovolta. Le stime indicano che la popolazione italiana passerà dagli attuali 59 milioni di persone a poco meno di 48 milioni entro il 2070. Al sud e nelle isole, invece, da 20 a 14 milioni. Dato che il sistema pensionistico ha bisogno di nuovi contribuenti per finanziarsi, questo squilibrio demografico produrrà un grave problema economico, per il quale le uniche soluzioni saranno un aumento vertiginoso delle tasse o il taglio delle pensioni.
L’Italia ha una delle percentuali più basse di donne che lavorano, il 51,3 per cento. In Germania e nel Regno Unito si supera il 70 per cento
Demografi e sociologi sono da tempo consapevoli del problema della natalità in Italia, ma ora l’argomento è improvvisamente finito al centro del dibattito politico. La presidente del consiglio Giorgia Meloni lo considera un cavallo di battaglia dell’estrema destra, perché sembra confermare una teoria del complotto costantemente riesumata da lei e dai suoi colleghi di partito: quella della “sostituzione etnica” o “grande sostituzione”. Nel 2017 Meloni ha dichiarato che era in corso “un’invasione pianificata e voluta” di migranti, mentre un anno dopo ha riproposto la tesi antisemita secondo cui il banchiere ungherese George Soros “finanzia la sostituzione etnica”. L’idea ridicola che un ricco ebreo possa deliberatamente introdurre manodopera a basso costo dai paesi poveri per ridurre le spese, aumentare i profitti e contrastare i valori cristiani è condivisa da molti politici di Fratelli d’Italia.
Famiglia tradizionale
Ad aprile Francesco Lollobrigida, marito della sorella di Meloni e ministro dell’agricoltura, ha collegato la crisi demografica a questa teoria del complotto, dichiarando che il problema delle nascite dev’essere affrontato con urgenza per non “arrendersi alla sostituzione etnica”. Anche i mezzi di comunicazione tradizionali alimentano la paranoia. A maggio di quest’anno il settimanale Panorama ha pubblicato in copertina la foto di persone nere o con il velo e il titolo “Un’Italia senza italiani”.
La questione della natalità permette al governo Meloni di riaffermare un concetto di famiglia rigidamente tradizionale. La presidente del consiglio usa il vecchio slogan mussoliniano “Dio, patria, famiglia” e spesso apre i suoi comizi dichiarando “sono una madre”. Per la destra italiana parole come “famiglia” e “vita” sono diventate una specie di talismano. Il Family day, istituito nel 2007 da un gruppo di organizzazioni cattoliche per opporsi a un disegno di legge del governo Prodi a sostegno delle coppie dello stesso sesso, è stato riproposto nel 2015 e nel 2016 per contrastare una normativa simile.
Di recente il numero di associazioni e partiti politici legati al cattolicesimo tradizionale e contrari all’aborto e alle unioni civili è aumentato, con nomi come Pro vita & famiglia, Culle per la vita, Il popolo della famiglia e Difendere la vita con Maria (che costruisce cimiteri per i feti abortiti segnando sulle tombe il nome delle madri, così da esporle alla gogna). La barriera che separa queste organizzazioni dal governo è piuttosto porosa. Il fondatore del Family day, Massimo Gandolfini, è stato nominato consulente antidroga da Meloni. L’ex portavoce dell’evento, Eugenia Roccella, è la ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, e questo nonostante sia contraria alle unioni civili e alle famiglie con genitori dello stesso sesso. Ha messo dei limiti alla procreazione assistita e ostacola l’aborto. “L’aborto è una grande contraddizione per la donna”, ha dichiarato di recente, “perché è una scelta libera ma anche una ferita”.
