Per ovvie ragioni è molto difficile parlare di cucina palestinese in questo periodo storico. Qualsiasi conversazione sull’argomento finisce inevitabilmente per ruotare intorno alla crisi nella regione. E nel 2024, in uno dei momenti peggiori della crisi, in mezzo mondo è uscito il libro dello chef palestinese Fadi Kattan, intitolato Bethlehem: a celebration of Palestinian food (Betlemme: elogio della cucina palestinese).
Parlare di gastronomia palestinese significa parlare anche di tutto il resto, inevitabilmente. “La cucina del mio paese è il riflesso di tutte le popolazioni che sono passate da lì, ma anche dell’influenza mediterranea, della terra e del deserto. Questi diversi influssi a un certo punto convergono e ogni comunità porta le sue tradizioni”, spiega Kattan , che ha 46 anni ed è nato a Betlemme. “I quattrocento anni dell’impero ottomano hanno avuto un grande peso. Anche la Spagna è stata fondamentale. La diversità della cucina palestinese è fenomenale”.
La sua gioventù è stata un continuo apprendistato, nel quale ha cercato di perfezionare i classici piatti locali, come il tabouna (un pane tradizionale di origine tunisina cotto in un forno di terracotta) o le uova strapazzate con il sommacco (una spezia rossa che ha un sapore simile a quello del limone). In seguito ha studiato cucina a Parigi e nel 2000 è tornato a Betlemme per lavorare all’hotel Intercontinental. La struttura ha dovuto chiudere durante la seconda intifada, terminata nel 2005. Ma Kattan non si è scoraggiato e poco dopo ha annunciato l’apertura del Kassa boutique hotel, nella città vecchia di Betlemme.
Da allora la missione di quest’uomo dagli occhi grandi e dalla barba folta è stata preservare le essenze che per decenni hanno regnato sulle tavole dei suoi compatrioti. Prima ha aperto il Fawda, un ristorante di lusso il cui menù cambia ogni giorno a seconda dei prodotti disponibili; poi, nel 2023, è arrivato l’Akub, uno dei locali più alla moda di Londra, dove ci troviamo oggi.
Da poco è arrivato anche il Louf, il primo ristorante di Kattan in Canada, a Toronto, con un menù di cucina palestinese moderna. Combinando ingredienti locali e palestinesi con tecniche tradizionali, Kattan e la cofondatrice Nicole Mankinen offrono un menù capace di trasmettere la bellezza e la diversità della cucina palestinese a ciascun cliente.
“L’occupazione dei territori palestinesi ci ha fatto perdere un po’ di orgoglio per la nostra storia, e questo include la cultura culinaria”
“Un ristorante come il Louf ha particolarmente senso a Toronto, perché riunisce i sapori della Palestina, le storie del mio paese e i prodotti eccezionali di cui ci riforniamo sia in Canada sia nei miei luoghi d’origine: i nostri vini, le bibite senza alcol, l’olio d’oliva, il sommacco, lo zaatar (una miscela di spezie mediorientali), la zucca, le capesante, il pane fatto con grano locale, il freekeh (un tipo di grano verde che viene raccolto e tostato). Tutto racconta una storia”, dice lo chef.
Riflettori puntati
Il libro di Fadi Kattan è molto più di un ricettario o di una storia della cucina palestinese. “Non vorrei considerarlo una specie di testamento”, chiarisce Kattan, “anche se visto quello che succede ogni giorno è difficile non essere pessimisti. Stiamo facendo quello che possiamo. Oggi è davvero difficile tornare in quelle zone e ascoltare le storie della gente”, aggiunge.
Kattan non ha dubbi su quale sia l’essenza della tradizione culinaria del suo paese: “Se chiedete a un palestinese quali sono le cose da mangiare che gli piacciono di più, vi risponderà: ‘Vieni a casa e te lo faccio assaggiare’. Ho portato i piatti che si preparano tra le mura domestiche all’interno di un ristorante e ho cercato di pensare a come reinterpretarli, una cosa che probabilmente non era mai stata fatta prima. Ho deciso di creare una cucina di alto livello a partire dai prodotti che si trovano al mercato e dai sapori della mia terra”, spiega.
