Lo Sri Lanka è alle prese con una crisi economica senza precedenti. A causa della carenza di valuta estera e dell’inadempienza nel restituire il debito estero, il paese non è in grado di pagare cibo, carburante, medicine e altri beni di prima necessità. Nonostante i sacrifici che comporterebbe, il salvataggio da parte del Fondo monetario internazionale (Fmi) è stato accettato come l’unica via d’uscita dalla drammatica situazione.

I partiti dell’opposizione e i cittadini accusano il governo Rajapaksa per la corruzione diffusa e per la cattiva gestione della crisi, e chiedono le dimissioni del presidente e del parlamento. Il 9 maggio ha lasciato il suo posto il primo ministro Mahinda Rajapaksa (al suo posto il presidente Gotabaya Rajapaksa ha nominato l’ex premier Ranil Wickramasinghe). I manifestanti non hanno proposto un’alternativa o una tabella di marcia praticabile per il futuro, e il paese resta impantanato nella confusione, nel caos e in un’impasse politica potenzialmente esplosiva.

Per capire la complessità della crisi attuale e per evitare di ricadere nello stesso paralizzante ciclo d’indebitamento, è necessario andare oltre la politica interna e ed esplorare alcuni aspetti economici e geopolitici globali comunemente trascurati ma fondamentali.

Crisi del debito e disuguaglianza globale
Il trasferimento di ricchezza, in termini di denaro e di risorse, dai paesi poveri del sud del mondo a quelli ricchi del nord non è un fenomeno nuovo. È stata una caratteristica costante durante i secoli di colonialismo classico e di neocolonialismo. All’inizio del 1989 i paesi in via di sviluppo dovevano ai creditori stranieri 1.300 miliardi di dollari, pari a “poco più della metà del totale dei loro prodotti interni lordi e due terzi dei guadagni totali delle loro esportazioni”.

Recentemente gli effetti della guerra in Ucraina e della crisi del covid-19 hanno aggravato gli elevati oneri del debito dei paesi in via di sviluppo. Questi paesi stavano già faticando a pagare i debiti accumulati a causa dell’aumento dei flussi di capitale dai paesi ad alto reddito ai paesi a basso reddito, successivi alla crisi finanziaria globale del 2008.

La liberalizzazione finanziaria è stata favorita da potenti interessi globali, tra cui quelli dell’Fmi, quando i tassi d’interesse nei paesi più ricchi sono scesi. Questo ha facilitato l’indebitamento dei paesi in via di sviluppo dai mercati internazionali dei capitali privati attraverso obbligazioni sovrane internazionali, che presentano tassi di interesse elevati e brevi periodi di maturazione. La liberalizzazione finanziaria, favorita dall’Fmi e dai paesi ricchi che collaborano con le élite dei paesi poveri, ha creato un’architettura finanziaria internazionale gerarchica e asimmetrica.

Il declassamento dello Sri Lanka da parte di agenzie di rating ha aumentato la difficoltà di ottenere ulteriori prestiti per ripagare il debito

Come sottolinea un rapporto del dicembre 2021 pubblicato dal Bretton Woods Project, questo quadro iniquo crea “squilibri macroeconomici, fragilità finanziarie e instabilità dei tassi di cambio che possono innescare crisi del debito e/o valutarie e limitare, per i paesi colpiti, l’autonomia in materia di politica economica nel perseguire obiettivi interni”. L’ong Debt jubilee campaign (che presto si chiamerà Debt justice) ha sottolineato che 54 paesi stanno attraversando una crisi del debito.

Secondo la Banca mondiale, lo Sri Lanka ha un debito obbligazionario di 15 miliardi di dollari, per lo più indicizzato in dollari, su un totale di 45-50 miliardi di dollari di debito a lungo termine. Il paese ha bisogno di una cifra compresa tra i 7 e gli 8,6 miliardi di dollari per onorare il suo carico di debito nel 2022, ma alla fine di marzo aveva solo 1,6 miliardi di dollari di riserve.

Il declassamento dello Sri Lanka da parte di agenzie di rating come Moody’s ha aumentato la difficoltà di ottenere ulteriori prestiti per ripagare il debito. La svalutazione della rupia srilanchese, che ha perso il 32 per cento del suo valore dall’inizio dell’anno, ne ha fatto la valuta con le peggiori prestazioni al mondo, secondo gli economisti, il che ha aggravato la situazione per i cittadini dello Sri Lanka.

La Banca asiatica di sviluppo e la Banca mondiale detengono rispettivamente il 13 e il 9 per cento del debito estero dello Sri Lanka. Attualmente la Cina è il principale finanziatore bilaterale del paese, detenendo circa il 10 per cento del suo debito estero totale, seguita dal Giappone, con una quota equivalente. Circa la metà del debito estero totale dello Sri Lanka è costituito da prestiti di mercato ottenuti attraverso titoli di stato emessi in dollari o in euro, emessi principalmente dalle società d’investimento BlackRock e Ashmore Group, insieme a Fidelity, T Rowe Price e Tiaa, che sono tra i principali creditori del paese. Tuttavia le informazioni sui detentori delle obbligazioni – compresa una del valore di un miliardo di dollari che scadrà il 25 luglio – non sono rivelate pubblicamente.