Essendo Fratelli d’Italia un discendente diretto del Partito nazionale fascista di Benito Mussolini, non stupisce che abbia una forte inclinazione verso le politiche che incentivano la natalità. Nel discorso dell’Ascensione pronunciato il 26 maggio 1927, in un tentativo di far acquisire all’Italia lo status di grande nazione attraverso la forza dei numeri, Mussolini annunciò che gli italiani sarebbero dovuti passare da 40 a 60 milioni. Senza una popolazione adeguata, disse Mussolini, “non si fa l’impero, si diventa una colonia!”. Per questo il suo governo introdusse una tassa per gli scapoli tra 25 e 65 anni, vietò la vendita di contraccettivi e istituì sussidi per i matrimoni e le nascite.
Le proteste
Finora l’esecutivo guidato da Meloni ha approvato poche misure concrete a favore della famiglia, limitandosi a dimezzare l’iva per i pannolini, il latte in polvere e i seggiolini (portandola al 5 per cento). Ma ogni mese la retorica sulla natalità diventa più intensa. A maggio Meloni e papa Francesco hanno condiviso il palco (entrambi vestiti di bianco) in occasione della riunione annuale delle organizzazioni pro famiglia, il cui slogan “Quota 500mila” si riferiva alle nascite annuali da raggiungere entro il 2033.
L’evento era organizzato da Gigi De Palo, cattolico e padre di cinque figli, che mi ha parlato delle “conseguenze traumatiche” del calo delle nascite. “Come pil siamo al nono posto nel mondo, ma tra vent’anni saremo al venticinquesimo”, mi ha spiegato. “Il sistema pensionistico collasserà, così come quello sanitario”.
Il timore che il governo Meloni stia cercando di riportare le donne a casa a fare le casalinghe e le madri, ha spinto molte femministe ad agire. Nel novembre 2022 Agnese Vitali, che insegna demografia all’università di Trento, non schierata politicamente, avrebbe dovuto partecipare a una conferenza intitolata “L’emergenza demografica in Italia”, presieduta da un giornalista del settimanale Famiglia cristiana. “All’improvviso sono comparsi gli striscioni con la scritta ‘Il corpo è mio e decido io’”, racconta. “C’erano megafoni, i cori. Era impossibile andare avanti”. Un volantino distribuito dalle attiviste denunciava i “ruoli di genere reazionari che la società patriarcale c’impone: essere mogli o madri sforna-figli per la madrepatria”.
Trento ha alle spalle una lunga storia di radicalismo – è stata il centro delle rivolte del 1968 in Italia, paragonabili a quelle di Parigi – dunque le proteste non sorprendono. Tuttavia le stesse scene si sono ripetute a maggio in un contesto più istituzionale e apparentemente controllato. Durante la fiera del libro di Torino, la ministra Roccella avrebbe dovuto presentare il suo libro Una famiglia radicale, che racconta la sua bizzarra conversione dal mondo radicale all’ultratradizionalismo. Roccella è cresciuta in una famiglia attiva nei movimenti per i diritti civili degli anni sessanta e settanta (i suoi genitori erano impegnati nel Partito radicale). Lei stessa da ragazza si considerava una femminista, ma le cose cambiarono quando scoprì di avere una sorella più giovane, Simonetta, nata prematura e abbandonata dalla madre quando ancora era nell’incubatrice. Simonetta non era sopravvissuta, e i genitori, impegnati nell’attività politica, non avevano partecipato alla sepoltura del corpo. Roccella, sconvolta da una madre che aveva una “drastica repulsione” nei confronti della maternità, sviluppò il fanatismo di una convertita, seguendo una carriera politica che l’ha portata da Forza Italia di Silvio Berlusconi a Fratelli d’Italia di Meloni. Quando la ministra è salita sul palco a Torino, le attiviste hanno fatto irruzione impedendole di parlare, tra slogan e striscioni.