Oggi i riflettori del mondo della gastronomia sono puntati su questo chef che sorride quasi sempre, ma lui non ha alcun interesse a diventare il protagonista di una storia che, paradossalmente, è stata raccontata troppo poco. “La mia cucina rispetta l’artigiano, il produttore e i piatti che vengono serviti. Mi lusinga il fatto che qualcuno mi consideri una specie di bibliotecario, ma non sono io a conservare i sapori palestinesi, sono le persone che cucinano nelle loro case. Noi chef dovremmo essere umili. L’occupazione dei territori palestinesi ci ha fatto perdere un po’ di orgoglio per la nostra storia, e questo include la nostra cultura culinaria: cominci a dubitare delle tue capacità e finisci per credere che quello che fai non è abbastanza buono”.
Bethlehem: a celebration of Palestinian food propone più di sessanta ricette, la maggior parte delle quali proviene dalla sua città di origine. “Il libro presenta anche alcune variazioni regionali degli stessi piatti. Per esempio gli abitanti di Gaza usano tanto peperoncino e aneto, che non si trova in altre parti della Palestina. Nel deserto è più diffuso l’agnello, mentre a nord si usa lo yogurt fresco di capra. A est, invece, si consuma molto pesce”, spiega il cuoco. “I piatti che propongo nel mio locale a Londra contengono influenze da tutta la regione, da Gaza, Gerusalemme, Jaffa, Betlemme, Hebron, Nazareth e Nablus”.
Prima della guerra, a Betlemme arrivavano più di due milioni e mezzo di turisti all’anno. Molti di loro erano interessati alla cucina locale. Ora i palestinesi non possono entrare in Israele per lavorare e si è bloccata la consegna di agrumi, fragole e verdure.
Diverse aziende agricole che riforniscono il mercato sono separate da un muro alto dodici metri e da una tangenziale. A questo si aggiungono i controlli della polizia e dell’esercito israeliano. “Per questo ho scelto un modello di cucina basato sugli ingredienti a cui abbiamo accesso ogni giorno. È l’unico modo per continuare a lavorare”, spiega lo chef a proposito del suo ristorante a Betlemme. E aggiunge: “Cuciniamo un po’ come facevano le nostre nonne, che andavano al mercato, compravano quello che c’era e si arrangiavano”.
Oltre il muro
Kattan è stato costretto anche a rimandare la riapertura del suo hotel di lusso a sei camere, il Kassa.
“Tutte le attività ricettive di Betlemme sono state colpite, senza eccezioni”, afferma. “Nessun ristorante, anche in centro, apre per più di due giorni alla settimana. Certo, il calo del turismo è stato drastico, ma il problema è anche che la gente del posto non può permettersi di spendere soldi. Dubito che siano tante le persone a Betlemme a poter uscire di casa e sedersi a mangiare della carne arrosto in un ristorante”, aggiunge il cuoco.
“Parte di quello che è successo dal 7 ottobre 2023 in poi ha causato una totale disumanizzazione di quello che siamo. Per questo cerco di parlare in modo razionale di tutto ciò che identifica il mio popolo: dal cibo all’arte, dal vino alla cultura. È il mio modo di dire che siamo qui da secoli e che abbiamo una cucina fantastica. È il mio modo di mantenere viva la nostra cultura. Spero che le persone di tutto il mondo cucinino le ricette del libro e mantengano viva la memoria del mio popolo. E che questo, in un certo senso, dia un po’ di speranza”, conclude. ◆ fr
◆ 1978 Nasce a Betlemme, in Palestina, figlio di una famiglia di fede cristiana.
◆ 1998 Comincia a studiare cucina all’istituto Vatel di Parigi.
◆ 2000 Torna a Betlemme e apre l’hotel Kassa boutique nella città vecchia.
◆ 2003 La struttura è costretta a chiudere in seguito alla seconda intifada.
◆ 2016 Apre il ristorante Fawda, che cambia menù ogni giorno in base agli ingredienti disponibili.
◆ 2023 Fonda l’Akub, un ristorante di lusso a Londra.
◆ 2024 Pubblica il libro Bethlehem: a celebration of Palestinian food, che raccoglie sessanta ricette della tradizione palestinese.
◆ gennaio 2025 Apre il locale Louf a Toronto, in Canada.
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Questo articolo è uscito sul numero 1602 di Internazionale, a pagina 68. Compra questo numero | Abbonati