Qual è l’ultima volta che siete entrati in una biblioteca? Se fate questa domanda a qualcuno che vive a Calgary, in Canada, è facile che vi risponda “ieri”, o “la scorsa settimana”. Calgary vanta uno dei sistemi bibliotecari pubblici più grandi del Nordamerica, e anche uno dei più frequentati, visto che il 57 per cento dei residenti ha la tessera di una biblioteca nel portafoglio. La struttura principale, la Central library – inaugurata nel 2018 in un quartiere piuttosto degradato proprio per ravvivarlo – è una specie di arca su sei piani, con un atrio dai soffitti altissimi che provoca lo stesso effetto di una cattedrale o dell’aula di un parlamento, dà cioè la sensazione di trovarsi in un luogo dove succede qualcosa d’importante. Nel 2019 l’edificio ha garantito alla città una menzione nella lista dei “52 posti da visitare” secondo il New York Times ed è stato incluso tra i cento più belli del mondo dalla rivista Time.
Nicholas Hune-Brown, giornalista del giornale canadese The Walrus, ha visitato la Central library una mattina dello scorso febbraio. Alle 8, un’ora prima dell’apertura, davanti all’ingresso c’era già una piccola folla. Per la maggior parte, si trattava di uomini che fumavano sigarette, avevano con sé dei borsoni, aspettavano. Intanto, all’interno, gli addetti in camice blu brillante avviavano il “bookscalator”, un lungo nastro che trasporta i volumi dal banco delle restituzioni fino al secondo piano, dove i libri sono smistati. Alle 8.50 tre guardie di sicurezza hanno raggiunto le loro postazioni, poi hanno sbloccato le porte ed è cominciato il via vai.
Anche la Memorial park, la più antica biblioteca di Calgary, ha un suo fascino, ma è sicuramente vecchio stile. Fu inaugurata nel 1912 grazie ai soldi di Andrew Carnegie, un magnate dell’acciaio che tra la fine dell’ottocento e gli inizi del novecento donò sessanta milioni di dollari (all’epoca una cifra astronomica) per costruire 2.509 biblioteche pubbliche in tutto il mondo, 125 solo in Canada. Questi palazzi erano progettati per ispirare le masse: erano ambienti raffinati e confortevoli in cui si leggevano i libri, oggetti che non tutti potevano permettersi. “Pensando a ragazzi e ragazze che hanno il bene dentro di loro e la capacità e l’ambizione di svilupparlo, per il denaro non c’era destinazione migliore della fondazione di una biblioteca pubblica”, scrive Carnegie nella sua autobiografia. In cambio del suo sostegno, l’industriale chiedeva ai comuni di sobbarcarsi le spese per mantenere le strutture. Così si sviluppò la rete delle biblioteche canadesi. E per decenni la sua priorità restò una: garantire l’accesso ai libri. Questo obiettivo definì l’infrastruttura e anche il lavoro di chi doveva occuparsene, ossia i bibliotecari.
Porte aperte
La super conferenza dell’Associazione delle biblioteche dell’Ontario è il più grande appuntamento annuale rivolto ai bibliotecari canadesi. L’evento, che normalmente si svolge a febbraio a Toronto, è al tempo stesso una fiera del settore e un’occasione per fare il punto. L’ultimo giorno dell’edizione 2023, mentre varie aziende erano impegnate a vendere ogni tipo di strumentazione o di servizio, in una sala stracolma si è tenuto il dibattito forse più atteso.
La discussione è stata aperta da Rahma Hashi, un’assistente sociale. Negli ultimi dieci anni in tutto il Nordamerica un numero crescente di biblioteche ha assunto professionisti come lei per far fronte alle esigenze degli utenti più vulnerabili. Hashi è stata una delle prime a Toronto. Una parte del suo lavoro, ha spiegato, consiste nel coordinarsi con i centri per senzatetto, partendo dal presupposto che la biblioteca è un luogo che accoglie chiunque, ma che i cittadini senza fissa dimora devono essere supportati dalle strutture ufficialmente incaricate di farlo. Secondo il comune di Toronto, i senzatetto in città sono circa undicimila: tutte persone che possono sedersi in una sala di lettura per riscaldarsi, visto che gli altri servizi di assistenza hanno orari ridotti e la maggior parte dei rifugi a Toronto è comunque piena. Vicky Varga, una bibliotecaria di Edmonton che partecipava all’incontro, ha commentato: “La gente cerca la biblioteca perché è l’ultimo spazio veramente pubblico”.
Questa espressione, “l’ultimo spazio pubblico”, è stata ripetuta spesso dalle donne e dagli uomini con cui ha parlato il giornalista di The Walrus. Per loro riassume benissimo il valore delle biblioteche, che sono una realtà da preservare, come le foreste secolari o una specie a rischio. La frase, però, suggerisce anche quanto istituzioni nate per custodire e dare in prestito libri si siano trovate a riempire dei vuoti.
