L’India e la corsa globale all’industria pesante
Arrivati ormai agli sgoccioli di questo 2023 si può dire che, almeno dal punto di vista economico, questo sia stato un anno positivo per l’India. Il Wall Street Journal scrive che il pil del paese asiatico va a gonfie vele, la sua borsa è vicina al massimo di tutti i tempi e la popolazione sta per diventare la più numerosa del mondo superando quella cinese.
Secondo il quotidiano statunitense, il segnale inequivocabile dello stato di buona salute dell’economia indiana è il fatto che la valuta nazionale, la rupia, è stabile: “Dopo aver perso più del 10 per cento nei confronti del dollaro statunitense nel 2022, quest’anno la rupia si è rivelata particolarmente resistente, visto che ha perso solo l’1 per cento, mentre lo yuan cinese è sceso di più del 3 per cento, il rand sudafricano del 9 per cento e lo yen giapponese dell’11 per cento”.
Bloomberg fa notare i risultati straordinari delle azioni delle aziende industriali e manifatturiere indiane: nel 2023 l’S&p Bse industrials index — un indice che include produttori di ponti, elicotteri e turbine eoliche – è aumentato del 54 per cento, portando il valore di borsa delle 214 aziende seguite a 125 miliardi di dollari. Decisamente meglio dell’8,4 per cento registrato dall’S&p Bse Sensex, l’indice delle trenta principali aziende quotate alla borsa di Mumbai. In generale, osserva Bloomberg, in India è in corso “uno spostamento tettonico” dalle azioni delle società che producono beni di consumo verso le azioni industriali, grazie soprattutto ai grandi investimenti pubblici nelle infrastrutture e nell’industria pesante”.
Il governo guidato da Narendra Modi sta investendo massicciamente per migliorare le infrastrutture del paese, un fattore che da tempo rallenta i progressi dell’economia nazionale, allontanando New Delhi da uno dei suoi obiettivi principali: raggiungere e superare la Cina. Entro la fine dell’anno fiscale 2023/2024, che si chiuderà il 31 marzo, l’India prevede di spendere nelle infrastrutture (dalle strade alle ferrovie, passando per lo sviluppo urbano, l’edilizia abitativa, l’energia e l’irrigazione) più di diecimila miliardi di rupie, pari a circa 120 miliardi di dollari. È il 37 per cento in più rispetto all’anno fiscale 2022/2023 e più del doppio rispetto al 2019.
Mumbai, la capitale finanziaria del paese, è diventata “un colossale cantiere all’aperto”, racconta il Wall Street Journal. “Una nuova strada in costruzione lungo il mar Arabico ha lo scopo di decongestionare il traffico di una metropoli in cui le arterie a tre corsie per senso di marcia sono occupate da un numero così alto di veicoli che richiederebbe almeno cinque corsie. Alcune nuove linee della metropolitana dovrebbero inoltre alleggerire la pressione sui treni locali, mentre una nuova tratta per i treni merci ridurrà da quattordici giorni a quattordici ore il tempo necessario per raggiungere New Delhi”.
Queste grandi opere non sono un’esclusiva di Mumbai, ma riflettono uno sforzo molto più ampio, accelerato dal fatto che da tempo i grandi paesi occidentali manifestano disagio verso l’eccessiva dipendenza dalla Cina nel campo delle produzioni manifatturiere e cominciano a guardare anche all’India. A marzo 2023 il paese aveva circa novantamila miglia di linee ferroviarie, più del doppio rispetto a dieci anni prima. Oggi ha più tratti ferroviari elettrificati del Regno Unito e della Francia messi insieme. Alcuni progetti ambiziosi prevedono l’ampliamento dei porti, la costruzione di tunnel e ponti per collegare le province più remote al resto del paese e l’apertura di parchi fotovoltaici per fornire energia elettrica ad abitazioni private e aziende. Alcuni segnali fanno ben sperare New Delhi: il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha dichiarato che nei prossimi anni gli investimenti e la crescita di produttività saranno i principali fattori trainanti dell’espansione indiana. Gli investimenti stranieri, tra cui quelli di multinazionali come la Apple e la Foxconn, sono più che raddoppiati rispetto al 2012, arrivando al valore di cinquanta miliardi di dollari nel 2022.
L’India non è l’unico paese che sta cercando di rafforzare la propria economia puntando sul settore manifatturiero e sull’industria pesante. La stessa Cina, la principale rivale asiatica dell’India, punta a spostare gli investimenti dall’immobiliare, al centro di un’enorme bolla, alla manifattura, anche se in questo ambito contribuisce già al 30 per cento della produzione globale e anche se molti osservatori hanno sottolineato la necessità di rinnovare il modello economico di Pechino dando più spazio ai consumi interni, finora relativamente ridotti rispetto ai livelli registrati in altre grandi economie mondiali (Economica ne ha parlato nel numero uscito il 10 novembre 2023).
Nella stessa direzione si stanno muovendo gli Stati Uniti, dove l’amministrazione guidata da Joe Biden concede generosi incentivi, in particolare attraverso l’Inflation reduction act, che punta sulle tecnologie innovative e sostenibili dal punto di vista ambientale. Non sta ferma neanche l’Unione europea, timorosa che l’azione degli Stati Uniti e di altri paesi penalizzi eccessivamente la sua industria. Nei prossimi anni, quindi, è ipotizzabile una corsa globale al manifatturiero in cui avrà la meglio chi riesce a incentivare meglio le proprie aziende. Resta da capire a quel punto se il probabile aumento della produzione mondiale – tra Cina, India, Stati Uniti, Unione europea e altri paesi – troverà la domanda necessaria per essere assorbito, soprattutto se i governi di Pechino e New Delhi dovessero puntare prevalentemente sulle esportazioni e poco sui consumi interni.
Un esempio di quello che potrebbe succedere lo fa il New York Times, che in un articolo racconta lo sviluppo della produzione di pannelli solari nello stato della Georgia. Qui, attirata dagli incentivi dell’Inflation reduction act, la Qcells ha aperto un impianto in grado di sfornare ogni giorno quasi trentamila pannelli e presto ne aprirà un altro. Ma i dirigenti dell’azienda hanno lanciato un allarme: “L’iniziativa della Casa Bianca sta facendo spuntare numerosi impianti. Ma i ritmi di produzione, negli Stati Uniti e all’estero, fanno temere che il mercato venga ingolfato da un eccesso di offerta. La conseguenza più immediata sarà il crollo del prezzo del pannelli”, provocando la chiusura degli impianti esistenti e il blocco di nuovi progetti.
Questo testo è tratto dalla newsletter Economica.
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