Pedro Almodóvar è abituato a infrangere i tabù. Lo ha fatto per tutta la sua carriera. Il 7 settembre è stato capace di abbattere altre due barriere in un colpo solo. Prima di La stanza accanto, infatti, non aveva mai girato un film in inglese, e da più di mezzo secolo un regista spagnolo non riceveva il Leone d’oro a Venezia. Il fatto che l’abbia ottenuto con un film spagnolo, tra l’altro, è una prima assoluta: Luis Buñuel, nel 1967, trionfò con Bella di giorno, che era francese. L’artista di Calzada de Calatrava aggiunge nuovi capitoli alla sua storia infinita: ha vinto, in un’altra lingua, il concorso cinematografico più antico del mondo. Mai in passato Almodóvar era riuscito a conquistare un premio “d’oro” ai massimi livelli della settima arte. Dopo il Leone gli mancano ancora la Palma, l’Orso e la Concha. Il suo primo esame d’inglese, a 74 anni, è stato superato a pieni voti davanti alla giuria veneziana. Non “all’unanimità”, bensì attraverso un “accordo”, come ha riferito la presidente Isabelle Huppert.
Attrici e registe
Il film racconta l’incontro, dopo molti anni, tra due amiche. Ingrid (Julianne Moore) sta firmando le copie del suo ultimo saggio On sudden death quando scopre che Martha (Tilda Swinton), cara amica di un tempo, ma che ha perso di vista, si trova in ospedale. Durante una visita Martha, ex corrispondente di guerra del New York Times, le racconta che sta affrontando l’epilogo della sua vita e che si sente pronta a farla finita. Ingrid decide di rimanere al suo fianco.
L’interpretazione di Swinton, celebrata dalla maggior parte della critica, avrebbe meritato un altro premio, tuttavia il regolamento di Venezia impedisce a chi vince il Leone d’oro di ottenere ulteriori premi. Quindi la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile è andata a Nicole Kidman per Babygirl, dell’olandese Halina Reijn, che ha ritirato il premio leggendo un commosso messaggio scritto da Kidman per spiegare la sua assenza: appena arrivata a Venezia, l’attrice ha saputo che la madre era morta ed è partita immediatamente. In una situazione del genere il premio passa in secondo piano, ma resta il fatto che l’attrice ha visto riconosciuto il coraggio di essersi misurata con uno dei ruoli più audaci della sua carriera. Kidman interpreta una dirigente d’azienda che dietro una vita apparentemente felice nasconde un vulcano di pulsioni sessuali represse. E così avvia una relazione di dominio/sottomissione con uno stagista assunto di recente dalla sua azienda. Il film esplora temi come il consenso, l’abuso e la passione, culminando in una rivendicazione della libertà sessuale femminile.
La stessa idea è condivisa da Vermiglio, di Maura Delpero, vincitore del Gran premio della giuria e una delle sorprese più gradite del festival. Poco dopo aver perso il padre, la regista italiana lo aveva sognato in un contesto insolito. “Era un bambino di sei anni, nella casa della sua infanzia”. Da lì Delpero ha costruito un’opera corale su un piccolo paese delle Dolomiti nel 1944. La seconda guerra mondiale si combatte poco lontano, però non sembra avere un impatto sulla vita del paese, o almeno non quanto altri conflitti: un patriarca cerca d’imporre a tutta la famiglia di vivere secondo le tradizioni, ma le sue figlie scelgono di seguire i propri desideri. Il tutto è filmato con delicatezza, umanità, gusto ed equilibrio. “È cominciato ed è finito con un sogno”, ha riassunto Delpero, ringraziando la figlia di pochi mesi per aver sopportato la “mamma-regista” e invitando la società a facilitare il lavoro di cura in famiglia che quasi sempre ricade “soprattutto sulle donne”.
L’opera più commentata del festival, The brutalist di Brady Corbet, ha dovuto “accontentarsi” del Leone d’argento per la migliore regia. Il film è un grande passo avanti nella folgorante carriera del regista e attore di 36 anni, che a Venezia aveva portato il suo debutto, L’infanzia di un capo, nel 2015. Al Lido è arrivata anche la consacrazione. È suo il film più monumentale per durata (tre ore e mezza), riprese (su pellicola e in 70 millimetri) e ambizione, tanto narrativa quanto visuale. Racconta la storia di un architetto che fugge dal nazismo negli Stati Uniti alla ricerca di una nuova vita e finisce per incontrare uno strano mecenate che gli affida la costruzione di un edificio mastodontico, vivendo tutti gli incubi nascosti dietro il sogno americano. Il protagonista, Adrien Brody, ha offerto probabilmente la migliore interpretazione della mostra, ma la norma “un solo premio per film” ammette solo complicate e rare eccezioni. Non è stato questo il caso.
Esagerazioni
La Coppa Volpi maschile è andata a Vincent Lindon, attore sempre credibile ed efficace. In Jouer avec le feu, delle sorelle Delphine e Muriel Coulin, interpreta un padre vedovo che s’impegna al massimo per prendersi cura dei due figli. Eppure uno dei due ragazzi intraprende una strada che lo porta verso l’estrema destra.
Anche Ainda estou aqui di Walter Salles parla di una famiglia. Al film ha partecipato una serissima candidata al premio di migliore attrice, Fernanda Torres. Alla fine è stato premiato per la sceneggiatura di Murilo Hauser e Heitor Lorega. Il film ricostruisce la scomparsa per mano della dittatura brasiliana, nel 1971, dell’ex deputato Rubens Paiva, e i vani tentativi della moglie Eunice di rintracciarlo. Salles era amico dei figli di Paiva e il suo coinvolgimento emotivo emerge chiaramente nel film, che ha regalato al festival un momento memorabile con la sequenza in cui la donna ottiene il certificato di morte del marito, anni dopo la sua scomparsa.
Dea Kulumbegashvili non ha la metà degli anni di Almodóvar e solo due film alle spalle come regista. Nel 2020 la sua opera prima Beginning è stata premiata in vari festival. April ha vinto il premio speciale della giuria di Venezia. Il film segue una dottoressa che pratica l’aborto clandestino nelle campagne della Georgia attraverso piani larghi e fissi, senza nessuna concessione allo spettatore. Al contrario, il pubblico è costretto ad assistere a un parto tragico e a un’interruzione volontaria di gravidanza. L’impegno assoluto di Kulumbegashvili nei confronti del cinema, la sua fermezza e il miscuglio tra immagini terrificanti e bellissime ma sempre potenti compongono una ricetta squisita per molti e indigesta per altri.
Un’altra giovane autrice, Sarah Friedland, ha vinto il premio Luigi de Laurentiis per la migliore opera prima, Familiar touch. Il premio Marcello Mastroianni per l’attore rivelazione è andato a Paul Kircher, per Leurs enfants après eux. Il veterano Nanni Moretti ha ottenuto il riconoscimento per il miglior restauro, Ecce bombo, e si è prodotto in uno dei ringraziamenti più originali: “C’erano film di De Sica, Antonioni, Lang, Hawks, Brooks. Grazie ma forse avete esagerato”. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1580 di Internazionale, a pagina 79. Compra questo numero | Abbonati