Mentre scandaglia l’universo alla ricerca di segni di vita extraterrestre, la Nasa ha un motto e una missione: “Seguire l’acqua”. Il 70 per cento circa del corpo umano è fatto d’acqua, e il 70 per cento della superficie terrestre ne è ricoperta. “L’acqua crea un ambiente che sostiene e nutre piante, animali ed esseri umani, rendendo la Terra in generale perfetta per la vita”.
L’acqua è sinonimo di vita, e non c’è da stupirsi se i timori sulla salute e sulla disponibilità delle sue riserve sulla Terra possano assumere toni apocalittici. Un futuro torrido e arido caratterizzato da una lotta feroce e cruenta per poche gocce d’acqua è un tema ricorrente dei romanzi e dei film distopici. In questo articolo ci chiederemo quanto questi incubi siano vicini alla realtà. Prenderemo in esame le condizioni dell’acqua potabile in tutto il mondo e l’aumento del fabbisogno di questa risorsa, e considereremo i modi in cui questo fabbisogno può essere soddisfatto.
La prima cosa da mettere a fuoco è che il dato del 70 per cento è piuttosto irrilevante ai fini del dibattito. Fa riferimento al mare, che comprende il 97,5 per cento di tutta l’acqua sul pianeta Terra ed è salato. Un ulteriore 1,75 per cento di acqua è ghiacciata, ai poli, sotto forma di ghiacciai o permafrost. Perciò il mondo deve contare soltanto sullo 0,75 per cento dell’acqua disponibile sul pianeta, quasi tutta in falde acquifere sotterranee, nonostante il 59 per cento circa del suo fabbisogno venga soddisfatto dallo 0,3 per cento di acqua di superficie. Vedremo come la cattiva gestione dell’acqua può in effetti condurre a una serie di catastrofi. Ma gli strumenti per evitarle si conoscono già e nuove tecnologie che possono essere d’aiuto sono in costante evoluzione.
Questioni come la mancanza di soldi o la scarsità della risorsa sono tutte scuse. Il problema è ovunque la cattiva gestione
I problemi di fondo però non riguardano la risorsa in sé, poiché è probabile che l’acqua rimanga sufficientemente abbondante per soddisfare una terra ancora più popolosa, né sono di natura tecnica. Il punto è come questa risorsa viene gestita, o meglio, come resistere alle pressioni economiche, culturali e politiche in direzione di una cattiva gestione. Riprendendo le dure parole di Asit Biswas, esperto di acqua della Kee Kuan Yew School of public policy di Singapore, “questioni come la mancanza di soldi o la scarsità della risorsa sono tutte scuse. Il problema è ovunque la cattiva gestione”. O, come ha affermato in un contesto radicalmente diverso il presidente della commissione europea Jean-Claude Juncker: “Sappiamo tutti cosa fare, ma non sappiamo come farci rieleggere dopo averlo fatto”.
Perfino i governi che non hanno il problema di dover conquistare gli elettori fanno fatica a mettere in campo politiche idriche ragionevoli. Le persone ritengono l’accesso all’acqua un diritto fondamentale, e dunque qualcosa che dovrebbe essere disponibile in base alla necessità e non alla capacità o volontà di pagare. Perfino le persone che sarebbero disposte a limitare i consumi a beneficio delle future generazioni potrebbero non essere consapevoli della quantità di acqua che utilizzano. Il problema non è tanto l’acqua che bevono o usano per lavarsi, ma quella necessaria a produrre il cibo che mangiano o i vestiti che indossano.
A ogni modo l’acqua sembra una risorsa rinnovabile all’infinito. Dopo essere stata usata per farsi un bagno, per esempio, può essere riutilizzata per annaffiare le piante. L’acqua piovana può essere raccolta o penetrare nel terreno per riempire una falda acquifera. L’acqua che evapora dai laghi, dalle piscine o dalle cisterne, o che “traspira” nel processo fotosintetico, raggiunge l’atmosfera e alla fine verrà riciclata. Più del 60 per cento della pioggia e della neve che cade viene così restituita attraverso la “evapotraspirazione”. Tuttavia, proprio come l’acqua che ha attraversato il mare, non può essere riutilizzata finché la natura non l’avrà riciclata.
