Il 18 gennaio una delegazione del governo cinese è arrivata ad Harare, la capitale dello Zimbabwe, per discutere della realizzazione degli accordi economici firmati nell’agosto del 2014 durante la visita del presidente zimbabweano Robert Mugabe in Cina. Come rivela il Mail & Guardian, Pechino potrebbe porre una condizione onerosa in cambio degli aiuti economici: esigere la presenza dei suoi funzionari nelle più importanti aziende parastatali dello Zimbabwe. L’obiettivo è assicurarsi che il denaro cinese non vada sprecato e che non finisca per alimentare la corruzione.

I cinesi “pensano che i loro funzionari renderanno le aziende pubbliche più efficienti”, dichiara al Mail & Guardian un funzionario pubblico del paese africano che preferisce rimanere anonimo. “Probabilmente Pechino riuscirà a imporre le sue condizioni, ma resta il fatto che alcuni zimbabweani criticano i cinesi per aver colonizzato il paese, tanto che ora controllano l’economia e cercano di entrare nelle aziende pubbliche”.

Il governo di Mugabe, 90 anni, vuole avviare un piano da 27 miliardi di dollari per rilanciare un’economia in profonda crisi, strangolata dalle sanzioni internazionali imposte da Unione europea e Stati Uniti perché il regime non rispetta alcuni diritti umani (nel 2014 l’Unione ha deciso di alleggerirle). La Cina, invece, ha promesso di assistere l’anziano leader nella realizzazione di nuove infrastrutture in vari settori: elettricità, telecomunicazioni, agricoltura, miniere, gestione delle risorse idriche. Tuttavia, quando Mugabe è andato a Pechino nell’agosto scorso, è tornato a casa a mani vuote, perché lo Zimbabwe non ha ancora ripagato i precedenti prestiti cinesi. Secondo fonti governative, alla fine del 2014 Harare doveva ripagare 60 milioni di dollari di interessi sui prestiti ricevuti. Mail & Guardian

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