Il gruppo femminista Non una di meno (un riferimento al rifiuto di accettare la violenza sulle donne) ha partecipato sia alla protesta a Trento sia a quella di Torino. “Per questo governo di estrema destra”, spiega Eleonora, un’attivista, “si tratta di un tema assolutamente ideologico”. Secondo lei, la battaglia per la natalità è una scusa per cancellare diritti ottenuti dopo intense lotte politiche. “Nei consigli comunali amministrati da Fratelli d’Italia i diritti di maternità e paternità delle coppie omosessuali sono stati eliminati. Queste persone non possono più visitare i figli in ospedale e nemmeno andarli a prendere a scuola”. A giugno la procura di Padova ha impugnato gli atti di nascita di 33 bambini nati dal 2017 da altrettante coppie omogenitoriali, chiedendo di cancellare dal registro il nome della madre non biologica. Il ricorso sarà discusso a novembre.
Nel suo primo anno di governo la coalizione guidata da Meloni ha già presentato quattro proposte di legge contro l’interruzione di gravidanza, inclusa una che riconosce i diritti legali del feto e che, se fosse approvata, metterebbe sostanzialmente fine alla possibilità di abortire. In Italia la gestazione per altri è già vietata, ma il governo di Meloni ha presentato un disegno di legge per rendere illegale anche andare all’estero per trovare una madre surrogata. Il governo ha manifestato un disprezzo palese per qualsiasi famiglia che non rientra nella norma. Roccella si oppone al “commercio dei gameti” e al “transumanesimo” (l’uso della tecnologia per migliorare l’umanità). “Sono a destra perché mi batto per quella che chiamo ‘la conservazione della condizione umana’”, ha dichiarato la ministra.
Il dibattito sulla natalità si colloca quindi sul fronte della guerra culturale: uno schieramento lancia l’allarme sull’erosione dei diritti mentre l’altro denuncia l’avvento della cancel culture (cultura della cancellazione) e di una polizia del pensiero. Dopo le proteste, Roccella ha parlato di “una sempre minore libertà di pensiero e di espressione: alcune cose non le puoi più dire, e nemmeno pensare.”
Più a valle rispetto a Massiola c’è Verbania, una tranquilla cittadina sulle sponde del Lago Maggiore. Verbania è capoluogo di una provincia che nel 2022 ha registrato un calo delle nascite da record: meno 12,8 per cento. “Tutto questo mi rende triste”, confessa Magda Verazzi, consigliera provinciale con delega per le pari opportunità e le politiche giovanili, schierata a destra. Verazzi indossa vestiti dai colori accesi e sorride spesso. “È una forma di egoismo. Un figlio viene visto come una limitazione, perché siamo ossessionati dall’aspetto fisico, dalla posizione sociale, dall’auto che abbiamo, dalla carriera”. Verazzi non ha figli e quando parla sembra quasi che rivolga una critica a se stessa. Ma poi scoppia a ridere e mi indica tutti i cani della piazza. “Abbiamo sostituito l’amore per i bambini con l’amore per gli animali”.
La sindaca di Verbania, Silvia Marchionini, è una moderna donna di sinistra convinta che l’arretratezza dell’Italia rappresenti un ostacolo per le giovani famiglie. “Qui è tutto vecchio: gli orari delle scuole, le attività extrascolastiche, la mancanza di parità tra donne e uomini”. Marchionini, che non ha figli, crede che le poche nascite riflettano un profondo malessere. “La gente non crede nel futuro, pensa che ormai sia impossibile costruire una vita che abbia un valore. L’Italia è un paese malato. Se la destra vince non è certo perché nell’aria si respira allegria”.
Che il tasso di natalità sia un metro del benessere è confermato da diverse statistiche. La pandemia di covid-19 ha colpito l’Italia in modo particolarmente duro, e nel gennaio 2021 le nascite sono state il 14,7 per cento in meno rispetto allo stesso mese del 2020. Un ospedale di Trieste ha registrato un calo del 20 per cento dopo l’introduzione dei lockdown. “L’Italia è un paese nervoso e pessimista”, mi spiega una donna sulla sessantina. “Non è più gioioso. I giovani sono arrabbiati perché non hanno quello che avevano i loro genitori”.
