L’11 aprile circa quaranta persone migranti, trasferite da diversi centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) italiani, sono arrivate nel porto di Shëngjin, in Albania. Erano partite da Brindisi e, dopo un primo screening nell’hotspot di Shëngjin, sono state portate nel centro di detenzione di Gjadër, che ha aperto a ottobre e che era stato originariamente progettato per ospitare richiedenti asilo soccorsi in mare e provenienti da paesi considerati sicuri dal governo italiano.

Ma i centri costruiti dall’Italia in Albania di fatto non hanno mai funzionato, perché i tribunali italiani non hanno confermato il trattenimento dei tre gruppi di richiedenti asilo che vi erano stati trasferitiper essere sottoposti alla procedura accelerata di asilo. Per questo il 28 marzo il consiglio dei ministri ha approvato un decreto per trasformare quei centri in Cpr, nonostante le strutture di questo tipo presenti in Italia siano mezze vuote.

Il piano inoltre è stato molto criticato ed è ritenuto da molti giuristi in contrasto con le leggi italiane. Nella conferenza stampa in cui aveva annunciato il decreto, il ministro dell’interno Matteo Piantedosi aveva assicurato che il protocollo Italia-Albania non sarebbe stato modificato ma sarebbe solo stata aggiunta la funzione di Cpr ai centri albanesi, chiarendo che c’è un progetto più ampio per allargare la rete dei Cpr, in base al quale saranno aperti cinque nuovi centri per il rimpatrio anche sul territorio italiano. “Non cambia nulla sui rimpatri. Dipende molto dalla nazionalità delle persone che vengono rimpatriate. Le modalità non cambieranno e saranno articolate a seconda degli accordi con i paesi di origine”, aveva aggiunto Piantedosi.

Sul trasferimento dei migranti avvenuto l’11 aprile non c’è stata nessuna trasparenza, fonti governative hanno detto che le persone trasferite avevano precedenti penali, ma questa circostanza non è stata verificata dalle parlamentari Cecilia Strada e Rachele Scarpa, che hanno avuto la possibilità di entrare nei centri e parlare con alcune delle persone detenute.

“Quanto emerge dai colloqui con i trattenuti è tanto grave quanto emblematico. È stato possibile parlare con quattro persone, dalle quali è emerso innanzitutto che tutte hanno scoperto che sarebbero state trasferite in Albania nel momento stesso in cui sono arrivate. Nessuna informativa è stata svolta prima, in piena violazione dei loro diritti: una persona dice di essere stata svegliata alle 3 di notte nel Cpr italiano in cui si trovava, di essere stata prelevata per il trasferimento, e di aver scoperto di trovarsi in Albania solo dopo lo sbarco”, hanno dichiarato le due parlamentari all’uscita dei centri.

“Tutti raccontano che il contenimento con fascette ai polsi non è stato limitato al momento dello sbarco, ma che è anzi durato per tutto il viaggio, anche nei momenti di distribuzione dei pasti o in quelli in cui c’era esigenza di andare in bagno. Cogliamo dunque l’occasione per stigmatizzare duramente le parole del ministro Matteo Salvini e del ministro Matteo Piantedosi, che giustificano e anzi rivendicano questa pratica barbara alla luce di una presunta ‘pericolosità sociale’, che sarebbe stato anche dunque criterio di selezione dei trattenuti, e alla luce di ‘condanne’ a carico degli stessi. Da parte loro è un’implicita ammissione della natura punitiva della missione Albania, da applicarsi quindi a persone ritenute pericolose dallo stato? In questo caso dovrebbe entrare in gioco l’ordinamento penitenziario, non la detenzione amministrativa, che è un provvedimento destinato non a chi ha commesso reati, ma a chi è privo di documentazione regolare per soggiornare in Italia”.

Un salto di scala

Secondo l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) il trasferimento nei centri in Albania dei migranti irregolari già rinchiusi nei Cpr italiani è “un salto di scala” nelle politiche migratorie e apre nuovi scenari nel contesto europeo. “Si accentua ulteriormente il trattamento giuridico e amministrativo radicalmente differenziato per le persone migranti, creando una frattura profonda nell’ordinamento giuridico nel suo complesso. Se, come spesso osservato, le politiche migratorie funzionano da specchio per la qualità dei diritti, ciò che oggi si riflette è l’immagine di una democrazia in fase di sostanziale ridefinizione”, è scritto nell’analisi giuridica fatta dall’Asgi.

