Il 21 marzo la prefettura di Roma ha pubblicato il bando per la gestione di tre centri per migranti in Albania, previsti dal controverso accordo stretto da Roma con Tirana il 20 novembre 2023 e ratificato dal parlamento alla fine di febbraio. Da questo bando sono emersi i primi particolari sulle strutture e i loro costi. Il governo vorrebbe che i centri fossero operativi entro il 20 maggio 2024.
Si tratterà di due hotspot e un Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr), e per la loro gestione sono previsti 34 milioni di euro all’anno, che copriranno soltanto i costi del vitto e dell’alloggio. Rimangono escluse altre spese come il trasporto delle persone, l’assistenza sanitaria, gli stipendi e le spese per il personale italiano delle strutture. Secondo il Corriere della Sera, l’intera operazione potrebbe costare 635 milioni di euro, senza entrare mai davvero in funzione perché potrebbe essere bloccata dai ricorsi giudiziari.
La prima struttura sarà costruita nella città portuale di Shengjin e sarà un hotspot:“Una struttura dimensionata per l’accoglienza, senza pernottamento, dei migranti condotti in porto e destinati alle procedure di screening sanitario, identificazione e raccolta delle eventuali domande di asilo, all’esito delle quali i migranti saranno trasferiti presso le strutture di Gjadër”.
Gjadër è la seconda località coinvolta nell’accordo dove sorgeranno le altre due strutture: un centro destinato “all’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale” con un’accoglienza massima di 880 migranti: e un Centro di permanenza per il rimpatrio, un luogo cioè in cui saranno trasferite le persone a cui sarà negato l’asilo, in vista di un loro rimpatrio. Questo Cpr avrà una capienza di 144 persone. A Gjadër saranno disponibili poi 168 posti per alloggi di servizio, di cui sessanta riservati al personale dell’ente gestore.
Sono stati pubblicati, tra gli allegati del bando, anche i dettagli degli oggetti che saranno distribuiti alle persone nelle strutture. Verranno forniti pantaloni, una maglietta intima, una maglietta, un pigiama, tre slip e tre paia di calzini. È previsto un solo cambio tra l’estate e l’inverno. Gli ospiti avranno un rotolo di carta igienica a testa alla settimana, uno spazzolino al mese, un tubetto di dentifricio da cento millilitri al mese, un flacone di shampoo e uno di sapone liquido alla settimana, un pettine.
Non potranno uscire dal centro, ma sarà consentito alle autorità italiane di controllare il centro e di fare delle ispezioni. Nei centri potranno accedere avvocati, rappresentanti di organizzazioni internazionali e dell’Unione europea per l’assistenza legale come previsto dalle leggi italiane ed europee. Secondo quanto previsto dall’accordo, finiranno in queste strutture le persone soccorse dalle navi italiane in acque internazionali: un massimo di 39mila persone all’anno.
L’accordo è molto contestato dalle organizzazioni che si occupano della difesa dei diritti umani e dai giuristi, che parlano di “deportazioni”. Per l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) il protocollo prevede “norme incerte e illegittime”, che di fatto sono in contrasto con la costituzione italiana.
I punti critici sono diversi: “Prevedere con legge ordinaria o con un accordo internazionale, un’autorizzazione al governo o alle forze armate a prendere una persona che si trova già nel territorio italiano (nave italiana e/o militare) e, invece di concludere le operazioni di soccorso, trasportarla in un paese terzo allo scopo d’impedirne l’ingresso nel territorio configura una sorta di deportazione degli stranieri, vietata dalle norme europee e internazionali ed è del tutto estraneo allo spirito e alla lettera delle norme costituzionali”, scrive l’Asgi. Nonostante questo le autorità europee, e in particolare la Commissione, ha recentemente appoggiato l’accordo, mentre i Popolari europei (il partito di cui fa parte la commissaria Ursula von der Leyen) hanno dichiarato che auspicano nuovi accordi bilaterali con paesi extraeuropei per costruire centri off-shore per l’esame delle domande di asilo.
Questo testo è tratto dalla newsletter Frontiere.
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