“Secondo Google maps, la Palestina non esiste più!”. Negli ultimi giorni molte persone su internet hanno ripreso una voce secondo la quale il nome “Palestina” sarebbe stato recentemente eliminato dalle mappe di Google maps, lasciando solo quello di Israele. Alcuni utenti di Twitter sono insorti, accusando l’azienda statunitense di manipolazione. Peccato solo che le notizie circolate sull’argomento siano false. Ecco alcune spiegazioni.

Tutto è cominciato da un messaggio apparso sul sito del Forum dei giornalisti palestinesi, un collettivo di giornalisti con sede a Gaza, il 3 agosto. Il comunicato sosteneva che Google aveva eliminato il nome della Palestina da Google maps il 25 luglio. Un atto definito come un “crimine” e una “falsificazione” della storia e della geografia e per il quale il collettivo di giornalisti esigeva delle “scuse” da parte dell’azienda americana. Numerosi siti internet hanno poi ripreso la voce, come quello di propaganda russa Sputniknews.

Ma le cose sono più complesse. Un semplice sguardo a Google maps permette di confermare l’assenza della parola “Palestina” dalla mappa. Al suo posto si trova solo un territorio delimitato da alcuni trattini, senza nome.

Google maps

Questa situazione non è una novità, come ha ricordato il Washington Post. Si può in particolare trovare traccia di numerosi messaggi, pubblicati prima del 25 luglio sui social network, nei quali viene già fatta notare l’assenza della parola “Palestina”. È quindi falso sostenere che si tratti di una censura scattata in piena estate. “La denominazione ‘Palestina’ non è mai esistita su Google maps, ma abbiamo scoperto un bug che ha fatto scomparire le parole ‘Cisgiordania’ e ‘Striscia di Gaza’”, ha precisato Elizabeth Davidoff, una portavoce di Google, al sito Dailydot. Davidoff ha poi aggiunto che i tecnici dell’azienda avrebbero provveduto quanto prima a far riapparire i due nomi sulle mappe. La polemica ha tuttavia rilanciato una petizione del sito change.org dove si richiede a Google di citare la Palestina sulla sua mappa. L’appello, lanciato cinque mesi fa, ha superato l’11 agosto le 290mila firme.

Anche se si fonda su informazioni false, questo dibattito serve a ricordare che le scelte di servizi come Google maps non sono mai neutre. Non è peraltro la prima volta che l’azienda viene criticata per il suo comportamento nei confronti della Palestina. Nel 2013 Google ha riconosciuto lo stato palestinese sul suo motore di ricerca, mostrando la scritta “Palestina” sotto il suo logo sulla pagina google.ps, in una posizione dove prima appariva solo la dicitura “Territori palestinesi”, anche se a questa modifica non ne era seguita una uguale sul suo servizio di mappe. All’epoca erano stato i filoisraeliani a protestare.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul quotidiano francese Le Monde.

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