Esempi eclatanti
Il mondo di oggi fornisce molti esempi di devastazione ambientale che ci avvertono di come l’utilizzo di acqua abbia dei limiti naturali. Barche arenate nel mezzo del nulla, tra le acque svanite del lago di Aral, tra l’Uzbekistan e il Kazakistan, un tempo il quarto lago salino al mondo per grandezza. L’anno scorso Città del Capo in Sudafrica ha sfiorato il rischio di essere la prima delle grandi città del pianeta a rimanere senz’acqua. Quando la pioggia ha finalmente posto fine a una siccità durata tre anni, i livelli di acqua nei bacini idrici che riforniscono la città erano scesi al di sotto del 20 per cento e gli amministratori locali si chiedevano se fosse possibile trascinare dall’Antartide un iceberg che fornisse acqua potabile sciolta. Quattro anni prima era toccato a São Paulo, in Brasile, sfiorare il limite con i bacini idrici ridotti al 5 per cento di capacità.
Persino le sobrie valutazioni dell’ultimo Rapporto di sviluppo sull’acqua, pubblicato ogni anno dalle Nazioni Unite, hanno un vago sentore di disperazione. Nel rapporto si legge che già un quarto dell’umanità, ossia 1,9 miliardi di persone, il 73 per cento delle quali in Asia, vive in aree in cui l’acqua potrebbe raggiungere elevati livelli di scarsità (un dato da confrontare secondo altri studi con i 240 milioni di persone di un secolo fa, pari al 14 per cento della popolazione). Il numero di persone colpite dalla carenza d’acqua è quasi doppio se si prendono in considerazione quelle che si trovano per almeno un mese all’anno in condizioni di rischio.
Nel frattempo l’utilizzo globale di acqua è sei volte maggiore di quanto non lo fosse un anno fa, e si prevede che entro il 2050 sarà ulteriormente aumentato del 20-50 per cento. Il volume di acqua utilizzato, circa 4.600 chilometri cubi all’anno, è già prossimo al livello limite che è possibile consumare senza che le riserve idriche si riducano drasticamente. Un terzo dei più grandi sistemi di falde acquifere al mondo è a rischio di prosciugamento. Di conseguenza il numero di persone che vivono in gravi condizioni di carenza idrica aumenterà fino a 3,2 miliardi entro il 2050, o a 5,7 miliardi se si considera la variazione stagionale. Queste persone non si troveranno solo nei paesi poveri. Anche Australia, Italia, Spagna e persino Stati Uniti dovranno affrontare gravi carenze di acqua.
Tre fattori principali continueranno a far aumentare la richiesta di acqua: la popolazione, la ricchezza e il cambiamento climatico. Nel 2050 il numero di abitanti del pianeta dovrebbe aumentare, attestandosi tra i 9,4 e i 10,2 miliardi, rispetto ai poco meno di 8 miliardi attuali. Gran parte dell’aumento si registrerà in aree del mondo che soffrono già di carenza idrica, soprattutto Africa e Asia. Le persone avranno stili di vita che comporteranno un maggiore consumo di acqua e si sposteranno nelle città, molte delle quali si trovano in aree esposte a un grosso rischio di carenza idrica.
A rendere incerte le proiezioni sulla domanda futura di acqua è la difficoltà di stabilire quanta acqua sarà necessaria all’agricoltura, che oggi assorbe il 70 per cento circa del prelievo di acqua, in larga misura per l’irrigazione. Alcuni prevedono un notevole incremento della domanda, poiché il consumo di cibo dovrà aumentare per nutrire una popolazione in crescita. Altri, e tra questi l’Ocse, hanno previsto un piccolo decremento del consumo idrico nell’irrigazione grazie alla riduzione degli sprechi e a un aumento della produttività.