Con i progressi della tecnologia e l’avvento di internet le biblioteche erano date per spacciate. Invece si sono reinventate, prima fornendo un modo gratuito per navigare online e poi cominciando a organizzare attività su qualsiasi cosa, dai corsi di fotografia digitale alle lezioni sui videogiochi, per ogni fascia di età. Nel mezzo di questa trasformazione sono emersi nuovi bisogni, come quelli dei senza fissa dimora, e nuovi problemi, come la crisi degli oppioidi, che in Canada tra il 2016 e il 2022 ha ucciso 34mila persone. Mentre le altre strutture di assistenza subivano tagli e venivano smantellate, la biblioteca è rimasta l’unica con le porte aperte. Oggi è il riferimento per chi deve compilare le domande per ottenere dei sussidi o stampare i moduli da consegnare ai funzionari dell’immigrazione. È un ufficio per i lavoratori in smartworking. È uno dei pochi posti in cui si può usare la toilette senza dover acquistare qualcosa. Quindi, se i libri restano l’elemento distintivo delle biblioteche, non sono più la loro ragion d’essere. Nel 2015 quelle di Calgary, per esempio, hanno ridotto del 13 per cento la collezione di volumi e ne hanno tolti decine di migliaia dagli scaffali, impegnandosi di più nella tecnologia, nei seminari e nell’assistenza.
Una storia fuorviante
“Quando si racconta la storia di questo cambiamento, da deposito di testi a concentrato di servizi sociali, di solito si descrive un trionfo senza zone d’ombra”, nota Hune-Brown. “È la storia che si legge in una recente ‘lettera d’amore’ pubblicata dal New York Times: ‘Mentre le reti di protezione locali si assottigliavano, il tetto della biblioteca si è magicamente allargato, da ombrello a telo, a tenda da circo a hangar. La biblioteca moderna tiene i suoi cittadini al caldo, al sicuro, in salute, divertiti, istruiti, idratati e, soprattutto, connessi’. Questa narrazione, per quanto commovente, oscura la realtà. Nessuna istituzione assume ‘magicamente’ le responsabilità dell’intero stato sociale, di sicuro non una che è sottofinanziata come la biblioteca pubblica. Se le biblioteche sono riuscite a espandere il loro scudo protettivo, lo hanno fatto dopo una serie di decisioni difficili, che hanno comportato dei costi”.
A Toronto gli incidenti (violenze, intimidazioni o episodi simili) sono aumentati di cinque volte dal 2012 al 2021. A Edmonton, una città di 900mila abitanti, ai bibliotecari viene insegnato come somministrare il naloxone, un antidoto nelle overdose da oppioidi. Capita che le addette (la maggioranza dei dipendenti delle biblioteche sono donne) denuncino tentativi di stupro. In generale, tutti sembrano condividere la frustrazione di non riuscire ad aiutare chi si rivolge a loro.
Per provare a limitare questi problemi all’inizio del 2019, dopo un aumento degli attacchi al personale, la Millennium library di Winnipeg ha deciso d’introdurre un sistema di sicurezza all’ingresso simile a quello che si trova negli aeroporti: gli utenti venivano perquisiti, le loro borse controllate e tutto ciò che era ritenuto pericoloso era confiscato. Un gruppo di cittadini ha protestato, immaginando che quel tipo di controlli avrebbe solo allontanato persone già emarginate. Aveva ragione: gli incidenti violenti all’interno della biblioteca sono diminuiti, ma anche i frequentatori. Circa un anno dopo l’introduzione, le misure sono state eliminate. Poi, l’11 dicembre 2022, dopo un litigio in una delle sale della biblioteca, un ragazzo è stato accoltellato da dei coetanei. La Millennium library è stata chiusa per circa due settimane, e quando ha riaperto aveva un metal detector e agenti all’ingresso.
Schierare la polizia è una soluzione ipotizzata da più parti ma, dal punto di vista etico e pratico, non è certo in linea con lo spirito delle biblioteche. Quando all’incontro della super conferenza è arrivato il momento delle domande, si sono alzate molte mani. Qualcuno insisteva sulla questione delle aggressioni, altri volevano sapere quanti assistenti sociali avesse assunto una città, altri ancora chiedevano agli amministratori come pensavano di rafforzare gli aiuti al personale. Ma il pensiero comune era: “In che direzione andare?”. Perché era chiaro che essere l’ultimo spazio pubblico non è un vantaggio. “È un segno che qualcosa è andato terribilmente storto”, conclude The Walrus.
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