Ai piedi del monumentale apiario di Inzerki, nel sudovest del Marocco, il silenzio ha sostituito il ronzio delle api. Questo silenzio è sinonimo di un disastro ecologico aggravato dalla scomparsa delle colonie. Secondo gli esperti il fenomeno, osservato su scala nazionale, è stato provocato da una siccità fuori dal comune e dal cambiamento climatico.

“In questo periodo dell’anno di solito lo spazio è invaso dal ronzio delle api. Oggi, invece, stanno morendo a un ritmo vertiginoso”, si rammarica l’apicoltore Brahim Chatoui ispezionando i suoi sciami sotto un sole inclemente. Come da tradizione familiare, i suoi 90 alveari (ne ha persi 40 in meno di due mesi) sono disposti nell’apiario di Inzerki, nel cuore della riserva della biosfera dell’arganeto, una delle più ricche del paese. “Altre famiglie hanno deciso di abbandonare l’apicoltura per mancanza di mezzi”, racconta Chatoui.

Considerato come “il più antico e più grande apiario collettivo tradizionale al mondo”, questo sito risalente al 1850 non è l’unico a essere stato colpito dalla moria degli imenotteri. Il fenomeno ha toccato altre regioni del Marocco. “Le perdite sono considerevoli. Solo nella regione centrale di Béni Mellal-Khénifra si stima che siano scomparsi centomila alveari dallo scorso agosto”, sottolinea con preoccupazione Mohamed Choudani, dell’Unione degli apicoltori del Marocco (Uam).

Un fenomeno inedito
Quest’anno la portata della scomparsa delle api è tale che il governo ha stanziato 130 milioni di dirham per gli agricoltori (oltre 12 milioni di euro), che tuttavia secondo Choudani “non sono ancora arrivati”. Inoltre le autorità hanno avviato una vasta indagine sulla catastrofe. “Questa perdita degli alveari è un fenomeno inedito in Marocco”, sottolinea l’Ufficio nazionale per la sicurezza sanitaria dei prodotti alimentari (Onssa), incaricato di portare avanti l’indagine. Secondo l’Onssa la “sindrome del collasso delle colonie di api” è legata al cambiamento climatico, mentre è da escludere l’ipotesi di malattie.

Antonin Adam, ricercatore di apidologia, punta il dito contro la peggiore siccità degli ultimi quarant’anni. “La siccità oggi può essere amplificata dalla vulnerabilità delle api alle malattie, alla transumanza, alle pratiche agricole intensive ma anche alla volontà del paese di aumentare la produzione di miele”, sottolinea il ricercatore, che ha studiato l’ambiente agricolo nel sudest del Marocco.

In passato 80 famiglie portavano qui le loro api. Oggi sono al massimo una ventina

In dieci anni la produzione di miele è aumentata del 69 per cento, passando dalle 4.700 tonnellate del 2009 alle ottomila del 2019, con un giro d’affari che secondo il ministero dell’agricoltura supera il miliardo di dirham (101 milioni di euro). Il paese ospita 910mila alveari curati da 36mila apicoltori censiti nel 2019. Secondo le statistiche ufficiali nel 2009 gli alveari erano appena 570mila.

L’apicoltore Chatoui sottolinea che “la siccità fa parte di un ciclo normale, ma è l’intensità del fenomeno a essere inquietante.” A Inzerki il disastro è doppio, ecologico ma anche patrimoniale. Da lontano l’apiario colpisce per la sua struttura al contempo semplice e complessa, costruita in terra e legno su cinque livelli divisi in compartimenti di uguali dimensioni. All’interno dei compartimenti sono disposti gli alveari cilindrici in canne intrecciate, avvolti nella terra mischiata a sterco di vacca. Ma basta avvicinarsi per constatare gli effetti del degrado. Alcune parti stanno cedendo, facendo temere il peggio.

Secondo Hassan Benalayat, ricercatore di geografia umana, il degrado dell’apiario è la conseguenza di diversi cambiamenti occorsi nella regione, dalla modernizzazione della filiera dell’apicoltura all’esodo rurale, senza dimenticare la crisi climatica. In passato 80 famiglie portavano qui le loro api. Oggi sono al massimo una ventina. “È importante preservare questo patrimonio eccezionale”, sottolinea Benalayat.

“La situazione è critica, ma non ho intenzione di arrendermi”, promette Chatoui, che insieme ad altri residenti ha creato un’associazione per proteggere l’apiario, battendosi per farlo riconoscere come patrimonio del Marocco e piantando erbe aromatiche per farlo resistere all’aridità del terreno. Oggi Chatoui e gli altri cercano in ogni modo di rimettere in sesto l’apiario. “L’obiettivo non è produrre miele, ma fare in modo che l’apiario sia protetto e che le mie api sopravvivano in attesa di tempi migliori”, spiega l’apicoltore.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è stato pubblicato dall’agenzia di stampa francese Afp.

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