Da anni l’industria alimentare cerca alternative all’olio di palma, una materia prima alla base di molti prodotti del settore (in realtà è usata anche nei prodotti per l’igiene personale, in oggetti di metallo, plastica, gomma e nei processi per la produzione di tessuti, vernici, carta e componenti elettronici), ma al centro di dure campagne ambientaliste.

La coltivazione della pianta da cui è estratto questo ingrediente, la palma Elaeis guineensis, causa la distruzione della foresta pluviale o di aree dedicate in precedenza ad altre coltivazioni, soprattutto nel sudest asiatico (l’Indonesia e la Malaysia sono i principali produttori globali, ma di recente la produzione si è estesa anche all’Africa), e mette a rischio la sopravvivenza degli oranghi.

“Ora però”, scrive Bloomberg Businessweek, “dal momento che la guerra in Ucraina ha bloccato più della metà della produzione mondiale di olio di semi di girasole, che è la principale alternativa all’olio di palma, le aziende alimentari hanno deciso di tornare indietro”. Nel 2018 la britannica Iceland foods si era impegnata a togliere l’olio di palma da tutta la sua linea, mentre ora ha optato per l’uso dell’olio di palma certificato come sostenibile. “È stata una decisione difficile. Non avrei mai pensato di dover tornare all’olio di palma”, ha dichiarato il direttore generale dell’azienda, Richard Walker.

Il momento favorevole
Insieme, la Russia e l’Ucraina garantiscono circa il 65 per cento della produzione globale di olio di semi di girasole, il 25 per cento di quella di grano, il 20 per cento della produzione mondiale di orzo e il 18 per cento di quella di mais.

Il conflitto ha bloccato i trasporti, ha ritardato i raccolti e ha fatto lievitare il costo dei fertilizzanti, facendo andare alle stelle i prezzi dei prodotti alimentari, in particolare quelli di beni essenziali come il pane, la carne e l’olio per cucinare. Inoltre, i governi di Indonesia, India e Argentina hanno deciso di limitare le esportazioni per salvaguardare le proprie riserve alimentari, rendendo ancora più scarsa la disponibilità mondiale di grano, zucchero e oli vegetali.

I fornitori di olio di palma vogliono sfruttare il momento favorevole a chi vende beni così ricercati e costosi. La Malaysia, il secondo produttore mondiale, ha confermato la sua volontà di soddisfare la ripresa della domanda dopo che l’Indonesia ha introdotto delle restrizioni alle esportazioni. Il governo di Kuala Lumpur sta cercando anche di ottenere la certificazione di sostenibilità per il suo olio di palma, dal momento che alcune grandi aziende alimentari si sono impegnate a comprare solo da fornitori che non distruggono le foreste e garantiscono condizioni di lavoro dignitose.

Attualmente solo un quinto dell’olio di palma prodotto in tutto il mondo ha la certificazione di sostenibilità rilasciata da organizzazioni come la Roundtable on sustainable palm oil. E solo la metà dell’olio prodotto in modo sostenibile si vende grazie alla certificazione: il resto, di solito, è mischiato a olio dall’origine incerta e distribuito senza l’etichetta di sostenibilità.

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