Negli ultimi anni le campagne presidenziali negli Stati Uniti si sono svolte in modo sorprendentemente lineare. Una volta che un candidato aveva accumulato un certo vantaggio, per gli altri è stato difficile recuperare terreno, soprattutto dopo l’inizio dell’autunno. Nel 2020 alcuni eventi straordinari – come la pandemia di covid-19 in primavera e le proteste antirazziste in estate – hanno lasciato un segno sulla sfida. Inoltre i sondaggi condotti dopo le convention online dei partiti hanno mostrato dei piccoli spostamenti nell’orientamento dell’elettorato. Ma dal 7 settembre né il sostegno al presidente Donald Trump né quello a Joe Biden sono cambiati di più di un punto percentuale rispetto alla media: 54 per cento al candidato democratico e il 46 per cento al repubblicano in carica, secondo il modello elaborato dall’Economist.

I dibattiti televisivi tra i due candidati, il primo dei quali si svolgerà a Cleveland il 29 settembre, offre a Trump l’occasione di recuperare terreno. Ma appena due giorni prima del faccia a faccia il New York Times ha pubblicato una lunga inchiesta sulle dichiarazioni dei redditi del presidente. Tra le altre cose l’articolo del Times riferisce che Trump ha pagato solo 750 dollari di tasse federali sul reddito nel 2017, l’anno in cui è entrato alla Casa Bianca, e che per molti anni non ha versato nemmeno un dollaro. Il quotidiano sostiene inoltre che Trump o le sue varie holding abbiano accumulato centinaia di milioni di dollari di debito relativo a varie proprietà immobiliari, compreso un mutuo da cento milioni di dollari per lo spazio commerciale della Trump Tower a New York.

Effetto limitato e temporaneo
Le rivelazioni, che il presidente ha definito “notizie false”, daranno a Biden un nuovo strumento per attaccare Trump. Ma la notizia davvero problematica per Trump è che, anche senza le rivelazioni sulle tasse, avrebbe comunque avuto poche possibilità di sfruttare il dibattito per rilanciare la sua campagna elettorale. La storia suggerisce che raramente i dibattiti modificano le intenzioni di voto degli elettori.

Secondo l’analisi effettuata dall’Economist sui dati relativi ai sondaggi compilati dai politologi Robert Erikson e Christopher Wlezien, i dibattiti presidenziali del passato hanno avuto un effetto limitato e temporaneo sulle elezioni. Dal 1960, quando i primi dibattiti tra candidati presidenziali sono stati trasmessi sui canali nazionali, il livello medio di consenso del candidato al potere non è cambiato nel periodo compreso tra le due settimane precedenti al primo dibattito e le due settimane dopo l’ultimo. Solo raramente i sondaggi hanno mostrato cambiamenti importanti durante la stagione dei dibattiti.

Il cambiamento più significativo ci fu nel 1976, quando Jimmy Carter, lo sfidante democratico, scese da un solido 58 per cento a un più precario 51 per cento nelle intenzioni di voto tra gli elettori dei grandi partiti (anche se alla fine sconfisse il presidente in carica, Gerald Ford).

Solo una volta, nelle 12 campagne elettorali che dal 1960 hanno previsto dei dibattiti televisivi, il vantaggio nei sondaggi è cambiato di mano. È successo nel 2000, quando George W. Bush ha rapidamente superato Al Gore, salvo poi essere superato di nuovo. Alle elezioni di quell’anno Bush prese meno voti in totale rispetto a Gore, ma riuscì comunque a entrare nella Casa Bianca perché ottenne la maggioranza dei grandi elettori.

Perfino nel 2016, quando il numero di elettori indecisi o di un terzo partito erano molto più numerosi rispetto a oggi, i dibattiti non “hanno contato”. Buona parte di questa staticità è attribuibile al fatto che i candidati sono ben noti quando i dibattiti cominciano e la polarizzazione politica ha già spinto molti elettori a scegliere il proprio campo e a rimanerci. La nostra stima, analizzando le precedenti campagne, è che le possibilità di un’oscillazione di otto punti a favore del presidente in carica, dopo i dibattiti, siano all’incirca una su venti. In altri termini, le possibilità che i dibattiti cancellino il vantaggio di Biden sono appena il 5 per cento.

I sostenitori di Trump hanno accettato da molto tempo i suoi difetti, mentre i suoi critici lo hanno sempre considerato inadatto all’incarico

Eppure, i dibattiti presidenziali non si svolgono nel vuoto. Il giorno precedente al primo dibattito del 1976, la rivista Playboy pubblicò alcuni estratti di un’intervista con Carter, che rimise in discussione la sua reputazione di devoto battista del sud degli Stati Uniti. La cosa aiutò Gerald Ford a ridurre il suo svantaggio, e perseguitò Carter per tutta la campagna.

Quest’anno Trump deve fare i conti con un problema simile, alla luce delle rivelazioni del New York Times. È difficile dire in che modo influenzeranno la competizione elettorale. Da un lato la maggioranza degli elettori aveva già preso in considerazione le attività finanziarie di Trump. I sostenitori del presidente hanno accettato da molto tempo i suoi difetti, mentre i suoi critici lo hanno sempre considerato inadatto per la presidenza. D’altro canto la notizia che il presidente sia indebitato per centinaia di milioni di dollari, e che rischi di non essere in grado di ripagarli, potrebbe danneggiare la sua posizione agli occhi di quel probabile 6 per cento di elettori ancora indecisi (che solitamente presta poca attenzione ai normali cicli di notizie, ma che potrebbe prendere in considerazione il fiume di corposi articoli sulle tasse del presidente).

L’inchiesta del New York Times potrebbe obbligare il presidente a difendersi dagli attacchi di Biden e di altre persone, assorbendo così del tempo per lui prezioso. Con il voto anticipato e quello via posta già in corso, e ad appena cinque settimane dalla giornata elettorale vera e propria, ogni giorno in cui i numeri del presidente nei sondaggi rimangono semplicemente stabili – o peggio calano – è un giorno che fa diminuire la sue possibilità di rimanere alla Casa Bianca.

Per avere successo la sera di martedì 29 settembre, Trump dovrebbe respingere le critiche di Biden sulla sua gestione della pandemia e dei conflitti razziali degli Stati Uniti e gli attacchi sulle sue dichiarazioni dei redditi, e al tempo stesso cercare di convincere nuovi elettori che merita di conservare il suo incarico. I dati statistici dei dibattiti passati lasciano credere che questo sia improbabile. E un’esibizione che serve solo a rafforzare le impressioni già radicate degli elettori, probabilmente non farà diminuire il vantaggio di Biden.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist.

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