Chiariamo subito una cosa: la crisi dei profughi non è un fenomeno recente. Lo è solo per l’Europa e l’occidente. Alla fine del 2014, solo il 14 per cento dei profughi del mondo viveva nei paesi industrializzati. Meno del 6 per cento dei rifugiati siriani ha chiesto asilo in Europa (222.156 su un totale di circa quattro milioni). Quando ci si domanda quali siano le cause della crisi dei profughi in realtà ci stiamo chiedendo perché l’Europa se ne sia resa conto solo adesso.
E tuttavia si tratta comunque di un campanello d’allarme. L’anno scorso, quasi 220mila richiedenti asilo sono arrivati in Europa via mare: una cifra record. Nel 2015 più di 900mila persone sono arrivate sulle spiagge greche e, in misura minore, su quelle italiane. Quali sono i motivi?
Attualmente per i siriani è quasi impossibile entrare legalmente in buona parte dei paesi arabi
Il primo motivo è la dimensione tragica della guerra civile in Siria. La maggioranza delle persone arrivate è siriana, secondo le statistiche dell’Onu e dei governi di Grecia e Italia. Anche se persistono alcuni dubbi sulla precisione di questi dati, è chiaro che i siriani costituiscono la gran parte dei migranti arrivati in Europa. E il motivo è che queste persone hanno perso ogni speranza nei confronti del loro paese, dove la guerra non dà segni di placarsi. Hanno già sopportato quattro anni di guerra brutale, un quinto sarebbe troppo.
Il secondo motivo è che per i profughi non c’è alcuna speranza di trovare una sistemazione nei paesi del Medio Oriente. Attualmente per i siriani è quasi impossibile entrare legalmente in buona parte dei paesi arabi. Quasi quattro milioni di persone sono già riuscite a entrare in Turchia, in Libano e in Giordania, ma l’Europa è la meta più allettante dal momento che, nei paesi in cui vivono, non godono di nessun diritto.
La maggioranza non può lavorare in maniera regolare, a nessuno è formalmente riconosciuto lo status di rifugiato e molti dei loro figli non possono andare a scuola. Secondo le autorità turche, sono circa 400mila i bambini siriani attualmente in Turchia esclusi dal sistema scolastico. E a rendere le cose ancora più disperate, c’è l’evidente carenza di fondi dell’Onu che ha portato a una riduzione degli aiuti dati alle famiglie di profughi ogni mese, rendendone così la permanenza in Medio Oriente ancor più insostenibile.
Il Regno Unito strombazza i suoi aiuti ai campi profughi come se fossero la soluzione. La loro utilità è in realtà limitata, visto che solo un quinto dei siriani vive nei campi, e la maggior parte degli altri non può accedere all’istruzione o a un lavoro regolarizzato. Non sorprende che centinaia di migliaia di persone si stiano dirigendo verso l’Europa per godere dei diritti garantiti dalla convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati, che il Medio Oriente non gli può garantire. Per quattro anni, in molti sono stati disposti a vivere in questo limbo, nella speranza che fosse temporaneo. Adesso che sta diventando una condizione permanente, hanno deciso di spostarsi altrove per garantirsi un futuro.
Quest’estate moltissimi siriani hanno scoperto la rotta balcanica, in parte per necessità e in parte per scelta
Nel 2015, questo viaggio è diventato molto più facile. Dodici mesi fa la maggior parte dei siriani sembrava convinta che il modo migliore per arrivare in Europa fosse imbarcarsi dalla Libia per l’Italia. Nel 2014 diverse migliaia di persone si sono recate in Turchia dalla Grecia, ma erano molte di meno, forse perché si trattava di una rotta meno nota o perché le persone erano scoraggiate dalla prospettiva di dover lasciare di nuovo l’Unione europea prima di raggiungere l’Europa occidentale. Una volta in Grecia, infatti, per arrivare in Germania bisogna attraversare a piedi i Balcani che sono quasi interamente fuori dell’Unione. Per chi riesce ad approdare in Italia, invece, non c’è più bisogno di uscire dai confini dell’Unione.
Quest’estate, tuttavia, moltissimi siriani hanno scoperto la rotta balcanica, in parte per necessità e in parte per scelta. Tanto per cominciare le limitazioni al rilascio di visti in Nordafrica hanno reso più difficile l’arrivo dei siriani in Libia, mentre l’inasprimento della guerra civile ha reso la Libia una meta pericolosa.
Nel frattempo, le persone si sono rese conto che la rotta balcanica era un’opzione decisamente più economica. E più ci provavano, più sui social network si diffondevano racconti su come percorrerla. Così si è alimentato questo ciclo. La Turchia nega di aver chiuso un occhio ma alcuni resoconti sul campo suggeriscono che il paese che accoglie più esuli siriani al mondo non sia stato particolarmente solerte nel bloccarne la partenza.