Rapporti instabili
Se il pessimismo sembra un contraccettivo efficace, lo stesso si può dire del materialismo sfrenato che imperversa nel paese. Molti anziani con cui ho parlato criticano il modo in cui i genitori viziano i loro figli unici. “Fa parte della mentalità provinciale degli italiani”, spiega Roberta, insegnante in pensione con un figlio e un nipote. “Tuo figlio deve avere le scarpe migliori, tutte le cose di prim’ordine. Quindi è naturale che non si possa averne più di uno”.
Oltre ai problemi economici, molte donne decidono di non avere figli perché vogliono evitare i problemi che ne derivano. Alessia, 32 anni, lavora in un autonoleggio e vive con il suo compagno. Guadagna 1.300 euro al mese e paga 300 euro di affitto. “Non voglio avere figli”, spiega. “Non mi interessa. Ma se li volessi non potrei comunque permettermeli. Già con un cane faccio fatica ad arrivare alla fine del mese”.
Alessia ha sei amiche che hanno da poco compiuto trent’anni. Solo una ha un figlio. “I rapporti sono più instabili rispetto al passato”, osserva. “Non siamo come le nostre madri. Vogliamo un compagno al nostro fianco, non un marito per cui devi cucinare ogni sera. Ci sono molte opzioni interessanti per chi non è genitore”.
Tra i demografi c’è un largo consenso su ciò che bisognerebbe fare per aumentare il tasso di natalità, ed è l’esatto opposto del ritorno alla famiglia tradizionale. “Ormai da decenni sappiamo che esiste una correlazione positiva tra la partecipazione al mercato del lavoro femminile e la natalità”, spiega Francesco Billari, rettore e professore di demografia dell’università Bocconi di Milano. “Nei paesi e nelle regioni con un mercato del lavoro più attento alla parità di genere, la natalità è più alta”. Tutti i dati statistici suggeriscono che il tasso di natalità cresce se ci sono politiche sociali progressiste. In Svezia, dove ci sono generosi congedi di maternità e paternità e agevolazioni per le famiglie, il tasso di natalità è 1,84. In Germania, che a metà degli anni novanta aveva un percentuale simile a quella attuale dell’Italia (1,3), ora il tasso è di circa 1,6. “Oltre a potenziare i sussidi e gli sgravi fiscali”, spiega Billari, “la Germania ha favorito l’accesso alla scuola dell’infanzia e ha prolungato l’orario scolastico e il congedo di paternità. In poche parole, il governo tedesco ha migliorato significativamente l’equilibrio tra lavoro e famiglia, soprattutto per le donne che in precedenza erano costrette a scegliere se lavorare o stare con i bambini”.
L’ipotesi che le politiche progressiste favoriscano le nascite è avvalorata dalle differenze statistiche che si registrano in Italia. Nella provincia autonoma di Bolzano le famiglie ricevono duecento euro al mese per ogni figlio sotto i tre anni, vengono aiutate nell’acquisto della prima casa e possono usufruire di buoni servizi scolastici e sanitari. A Bolzano il tasso di natalità è 1,65, più vicino a quello della Danimarca (1,72) che a quello di gran parte dell’Italia. Vitali sottolinea che nella provincia di Bolzano i nidi d’infanzia hanno una copertura del 67,5 per cento.
Davanti a questi numeri molti esperti concludono che il problema è diverso da come appare in superficie. “Non sono convinta che la vera emergenza sia la natalità”, spiega Linda Laura Sabbadini, dirigente dell’Istat ed ex presidente del gruppo Women 20, creato nell’ambito del G20. “Il problema riguarda le donne e i giovani. Abbiamo una delle percentuali più basse di donne che lavorano, il 51,3 per cento. In Germania e nel Regno Unito è oltre il 70 per cento, mentre in Francia è il 68 per cento”. Anche per le donne che hanno un impiego le difficoltà da superare per gestire la maternità sono enormi: l’Italia ha pochi nidi gratuiti.