Lo Sri Lanka è in trattative con l’Fmi per la ristrutturazione e il rimborso del suo enorme debito. L’accordo comprenderà le consuete privatizzazioni, i tagli alle reti di previdenza sociale e l’allineamento della politica economica locale agli interessi degli Stati Uniti e di altri paesi occidentali, a ulteriore discapito del tenore di vita dei lavoratori locali, e che porteranno inevitabilmente a una maggiore disparità di ricchezza e a ripetute crisi del debito.

Rivalità geopolitica
Le crisi economiche creano, per le potenze straniere, occasioni per rafforzare lo sfruttamento economico e il controllo geopolitico. Nel contesto dello Sri Lanka, queste potenze sono India, Stati Uniti e Cina.

Il grande vicino dello Sri Lanka, l’India, ha concesso a Colombo una linea di credito da un miliardo di dollari per fornire cibo e medicine essenziali. Il governo srilanchese ha dichiarato che i prestiti indiani non sono soggetti a condizioni. Tuttavia, secondo gli analisti locali, sono stati stipulati accordi che danno alle aziende indiane accesso esclusivo agli investimenti sull’isola.

Lo Sri Lanka si trova in una posizione strategica sulle rotte marittime nell’oceano Indiano. Si stima che più dell’80 per cento del commercio mondiale di petrolio via mare passi attraverso le strettoie di quella parte di mare. Anche se stranamente trascurata dai mezzi d’informazione mondiali, è già in corso una guerra fredda tra la Cina e il Quad (l’alleanza strategica tra Stati Uniti, Giappone, Australia e India) per il controllo dello Sri Lanka e dell’oceano Indiano.

Se i terreni e l’oceano, la grafite, l’ilmenite e le altre risorse minerarie fossero usate in modo sostenibile, lo Sri Lanka potrebbe essere economicamente autosufficiente e ricco

Lo Sri Lanka fa parte della Belt and road initiative cinese (o nuova via della seta) da mille miliardi di dollari, che include il porto di Hambantota. Gli Stati Uniti, invece, nel 2017 hanno firmato con lo Sri Lanka un accordo aperto di acquisizione e servizi incrociati (acsa), che facilita il supporto logistico militare. Washington sta anche cercando di firmare un accordo sullo statuto delle forze militari (sofa), che trasformerebbe di fatto il paese del sudest asiatico in una base militare statunitense. Anche se la proposta degli Stati Uniti di un Millennium challenge corporation compact (un accordo che Washington ha stipulato finora con 49 paesi in via di sviluppo per alleviarne la povertà) è stata rifiutata a causa delle proteste locali, l’obiettivo dell’accordo – il controllo degli Stati Uniti sulle infrastrutture terrestri, di trasporto e di comunicazione in Sri Lanka – procede imperterrito.

In questo contesto, nel quale lo Sri Lanka è un teatro di tensioni e rivalità geopolitiche, la crisi del debito non può essere intesa semplicemente come una crisi economica.

Soluzioni alternative e sostenibili
I giovani manifestanti del movimento “Gotta go home!”, che chiedono le dimissioni del presidente Gotabaya Rajapaksa, sembrano ignari delle dinamiche globali che sono all’origine della crisi del loro paese. C’è tuttavia qualcuno, in Sri Lanka, che è preoccupato per le implicazioni di un salvataggio da parte dell’Fmi e ha proposto soluzioni alternative a breve e lungo termine, basate sul fatto che l’isola abbonda di risorse naturali e di capitale umano.

Se i terreni e l’oceano, la grafite, l’ilmenite e le altre risorse minerarie fossero usate in modo sostenibile, lo Sri Lanka potrebbe essere economicamente autosufficiente e ricco. A questo proposito, c’è molto da imparare dalla storia precoloniale dello Sri Lanka, non ultima dalla sua civiltà idraulica. La Commissione per i conti pubblici ha rivelato che nel bacino di Mannar ci sono giacimenti di petrolio e gas naturale sufficienti a soddisfare il fabbisogno dell’intero paese per sessant’anni. Sfruttando anche l’abbondante energia solare ed eolica, lo Sri Lanka potrebbe diventare non solo autosufficiente dal punto di vista energetico, ma anche un esportatore di energia.

Un approccio etico al territorio, la democrazia economica e la sovranità alimentare ed energetica sono l’unica strada verso un futuro sostenibile per lo Sri Lanka, per gli altri paesi strangolati dal debito e, a dirla tutta, per il mondo in generale. Per superare le potenze che cercano di monopolizzare il controllo sull’ambiente naturale e sull’umanità, è necessario che, soprattutto i giovani, si sveglino e collaborino per combattere la rapacità distruttiva che ci intrappola e minaccia di distruggerci.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato da Asia Times. Internazionale ha una newsletter settimanale che racconta cosa succede in Asia. Ci si iscrive qui.

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