Anche la generosità della Germania e il sempre più deciso pragmatismo dei paesi balcanici sono stati fattori decisivi. La prima ha comunicato a settembre che avrebbe accettato tutte le domande d’asilo dei siriani, anche di quanti avevano già chiesto asilo in un altro paese europeo. L’annuncio ha scatenato una nuova e massiccia ondata di arrivi, perché le persone non avevano più paura di essere arrestate in Ungheria ed essere costrette a chiedere asilo nel primo paese d’ingresso dell’Unione. Nel frattempo la Grecia, la Macedonia, la Serbia e la Croazia hanno reso il passaggio nel loro territorio molto più facile per i richiedenti asilo.
All’inizio dell’estate i rifugiati dovevano percorrere buona parte del cammino verso l’Europa centrale a piedi. A settembre tutti i paesi balcanici hanno previsto dei trasporti straordinari, il che significa che un percorso in precedenza molto faticoso è diventato più accessibile per le famiglie.
Tutto questo ha portato all’aumento delle persone arrivate in Grecia, che sono passate dai circa 43mila arrivi del 2014 a più di 750mila nel 2015 (gli arrivi in Italia sono leggermente diminuiti, da 177mila a circa 144mila). Non tutti erano siriani, soprattutto verso la fine del 2015. In Italia il gruppo principale è stato quello degli eritrei, in fuga da una dittatura in stile nordcoreano, mentre in Grecia sono sempre più numerosi gli afgani e gli iracheni, provenienti da zone dove i conflitti si stanno inasprendo. Tanti afgani arrivano dall’Iran dove, pur essendo residenti, non hanno alcun diritto e hanno ormai pochi legami con il loro paese d’origine.
I muri non funzionano
I governi balcanici sostengono inoltre che ai flussi migratori si uniscono sempre più persone provenienti da paesi non in guerra, come il Marocco e il Libano. Le statistiche dell’Onu suggeriscono che questo gruppo di persone rappresenti meno del 10 per cento del totale, ma visto il proliferare di documenti d’identità falsi o rubati, il numero esatto sarà difficile da determinare.
Tuttavia quel che è chiaro è che chiunque sia in grado di pagare una traversata in barca per la Grecia e comprare un falso passaporto siriano, può oggi dirigersi in maniera relativamente facile verso il Nordeuropa. Anche alcuni migranti albanesi e kosovari riescono a unirsi al flusso migratorio nei Balcani, il che spiega perché il numero dei richiedenti asilo che la Germania ha accolto quest’anno (quasi un milione) sia in realtà superiore al numero di persone arrivate in Grecia e in Italia (circa 900mila).
Per tutti questi motivi, buona parte delle colpe ricade sulle politiche d’asilo europee, ma non per i motivi a cui pensa la maggior parte delle persone. La crisi ha raggiunto l’Europa non perché i politici non hanno difeso i loro confini (lo hanno fatto, costruendo delle barriere in Bulgaria, in Grecia, in Spagna e in Ungheria), ma perché queste difese, alla fine, non funzionano contro persone che sono così disperatamente pronte a infrangerle.
I governi europei hanno creduto di poter evitare l’ingresso a molti richiedenti asilo, perché speravano che molti di loro non avrebbero mai rischiato la loro vita via mare. Ma l’Europa ha sottovalutato la disperazione delle persone. Quando i profughi si sono resi conto di avere pochissime possibilità di ottenere l’asilo in Europa tramite i canali legali, hanno semplicemente forzato la mano del continente decidendo di partire comunque.
Di conseguenza, quello che avrebbe potuto essere un fenomeno ordinato è diventato un processo caotico. Il problema è amplificato dall’assenza di una politica d’asilo comune europea, che incoraggia i richiedenti asilo a muoversi caoticamente in tutto il continente alla ricerca dei paesi che, secondo loro, li accoglieranno più calorosamente.
Nel frattempo, non riuscendo ad accettare un significativo numero di richiedenti asilo provenienti dalla Turchia, l’Europa ha offerto modesti incentivi al governo turco per proteggere i suoi confini. Nei giorni scorsi Bruxelles ha promesso d’inviare tre miliardi di euro ad Ankara, una mossa che ha provocato un leggero aumento delle persone arrestate sulle coste turche. Ma gli effetti a lungo termine sono tutti da verificare, in particolare se la Turchia (come la Giordania e il Libano) continueranno a non vedere alcun vantaggio nell’offrire ai siriani il diritto di lavorare. E hanno pochi motivi per farlo a meno che l’Europa (e il resto dell’occidente) non accetti di accogliere un maggior numero di richiedenti asilo.
Il risultato è stata una tempesta perfetta nella quale i profughi non hanno alcun motivo di stare fermi, i paesi del Medio Oriente non dispongono d’incentivi per impedirgli di partire e l’Europa non ha i mezzi per fermare i loro spostamenti.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è stato pubblicato su The Guardian.
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