Diverse ricerche indicano che le italiane vorrebbero avere lo stesso numero di figli delle loro coetanee nel Nordeuropa (dove la media è di poco superiore a due), per cui i demografi ne concludono che in Italia ci sono elementi che ostacolano questi desideri. Il più ovvio è che gli italiani vivono in casa con i genitori fino all’età adulta: in media i maschi non vanno a vivere da soli prima dei 31 anni, le donne prima dei 29 (in Svezia, per entrambi i sessi, l’età media è di 19 anni). Come ha dichiarato ironicamente l’ex ministro britannico David Willetts, “vivere con i genitori è un contraccettivo efficacissimo”. L’età media in cui le italiane affrontano il primo parto (31,4 anni) è la più alta d’Europa. Se si comincia tardi è difficile avere molti figli.
La maggior parte dei ragazzi italiani resta in casa con i genitori perché non può permettersi di andare via. Lo stipendio netto medio in Italia è di 1.501 euro, e quando si entra nel mondo del lavoro si è pagati molto meno. Il prezzo degli affitti continua a salire, con un incremento del 12 per cento medio in tutto il paese tra il maggio 2022 e lo stesso mese del 2023. Secondo l’Istat, 5,6 milioni di persone in Italia vivono in condizioni di povertà assoluta, mentre Eurostat (l’ufficio statistico dell’Unione europea) calcola che oltre il 20 per cento degli italiani sia esposto al rischio di povertà.
Queste difficoltà finanziarie sono ancora più proibitive per chi è in età fertile. All’interno dell’Unione europea l’Italia presenta la percentuale più alta di neet (not in education, employment or training), giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano né studiano: sono il 23,1 per cento, contro una media del 13,1 per cento (in Portogallo e Spagna, paesi paragonabili all’Italia, la percentuale è rispettivamente del 9,5 e del 14,1 per cento). La mancanza di opportunità di lavoro e di meritocrazia ha costretto i giovani più capaci ad andarsene. Dal 2006 il numero di italiani che vivono all’estero è raddoppiato, avvicinandosi ai sei milioni, secondo i dati dell’Anagrafe italiani residenti all’estero (Aire).
Secondo la sociologa Chiara Saraceno, uno dei grandi paradossi della situazione italiana è che il tasso di natalità è basso proprio perché la famiglia è predominante. “È ancora un’istituzione molto forte da cui ci si aspetta solidarietà dal punto di vista economico e dell’assistenza”, spiega Saraceno. “Le politiche sociali danno per scontata questa solidarietà, e in alcuni casi la impongono. È un meccanismo che sovraccarica le famiglie e riduce l’autonomia delle giovani generazioni”. Secondo Saraceno, l’Italia è intrappolata in una spirale in cui le famiglie sono costrette a colmare le lacune dell’assistenza sociale e della cura degli anziani e la mancanza di nidi d’infanzia per la figlia o il figlio. Di conseguenza si riduce il desiderio di fare altri bambini.
Una soluzione al problema esiste, ma è politicamente delicata. “Le nascite non possono risolvere questo squilibrio”, spiega Sabbadini. “È impossibile dal punto di vista demografico. Immaginiamo di arrivare a due figli per donna. Questi bambini cominceranno a lavorare tra 20 o 25 anni. E nel frattempo? Abbiamo bisogno d’immigrati”. Sabbadini crede che il governo stia ignorando il rimedio più ovvio ed efficace. “Ripete frasi demagogiche che non riflettono la realtà. Solo con un aumento degli immigrati in età da lavoro la popolazione crescerebbe immediatamente e potrebbe sostenere il sistema pensionistico di un paese che invecchia rapidamente. Angela Merkel aveva lo stesso problema, lo ha capito e ha accolto un milione di siriani”.
Complicarsi la vita
Poco lontano dal lago Maggiore c’è uno specchio d’acqua più piccolo, il lago d’Orta, con un’isola che ospita un monastero. Davanti all’isola c’è Orta San Giulio, uno splendido borgo medievale con vicoli stretti e palazzi antichi. Nel 2019 Orta ha conquistato le prime pagine dei giornali quando, nonostante i 1.322 abitanti, non ha registrato neanche una nascita a fronte di 29 decessi. Da allora la popolazione si è ridotta di 160 abitanti.
