Decine di migranti subsahariani hanno lanciato appelli per essere soccorsi in una zona del deserto tra la Libia e la Tunisia dove da alcune settimane le autorità tunisine li hanno deportati lasciandoli senza niente. “Stiamo morendo, stiamo morendo di minuto in minuto”, ha detto un uomo nigeriano di 43 che ha voluto essere indicato solo con il suo nome, George. “Per favore, vi imploro, portateci via da qui, venite e salvateci da questo posto”.
Il 25 luglio il ministro dell’interno libico ha dichiarato che sono stati trovati i cadaveri di cinque migranti africani vicino al confine con la Tunisia. E secondo le guardie di frontiera, i migranti e gli operatori delle ong questo gruppo di quasi 140 migranti subsahariani è solo l’ultimo di una serie di persone deportate dalla Tunisia ai confini con la Libia o l’Algeria.
“Non sappiamo dove ci troviamo. Siamo senza cibo e senza acqua”, ha continuato George parlando da dietro le reti e il filo spinato che delimitano un campo per migranti a 30 metri dal posto di frontiera di Ras Jedir, sulla costa. L’uomo ha detto di aver lavorato come barbiere per un anno a mezzo nella città tunisina di Sfax, dove ha lasciato la moglie con un figlio piccolo: “La polizia tunisina ci ha puntato contro le armi e ha detto che siamo terroristi”.
Abbandonati nel nulla
Una volta lasciati alla frontiera, le autorità libiche impediscono ai migranti di entrare nel territorio, tenendoli bloccati nel nulla, negli stessi giorni in cui il Nordafrica e il Mediterraneo sono colpiti da un caldo estremo.
Un’altra migrante, che fornisce solo il suo nome, Fatima, 36 anni, proveniente dal Niger, racconta che i militari tunisini “ci hanno tolto tutto”, inclusi i telefoni, prima di lasciarli lì. Alcuni mostrano piccoli pezzi di carta con messaggi scritti a mano, uno chiede aiuto all’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), in un altro si legge: “Siamo esseri umani”.
All’inizio di luglio, centinaia di migranti dell’Africa subsahariana sono stati deportati da Sfax in seguito as attacchi razzisti compiuti contro di loro in seguito alla morte di un tunisino avvenuta in uno scontro tra abitanti e migranti.
Nel suo punto punto più vicino all’Italia, nei pressi di Sfax, la Tunisia dista solo 130 chilometri via mare dall’isola di Lampedusa, e dalle sue coste partono decine di migranti e profughi che cercano di arrivare in Europa affrontando pericolosi traversate su imbarcazioni di fortuna.
Mubarak Adam Mohamad, 24, spiega di essere fuggito dalla guerra in Sudan verso la Libia prima di raggiungere la Tunisia: “Mi ha arrestato la polizia di Sfax e poi mi hanno portato qui con la forza”, racconta lanciando un appello “alle organizzazioni locali e internazionali” perché vengano a salvarli.
L’associazione umanitaria Medici del mondo ha chiesto alle autorità tunisine di facilitare l’accesso dei soccorsi: “Queste persone si trovano in una situazione di estrema vulnerabilità”, dichiara un comunicato. L’ong
Human rights watch afferma che nel mese di luglio almeno 1.200 persone dell’Africa subsahariana sono state “espulse o traferite con la forza dalle forze di sicurezza tunisine” nel deserto al confine con la Libia e l’Algeria.
Alla metà di luglio, la Mezzaluna rossa tunisina ha dichiarato di aver soccorso almeno 630 migranti portati dopo il 3 luglio a Ras Jedir, al nord di Al Assah. Attraverso l’organizzazione umanitaria, i libici hanno fatto arrivare un po’ di cibo e di acqua che i migranti dividono tra loro.
(Traduzione di Giovanna Chioini)
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