In questo spazio ho parlato spesso dei limiti del sistema penale statunitense. L’aspetto che trovo più inquietante, quando leggo articoli sul funzionamento della giustizia, è l’alta componente di arbitrarietà che spesso contribuisce a determinare il destino degli imputati e dei detenuti, e a cascata delle loro famiglie. Questo elemento si ritrova in molte società (a cominciare dall’Italia), ma assume proporzioni impressionanti negli Stati Uniti, un paese che ha più persone in carcere di qualsiasi altro e dove le leggi possono variare molto da uno stato all’altro.
Ci pensavo qualche giorno fa leggendo un articolo del New York Times. Il giornalista ha raccontato le storie di alcune persone che si sono presentate davanti a una commissione speciale dello stato del Minnesota per chiedere un provvedimento di clemenza. Non si parla solo di detenuti che vogliono una riduzione della pena. Nella maggior parte dei casi si tratta di uomini e donne che hanno scontato la pena e che hanno cominciato una nuova vita, ma che continuano a pagare un prezzo molto alto per gli errori commessi in passato. In molti stati, infatti, avere la fedina penale sporca può rendere più difficile la ricerca di un lavoro, di un alloggio, l’accesso a una serie di servizi o anche fare cose apparentemente banali, come accompagnare i ragazzi alle gite scolastiche. In molti casi i richiedenti cercano un provvedimento di clemenza semplicemente per essere riabilitati formalmente nella società.
La commissione è composta dal governatore dello stato, il democratico Tim Walz, dal procuratore generale Keith Ellison, anche lui democratico, e dalla prima giudice della corte suprema, Lorie Skjerven Gildea. Le persone che chiedono clemenza sono sedute a un tavolo su cui sono poggiate varie scatole di fazzoletti. Hanno davanti un cronometro impostato sui dieci minuti, il tempo a disposizione per presentare il loro caso e provare a convincere la commissione di aver fatto di tutto per meritare il perdono della società.
Tra le prime storie raccontate c’è quella di Walter Hooper, un uomo di 41 anni che prima di finire in carcere si guadagnava da vivere pitturando ponti.
Hooper ha avuto un’infanzia complicata: cresciuto tra case famiglia e carceri minorili, a 12 anni è finito a vivere per strada, cercando da mangiare nei bidoni della spazzatura. Ha avuto presto problemi con alcol e droghe. A 16 anni ha aggredito un ragazzo per derubarlo, un anno dopo ne ha colpito un altro con un pugno per lo stesso motivo. Poi sono arrivati i primi reati federali: fuga mentre era sotto custodia, il tentativo di incassare assegni falsi, l’uso di una carta di credito di proprietà di un’altra persona. In seguito ha incontrato una donna, Patricia, con cui ha messo al mondo cinque figli.
Racconta il New York Times: “Con la voce tremante, Hooper ha spiegato alla commissione di non aver scritto niente perché ‘volevo dire chiaramente chi sono’. Ha detto di essersi assunto la responsabilità delle sue azioni e di aver deciso da tempo di essere un modello per i suoi figli.
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Poi Ellison, il procuratore generale, gli ha fatto una domanda: ‘Potrebbe parlare un po’ di più, a distanza di tanti anni, di come si sente riguardo a ciò che ha fatto a quelle persone?’. Un attimo dopo Hooper è scoppiato a piangere, mentre tornava a galla quel momento di venticinque anni prima, quando aveva minacciato e preso a pugni un ragazzo di nome Dave. Ha detto che anche suo figlio era stato picchiato a scuola, quindi sapeva quanto fosse stato difficile per Dave ricostruire la fiducia negli altri. ‘So di averlo influenzato in quel modo’, ha detto il signor Hooper. Il procuratore è intervenuto per raccontare che anche suo figlio era stato picchiato.
A quel punto la commissione ha votato. La giudice Gildea si è schierata contro il provvedimento di clemenza. Ma il governatore Walz ed Ellison hanno votato a favore. ‘La domanda è accolta, signor Hooper’, ha detto Walz. ‘Le auguro buona fortuna’”.