Il sindaco Giorgio Angeleri è un uomo gioviale e orgoglioso del suo paese, ma sa anche che il turismo è un’arma a doppio taglio perché provoca un aumento dei prezzi e allontana i giovani in difficoltà economiche. “La nostra missione è evitare che Orta diventi un parco a tema”, spiega. Tenere aperte le scuole è un aspetto importante di questa strategia. “Offriamo gratuitamente i bus e le attività extrascolastiche”. L’amministrazione comunale copre una parte del costo della mensa e il 60 per cento della spesa per i campi estivi. Tutti i nuovi nati ricevono un bonus di 500 euro.
Angeleri, che dice “di non avere figli, purtroppo”, sa bene di combattere una battaglia disperata. “Oggi la gente è molto egoista. Tutti pensano a se stessi, vogliono lavorare, crescere, viaggiare, studiare. L’idea di sposarsi non li sfiora, figuriamoci quella di avere figli”. Molti ritengono che la povertà sia il fattore principale dietro il calo delle nascite, ma Angeleri crede che anche il benessere incida. “Qui le persone stanno bene, in genere hanno una situazione economica ottima. Non vogliono complicarsi la vita con un figlio”.
Il sindaco di Orta è tra quelli che pensano che in futuro la popolazione italiana sarà composta in misura sempre maggiore da stranieri. “È inevitabile. Quando ho pubblicato le gare d’appalto per i servizi di pulizia, le aziende avevano solo dipendenti stranieri: sudamericani, albanesi, ucraini. Lo stesso vale per l’assistenza agli anziani e l’agricoltura. Braccianti, allevatori, macellai: sono tutti stranieri”.
Angeleri, che è cresciuto in Perù e si è trasferito in Italia da adolescente, non è preoccupato da questo processo. “La terra è rotonda e gli incroci migliorano la razza umana”, commenta sorridendo. “Tutti questi discorsi sulla sostituzione etnica sono solo una distrazione”.
Ma i demografi temono che l’improvviso clamore intorno a questi temi ostacoli l’introduzione di misure efficaci e trasversali. “Diventare genitori è una scelta a lungo termine che cambia la vita. Proprio per questo è cruciale che le politiche pubbliche appaiano stabili e non siano influenzate dalle alternanze di governo”, sottolinea Billari. Trasformando il problema della natalità in una causa della destra, il governo Meloni “introduce una componente ideologica nella questione”, aggiunge Saraceno.
“Quasi quasi mi spingono a non avere altri figli”, ammette Silvana, una mamma che passeggia tra le vetrine mentre il suo bambino dorme nel passeggino. Silvana si dichiara di sinistra e sottolinea che oggi chiunque abbia più di due figli è considerato un ultracattolico o un simpatizzante di destra.
Anche gli immigrati temono di essere sfruttati solo per colmare un divario. Solomon, un elegante commesso originario del Ghana, scoppia a ridere quando gli chiedo se il problema della natalità può migliorare l’accoglienza nei confronti dei migranti. “Se ci permettono di stare qui solo per pagare le pensioni degli anziani non è esattamente un’accoglienza calorosa”, risponde. Tra l’altro Solomon sottolinea che molti dei suoi amici sono pagati in contanti, quindi un aumento dell’immigrazione non risolverebbe la crisi delle finanze pubbliche.
La sfida per Roccella e Meloni è convincere gli italiani che il problema del crollo delle nascite non è né di destra né di sinistra e riguarda tutto il paese. Forse solo allora l’inverno demografico dell’Italia lascerà il posto a una primavera. ◆ as
Tobias Jones è un giornalista britannico. Vive a Parma. L’adattamento televisivo del libro suo libro Sangue sull’altare è attualmente in onda su Rai 1 con il titolo Per Elisa.
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Questo articolo è uscito sul numero 1535 di Internazionale, a pagina 48. Compra questo numero | Abbonati