Due anni fa c’è stato un tentativo di colpo di stato in Brasile. Se non mi credete, leggete i due rapporti della polizia federale, rispettivamente di 221 e 884 pagine, pubblicati a novembre. Frutto di due anni d’indagini, questi resoconti descrivono con un sorprendente livello di dettaglio un piano per rovesciare il governo in carica.

Il caos dell’8 gennaio 2023 – quando i sostenitori del presidente uscente Jair Bolsonaro, molti dei quali indossavano le divise da calcio gialle della nazionale brasiliana, hanno assaltato gli edifici governativi della capitale – ha attirato l’attenzione internazionale. Quei disordini, però, erano la fine e non l’inizio di un tentativo di colpo di stato. Come chiariscono i rapporti della polizia, l’assalto era il seguito di un piano attentamente coordinato per garantire che Bolsonaro, sconfitto alle elezioni dell’ottobre 2022, potesse restare al potere.

All’interno delle istituzioni in Brasile c’è una forza in grado di rovesciarle: l’esercito. È la spada di Damocle che pende sul paese

La cosa più sconvolgente è che il complotto prevedeva anche degli omicidi. Secondo le indagini un’unità d’élite dell’esercito era stata incaricata di uccidere il presidente che stava per entrare in carica, Luiz Inácio Lula da Silva, e il suo vicepresidente, Geraldo Alckmin. Era previsto anche il rapimento e la probabile uccisione di un giudice della corte suprema, Alexandre de Moraes, che conduce molte delle indagini sull’estrema destra nel paese.

I cinque soldati di quella unità militare sono stati arrestati. Ma non erano di certo gli unici coinvolti. Trentasette uomini, tra cui Bolsonaro e un gruppo di suoi alleati, sono stati accusati di aver pianificato il colpo di stato. Se le accuse saranno confermate dal procuratore generale del Brasile, il processo si terrà quest’anno.

Per i cittadini la cosa davvero spaventosa non è il fatto che nel 2023 siano andati vicini alla distruzione della loro democrazia, ma la possibilità che questo possa succedere di nuovo. Il rapporto della polizia chiarisce che all’interno della democrazia brasiliana c’è una forza in grado di rovesciarla: i militari. È la spada di Damocle che pende sul paese.

Forse la cosa migliore è partire dagli omicidi pianificati. Non dobbiamo usare l’immaginazione perché i cospiratori hanno scritto tutto. Il generale in pensione Mario Fernandes, segretario esecutivo del presidente quando era in carica Bolsonaro, ha stampato una bozza del documento, addirittura nel palazzo presidenziale. In riferimento ai colori nazionali del Brasile, e per galvanizzare il patriottismo dei cospiratori, il documento era intitolato “Pugnale verde e giallo”. Era un piano molto ampio. Descriveva le armi necessarie per portare a termine la missione – una mitragliatrice, un lanciagranate, un lanciarazzi anticarro – e parlava della possibilità di un “100 per cento di vittime” tra le persone coinvolte.

Il progetto prendeva anche in considerazione l’ipotesi alternativa di avvelenare Lula, “tenendo conto dei suoi problemi di salute e dei frequenti ricoveri in ospedale”. In caso di omicidio di Alckmin, inoltre, il piano dichiarava: “Non si prevede una sollevazione nazionale”.

De Moraes doveva essere il primo obiettivo. Il 15 dicembre 2022 gli assassini – che avevano negoziato con l’assistente personale di Bolsonaro un prezzo di circa 16.500 dollari (15.700 euro) per portare a termine l’operazione – si sono sistemati vicino alla casa del giudice. Da lì, stando a quanto scritto nei rapporti, hanno atteso l’arrivo di un decreto presidenziale. Vedendo che non succedeva, uno di loro ha ordinato agli altri d’interrompere la missione.

Dalla fondazione della repubblica nel 1889, hanno provato nove volte a prendere il potere e in cinque casi ci sono riusciti

Il decreto, che secondo i rapporti sarebbe stato rinviato da Bolsonaro, era cruciale per il colpo di stato. Avrebbe sospeso i poteri del tribunale elettorale brasiliano e arrestato Moraes, permettendo al presidente di restare al potere. A dicembre era stato presentato due volte ai capi delle forze armate, e questo lo hanno confermato alcuni ufficiali. Curiosità: a questi incontri c’era anche un sacerdote.