“Le politiche migratorie si confermano come un laboratorio per sperimentazioni normative a vocazione autoritaria. Il cosiddetto modello Albania costituisce un’accelerazione di questo processo, con effetti che si dispiegano su più fronti. Da un lato, per le persone trasferite, si prospetta un regime di isolamento estremo, ulteriori ostacoli all’accesso alla tutela legale e un aggravamento delle già critiche condizioni di detenzione nei Cpr. Dall’altro lato, per l’intera popolazione migrante vincolata al rinnovo del permesso di soggiorno, si intensifica il rischio di ricattabilità, ora aggravato dalla minaccia di trasferimento forzato all’estero”, conclude il rapporto.

Amnesty International ha sollecitato il governo italiano a interrompere immediatamente i trasferimenti forzati in Albania delle persone detenute nei Centri per il rimpatrio (Cpr) italiani che, secondo l’organizzazione, “altro non sono se non un disperato tentativo di riattivare il protocollo con Tirana, illegale e costoso e rappresentano tanto un ulteriore passo indietro nella gestione della migrazione da parte dell’Italia quanto un esempio di totale disprezzo per i diritti umani”.

“Questa ennesima operazione di propaganda messa in atto dal governo Meloni in Albania, con l’arrivo della prima nave di deportati in manette, è una insopportabile esibizione di crudeltà, che calpesta i diritti di quelle persone e i princìpi del nostro sistema giuridico”, ha commentato il Tavolo asilo e immigrazione in un comunicato. L’organizzazione che raggruppa tutte le principali associazioni che si occupano di immigrazione e asilo in Italia era presente anche questa volta in Albania con una delegazione.

“Con il decreto legge numero 37/2025 il governo italiano ha voluto deportare in Albania persone straniere già trattenute nei Cpr italiani in attesa di rimpatrio senza alcuna giustificazione se non quella di rimediare al flop del protocollo con l’Albania. Un’operazione compiuta con un impiego di forze di polizia priva di qualsiasi motivazione: due poliziotti a controllare ogni straniero ammanettato a uso esclusivo delle telecamere e dei giornalisti per comunicare una pericolosità inesistente. Il ricorso alle manette per persone, è bene ricordare, trattenute nei Cpr e ora in Albania non perché abbiano commesso un reato, ma perché destinatarie di un provvedimento amministrativo di espulsione, cioè perché hanno un documento scaduto”, ha concluso il Tavolo nel comunicato.

Francesco Ferri di Action aid, giurista che fa parte della delegazione, si chiede quali siano stati i criteri di selezione di queste persone: “Non ci è ancora stata fornita la lista precisa delle persone che sono state trasferite in Albania, quindi non sappiamo con precisione di che nazionalità sono e che percorso hanno alle spalle. Questo conferma la mancanza di trasparenza sui criteri adottati. Ricordiamo che nel nostro ordinamento le deportazioni sono vietate, in questo caso si afferma che le persone sono portate in dei centri extraterritoriali sotto la giurisdizione italiana, ma a nostro avviso sono molti i profili di violazione dei diritti fondamentali”.

Ferri conferma che c’è un problema di accesso al diritto alla difesa per le persone trattenute: “Alcune delle persone che sono attualmente nel centro non avevano già in Italia un avvocato che li stava seguendo in maniera appropriata e ora ci chiediamo quindi se avranno pieno accesso alla difesa. La distanza fisica, l’isolamento dei centri, la mancanza di comunicazione e il collegamento da remoto renderanno questo aspetto ancora più problematico”. Ferri conferma che in ogni caso ognuno dei trattenuti dovrà essere riportato in Italia per essere rimpatriato oppure allo scadere del termine massimo consentito di trattenimento. “Una persona è già stata riportata indietro con la nave Libra, un’intera nave per riportare indietro una persona”, continua Ferri. “Si tratta quindi di un dispendio importante di risorse, a fronte di violazioni dei diritti delle persone”.

Questo articolo è tratto dalla newsletter Frontiere.

Iscriviti a
Frontiere
La newsletter sulle migrazioni. A cura di Annalisa Camilli. Ogni lunedì.
Iscriviti
Iscriviti a
Frontiere
La newsletter sulle migrazioni. A cura di Annalisa Camilli. Ogni lunedì.
Iscriviti

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it