In realtà Hooper di fortuna ne aveva già avuta un po’. La sua domanda sarebbe stata respinta se l’avesse presentata qualche anno prima. Dal 1983 al 2022 la commissione del Minnesota ha emesso appena 800 provvedimenti di clemenza, in uno stato con 5,7 milioni di abitanti. Un dato che si spiega con il fatto che negli anni ottanta e novanta i politici statali e federali reagirono all’aumento della criminalità e dello spaccio di droga inasprendo le pene e rendendo molto difficile accedere a provvedimenti di clemenza.
Ma dopo l’omicidio di George Floyd da parte di un agente di polizia, nel 2020, è cresciuto il consenso a favore della riforma della giustizia. Nella primavera del 2023 Walz ha firmato delle leggi che hanno cambiato il modo in cui lo stato tratta le persone con precedenti penali. Tra le varie cose, è stato eliminato il requisito dell’unanimità da parte dei membri della commissione per accettare le richieste di clemenza. Ora bastano due voti favorevoli, come nel caso di Hooper.
Le regole restano comunque abbastanza stringenti. Le persone con precedenti penali in Minnesota possono chiedere il provvedimento di clemenza cinque anni dopo aver finito di scontare la pena, dieci anni se sono finite in carcere per reati violenti o legati alla droga.
Un altro caso è quello di Trace Ludewig, un uomo di 41 anni.
“Ludewig si è seduto davanti al tavolo, ansioso ma convinto di aver fatto tutto il possibile per convincere la commissione. Molto alto e vestito con un abito blu, portava con sé un portadocumenti marrone e il ricordo di aver pianto in quello stesso posto nel 2013, quando la sua domanda fu respinta ma con un invito a riprovare in seguito. Ludewig ha raccontato della sua infanzia difficile in affidamento. Ha detto di aver avuto problemi con la sua identità sessuale (è gay) e che una malattia mentale non curata lo ha portato a compiere furti, ad avere comportamenti compulsivi e ad abusare di sostanze. Dal 2000 al 2006 ha tradito la fiducia di molti amici, rubando identità, falsificando assegni e sottraendo migliaia di dollari a molte persone.
Ha scontato circa 17 mesi di carcere, dopo i quali ha cominciato una carriera nella gestione dei servizi di ristorazione. Si è laureato, ha organizzato corsi di formazione professionale per i detenuti, ha fatto volontariato, ha raccolto fondi per i bambini in affidamento, aiutato le famiglie con problemi di insicurezza alimentare ed è stato presidente di un gruppo di assistenza per le persone accusate o detenute ingiustamente.
Davanti alla commissione, la voce di Ludewig tremava mentre raccontava di aver partecipato a un programma per disintossicarsi e di aver trovato la fede. La sua domanda comprendeva referenze entusiastiche di funzionari delle forze dell’ordine e di agenti per la libertà vigilata. Dalla sua parte aveva anche il sostegno del figlio di una delle sue vittime, seduto accanto a lui davanti alla commissione. Altre due vittime avevano scritto per dirsi contrarie al provvedimento di clemenza, mentre un’altra aveva detto che nessuno dovrebbe essere definito dal suo ‘giorno più buio’.
Ma la commissione era in difficoltà per via del fatto che Ludewig non aveva restituito i soldi a tutte le persone che aveva truffato. Quando l’uomo ha spiegato di aver ridato migliaia di dollari ma che il debito universitario e altri problemi economici avevano ‘ostacolato la mia capacità di soddisfare pienamente tutti i miei obblighi finanziari’, il governatore ha solidarizzato, ma ha detto: ‘La situazione economica di quelle persone è stata rovinata. Per loro è stato difficile ottenere una casa, le loro polizze assicurative sono aumentate. Molti per decenni hanno probabilmente pagato per questo’.
Poi è arrivato il voto: due contrari e uno favorevole. ‘La richiesta è respinta’, ha detto Walz a Ludewig. ‘La ringrazio e la incoraggio a continuare il suo buon lavoro’”.
Il New York Times riporta le parole di Margaret Love, fondatrice dell’organizzazione non profit Collateral consequences resource center. “In tutti i parlamenti statali si cerca di capire come gestire questo enorme numero di persone con precedenti penali che non riescono a trovare un lavoro o un alloggio. Stiamo cercando di reinserire quelle persone nella società, ma ancora non riusciamo a perdonarle”.
Questo testo è tratto dalla newsletter Americana.
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