Secondo le indagini, il capo della marina era pronto a partecipare al golpe, ma i comandanti dell’esercito e dell’aviazione si sono rifiutati di andare fino in fondo. La mancanza di sostegno internazionale potrebbe essere stata una delle loro motivazioni: il governo statunitense avrebbe fatto pressioni in segreto nel corso dell’anno, esortando i leader politici e militari brasiliani a rispettare i risultati delle elezioni. A quanto pare ha funzionato.

I rapporti della polizia sono chiari sui responsabili del tentato colpo di stato. Tra le persone incriminate ci sono alcuni dei principali alleati di Bolsonaro, tra cui ministri del governo, il suo candidato alla vicepresidenza, il suo ministro della difesa e un ex capo della marina. Secondo le indagini, Bolsonaro “ha pianificato, ha agito ed era consapevole delle azioni dell’organizzazione criminale che voleva realizzare un colpo di stato ed eliminare lo stato di diritto democratico”. Bolsonaro nega ogni accusa.

Il resto del piano, in confronto alla parte sui rapimenti e le uccisioni, era relativamente banale, ma comunque insidioso. La strategia del gruppo riguardava varie aree chiave. Prima delle elezioni, per esempio, Bolsonaro e i suoi alleati avevano più volte affermato che il sistema di voto elettronico del paese poteva essere usato per commettere frodi, con l’obiettivo di aizzare i conservatori e assicurarsi il loro sostegno nel caso di un colpo di stato.

I cospiratori, però, ovviamente sapevano che quelle affermazioni erano false. “Non ci sono prove di frode elettorale”, aveva detto a un militare l’assistente personale di Bolsonaro, il tenente colonnello Mauro Cid. Un punto importante dei rapporti è l’osservazione fatta da un ufficiale dell’intelligence brasiliana a un collega: “C’è un tizio che ha postato un tweet sull’invasione dei seggi elettorali. Dobbiamo costruirgli un curriculum credibile”.

Il governo avrebbe anche supervisionato gli accampamenti dei sostenitori di Bolsonaro davanti ai quartier generali militari e in tutto il paese, andati avanti per più di due mesi fino alla fine del 2022. “Per quanto tempo vuole che restiamo qui?”, aveva chiesto un leader della protesta al generale Fernandes. L’8 gennaio 2023 migliaia di manifestanti hanno preso d’assalto gli edifici governativi di Brasília, tra cui il palazzo presidenziale, il congresso e la corte suprema. Ma a quel punto il colpo di stato era fallito.

Possiamo essere grati di quel fallimento. Tuttavia, anche se Bolsonaro e i suoi alleati dovessero finire dietro le sbarre, resta il fatto che l’esercito sembra non voler accettare l’idea che la repubblica appartiene ai cittadini. Il suo coinvolgimento è evidente: quattro dei cinque componenti dell’unità omicida arrestati sono ufficiali delle forze armate. Anche il generale Walter Braga Netto, pluridecorato e ministro della difesa del governo Bolsonaro, è stato messo in prigione. Dei 37 uomini accusati di aver pianificato il colpo di stato, 25 sono militari. Quasi tutti occupano o hanno occupato posizioni di alto livello.

Questo è molto preoccupante. Anche se stavolta alcuni comandanti hanno deciso di non appoggiare un colpo di stato, la stabilità della democrazia brasiliana dipende ancora in gran parte dall’umore dei militari.

In un certo senso, è sempre stato così. Dalla fondazione della repubblica brasiliana nel 1889, i militari hanno provato nove volte a prendere il potere e in cinque casi ci sono riusciti. Nel 1985, dopo la fine della ventennale dittatura colpevole di numerose violazioni dei diritti umani, censura della stampa e persecuzione degli oppositori politici, le forze armate hanno continuato a essere molto coinvolte nella politica. Con Bolsonaro sono diventate ancora più potenti.

Non posso fare a meno di pensare che ci siano molti generali, ammiragli e marescialli che sarebbero pronti a schierarsi a favore di un golpe se i loro interessi non fossero pienamente soddisfatti.

In vista delle elezioni del 2026, ci sono buoni motivi per essere preoccupati. Con l’arrivo di un’amministrazione statunitense più propensa ad appoggiare i militari, e con il perenne malumore che serpeggia tra i ranghi dell’esercito nei confronti del governo di Lula, non possiamo essere sicuri che una cosa del genere non si ripeterà. E chissà, magari la prossima volta avrà successo. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1599 di Internazionale, a pagina 36. Compra questo numero | Abbonati