Ramy Elgaml, un ragazzo di 19 anni di origine egiziana, è morto a Milano nella notte tra il 23 e il 24 novembre in un incidente in scooter avvenuto durante un inseguimento da parte dei carabinieri. Secondo l’autopsia Elgaml è deceduto sul colpo, perché lo schianto gli avrebbe causato una lesione all’aorta. I funerali sono previsti il 4 dicembre al cimitero di Bruzzano.

Non è ancora chiaro se la lesione e la morte siano legate all’impatto con l’asfalto e con un muretto, o con il semaforo su cui è finita l’auto dei carabinieri, che sarebbe precipitato poi sul corpo del ragazzo dopo l’impatto. Il carabiniere alla guida è attualmente indagato per omicidio stradale in concorso.

Il ragazzo alla guida del motorino, Fares Bouzidi, è ricoverato in ospedale, ed è accusato anche lui di omicidio stradale e resistenza a pubblico ufficiale. Nelle ore e nei giorni successivi alla morte di Elgaml, alcuni ragazzi di Corvetto, la periferia nel sudest di Milano dove si è verificato l’incidente, hanno protestato lanciando fumogeni, incendiando cassonetti e chiedendo “verità e giustizia per Ramy”. In molti hanno portato lettere e messaggi sul luogo della morte.

I manifestanti accusano i carabinieri di profilazione razziale e di aver speronato il motorino su cui viaggiavano i due ragazzi, che non si erano fermati poco prima al posto di blocco dei carabinieri in via Farini, una zona di locali molto frequentata. Secondo una prima ipotesi, il motivo della fuga sarebbe legato a una collanina, a mille euro in contanti, a un coltello e a uno spray al peperoncino ritrovati nelle tasche di Bouzidi, che potrebbero essere il risultato di furti. Entrambi i ragazzi avevano precedenti penali.

Il padre di Ramy, Yehia Elgaml, ha mandato messaggi distensivi e ha chiesto verità sulla morte del figlio. “Nessuna vendetta. Rispettiamo la legge del nostro paese, l’Italia. Abbiamo fiducia nella magistratura italiana, vogliamo solo sapere ciò che è successo. Ci dissociamo da tutti i violenti, e ringraziamo tutti per la loro vicinanza”. Ma dopo le proteste e i disordini sono cominciate le polemiche sulla situazione delle periferie milanesi, sempre più spesso teatro di azioni violente commesse da ragazzi di seconda o terza generazione, figli di stranieri che non hanno ottenuto la cittadinanza anche a causa della legge italiana, molto restrittiva.

Nel 2022 il caso di alcuni minorenni evasi dal carcere minorile Beccaria di Milano aveva portato all’attenzione dell’opinione pubblica la situazione delle periferie e l’incidenza della criminalità in questi territori, e il legame con l’esclusione sia dalla città sia dai diritti di cittadinanza per i figli e le figlie degli stranieri.

All’epoca era stato Ciro Cascone, il magistrato che guida la procura minorile di Milano, la più impegnata d’Italia sul fronte dei reati commessi da minorenni, a denunciare: “Un carcere minorile è cosa molto diversa da un carcere per adulti: occorrono investimenti, risorse e personale specializzato con una formazione specifica”, aveva detto Cascone rivolgendosi al ministro della giustizia Carlo Nordio. Aggiungendo: “Dietro ognuno di quei ragazzi c’è una famiglia che non funziona, una forma di malessere e di disagio che affligge tantissimi minorenni. Noi sappiamo tutto, li vediamo, anzi è come se sfilassero davanti a noi che abbiamo anche ottime norme, soluzioni che teoricamente altrove ci invidiano, ma è come se non riuscissimo a intercettarli”.

“Gli stranieri a Milano oggi rappresentano il 19 per cento della popolazione, e dal 2010 sono 60mila in più. Si tratta perlopiù di famiglie, di residenti, di regolari. Di questi, molti sono giovani e giovanissimi: più di 25mila hanno meno di 24 anni”, ha spiegato sulla rivista online Lucy Valeria Verdolini, presidente dell’associazione Antigone Lombardia. “L’Egitto è il primo paese di provenienza. A causa dell’assenza di una legge sulla cittadinanza che si accordi a queste trasformazioni demografiche e sociali, il 22,7 per cento delle persone nate in Italia è nata straniera. A Milano, in particolare, un bambino su cinque nasce straniero”, conclude Verdolini, che vede nella mancanza di un riconoscimento giuridico di queste persone la costruzione di un confine e di un margine.

La morte di Ramy Elgaml mostra anche la diffusione di una pratica che è stata denunciata più volte anche dall’Ecri, l’agenzia contro il razzismo del Consiglio d’Europa: le forze dell’ordine italiane attuano quella che viene definita profilazione razziale. In Italia, cioè, una persona non bianca rischia di essere sottoposta più spesso a controlli e fermi anche arbitrari rispetto a una bianca.

Questo aggrava la costruzione di quei margini e di quei confini di cui parla Verdolini. Inoltre, secondo Riccardo Tromba, presidente dell’associazione Naga di Milano, lo schieramento di seicento nuovi agenti di polizia rischia di creare un effetto opposto a quello desiderato di una maggiore sicurezza: “Per certi versi quello che vediamo oggi è l’evoluzione di un fenomeno, che va avanti da decenni, di marginalizzazione delle fasce giovanili delle periferie e dei ceti sociali più bassi”.

Per il presidente del Naga, che si occupa di assistenza legale e sanitaria per gli stranieri irregolari a Milano, gli agenti possono servire nei punti conclamati di penetrazione della criminalità, ma non è utile schierarli a ogni semaforo come promesso: “Questa presenza delle pattuglie cosa produrrà? Sarà un inasprimento di fenomeni di marginalizzazione giovanile e probabilmente provocherà un rafforzamento di sottoculture criminali. Mi sembra più un pericolo che una soluzione”, conclude Tromba.

Questo articolo è stato tratto dalla newsletter Frontiere.

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