Nel lungo periodo il problema più grave posto dal cambiamento climatico non sarà un eccesso di acqua, ma semmai la sua scarsità
Ancora meno prevedibile è l’impatto del cambiamento climatico. Gli scienziati concordano sul fatto che, per dirla con l’inviato speciale del governo olandese sulle questioni idriche Henk Oyink, il processo sarà “come una gigantesca lente di ingrandimento che renderà ancora più estreme tutte le sfide che ci attendono”. Le regioni umide diventeranno ancora più umide e quelle secche ancora più secche. Il patrimonio idrico del mondo è già distribuito in modo estremamente diseguale, con nove paesi che dispongono del 60 per cento di tutte le scorte di acqua potabile. Cina e India hanno il 36 per cento circa della popolazione ma solo l’11 per cento dell’acqua potabile sul pianeta. Il cambiamento climatico non farà che esacerbare questa ineguaglianza. E le precipitazioni, come i monsoni dell’Asia meridionale, da cui dipende gran parte della vita economica subcontinentale, diventeranno più imprevedibili.
Nel breve periodo uno degli effetti più drammatici è stato l’aumento del numero di eventi climatici estremi. Negli ultimi due decenni questi hanno colpito una media di 300 milioni di persone ogni anno. Gli scienziati hanno messo in relazione le tempeste quasi simultanee dello scorso settembre, l’uragano Florence negli Stati Uniti orientali e il super tifone Mangkhut nell’Asia orientale, con i livelli crescenti di gas serra, il riscaldamento degli oceani e il cambiamento climatico. I modelli climatici hanno previsto già da tempo che un innalzamento della temperatura degli oceani condurrà a tempeste più intense e lunghe. Le temperature in aumento sono accompagnate da un innalzamento del livello dei mari a una velocità annua di circa tre millimetri all’anno, conseguenza dell’espansione dell’acqua più calda e dello scioglimento dei ghiacci in entrambe le regioni polari. Con l’innalzamento del livello dei mari aumentano le tempeste che possono penetrare più in profondità sulla terraferma. E un’aria più calda significa che l’atmosfera può trattenere una quantità maggiore di umidità che alla fine cadrà sotto forma di precipitazioni.
Nel lungo periodo però il problema più grave posto dal cambiamento climatico non sarà un eccesso di acqua, ma semmai la sua scarsità. Come evidenzia un rapporto della Banca mondiale: “L’impatto della scarsità idrica e della siccità potrebbe essere ancora più grave, provocando nel lungo periodo danni che sono ancora poco compresi e non adeguatamente documentati”. Naturalmente molto dipenderà da quanto cambierà il clima e dalla velocità di questo cambiamento.
Lo scorso ottobre il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico ha pubblicato un rapporto in cui si sono messe a confronto le conseguenze di un aumento della temperatura globale di 1,5 gradi centigradi e di 2 gradi rispetto ai livelli pre industriali. Il rapporto concludeva “con una certa sicurezza” che con un aumento di 2 gradi entro il 2050 un ulteriore 8 per cento della popolazione mondiale sarà esposta a forme nuove o più gravi di carenza idrica rispetto al 2000. Con un aumento di 1,5 gradi questa percentuale scende al 4 per cento. Si registrerebbe una forte variazione regionale. Per esempio nel rapporto si citava una ricerca che dimostrava come nella regione del Mediterraneo un aumento di 1,5 gradi delle temperature provocherebbe cambiamenti statisticamente irrilevanti nella portata media annuale dei suoi fiumi e torrenti. Un aumento di 2 gradi provocherebbe però un decremento compreso tra il 10 e il 30 per cento.
La riduzione della portata dei corsi d’acqua è un problema globale. In parte deriva dalla diminuzione delle precipitazioni. In larga misura è tuttavia un risultato dell’intervento umano, dalla costruzione di dighe e di sistemi di deviazione dei fiumi per controllarne il flusso all’immagazzinamento dell’acqua e all’irrigazione.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
Questo articolo è stato pubblicato sul settimanale britannico The Economist.
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