Alle 10.15 circa locali (le 9.15 in Italia) del 22 febbraio un convoglio del World food programme è stato attaccato una quindicina di chilometri a nord di Goma, nell’est della Repubblica Democratica del Congo (Rdc). Nell’attacco sono morti l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, il carabiniere della scorta Vittorio Iacovacci e un autista congolese del Wfp, Mustapha Milambo. Altre persone della missione, a cui partecipava anche il rappresentante a Kinshasa dell’Unione europea, sono rimaste ferite.
Secondo le prime fonti gli assalitori, di cui non si conosce l’identità, hanno cercato di rapire il diplomatico, che è rimasto ferito nell’attacco. Recuperato dalle forze di sicurezza, è stato portato a Goma nell’ospedale della Monusco (la missione delle Nazioni Unite nel paese), dove però è morto per le ferite riportate.
Chi sono le vittime italiane
L’ambasciatore Attanasio era originario della provincia di Milano. Aveva 43 anni, era sposato e aveva tre figlie. Era arrivato a Kinshasa nel 2017 come capo missione e dopo due anni era stato nominato ambasciatore. Molto attento alla cooperazione e agli aiuti umanitari, nel 2020 aveva ricevuto insieme alla moglie Zakia Seddiki, di origini marocchine, il premio internazionale Nassiriya per la pace, organizzato dall’associazione culturale Elaia.
Il carabiniere morto insieme all’ambasciatore è Vittorio Iacovacci, 30 anni, di Sonnino, in provincia di Latina. Apparteneva al XIII reggimento Friuli Venezia Giulia ed era specializzato in servizi di protezione e scorta.
Nei prossimi giorni il governo riferirà in aula sull’attentato. La ministra degli esteri congolese Marie Tumba Nzeza ha dichiarato che il governo di Kinshasa s’impegna a far luce sull’omicidio dei due italiani.
Un’area ad alto rischio
L’attacco è avvenuto, secondo il sito congolese Actualité, nei pressi di Kanyamahoro, all’interno del parco dei monti Virunga , circa 15 chilometri a nord del capoluogo della regione del Nord Kivu. Il convoglio era diretto a Rutshuru per visitare un progetto di alimentazione scolastica.
La zona, al confine tra la Rdc e il Ruanda, è considerata pericolosa per la presenza di decine di gruppi armati. In particolare, lì sono presenti le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr), una milizia nata intorno al 2000 dalla fusione di vari gruppi di profughi hutu scappati dal Ruanda dopo il genocidio.
Questi ribelli si nascondono nel parco e da lì tendono delle imboscate sulle strade principali. Actualité ricorda che nella stessa località nel 2018 furono rapiti due turisti britannici. Mentre, il 10 gennaio scorso, sei ranger del parco – noto per i gorilla di montagna – sono stati uccisi in un attacco attribuito a ribelli mai-mai.
Secondo la direzione del parco negli ultimi vent’anni i ranger uccisi sono stati 200. Invece, un rapporto di luglio del 2020 di Human rights watch (Hrw) ha stabilito che dal 2017 all’interno della riserva naturale sono avvenuti 170 rapimenti a scopo di riscatto da parte di bande armate più o meno grandi.
Altri esperti di sicurezza in Africa non escludono il coinvolgimento di gruppi consolidati come le Forze democratiche alleate (Adf), una milizia estremista islamica d’origine ugandese attiva dal 1996, anche in Rdc, che negli ultimi anni ha moltiplicato le violenze contro la popolazione civile e che preoccupa molti osservatori per i suoi possibili legami con organizzazioni come Al Qaeda o il gruppo Stato islamico.
Quanti gruppi armati ci sono nell’est della Rdc?
Il sito Kivu security tracker, frutto della collaborazione tra Hrw e il Congo research group della New York University, cerca di mappare gli episodi di violenza e l’attività delle milizie nell’est della Rdc. Nel 2020 erano presenti 120 gruppi armati, che si scontrano tra loro, con le forze armate congolesi o con i caschi blu della Monusco per vari motivi. Gran parte della violenza, spiega il sito, deriva dalla necessità di questi gruppi armati di procurarsi mezzi di sopravvivenza estraendo le risorse e combattendo per il controllo del territorio. Quest’area è incredibilmente ricca di minerali preziosi, che i miliziani – ma spesso anche i soldati dell’esercito regolare – contrabbandano all’estero, in particolare in Ruanda.
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