Situata su un altipiano nella cordigliera delle Ande, a 2.600 metri di altezza sul livello del mare, Bogotá è di solito una città grigia, fredda e piovosa. Ma da qualche mese il cielo è sorprendentemente azzurro e gli acquazzoni che di tanto in tanto bagnano le sue strade non bastano a riempire i bacini idrici che forniscono acqua potabile alla capitale della Colombia. Per la prima volta dal 1984, dall’11 aprile l’acqua per gli otto milioni di abitanti della città è razionata.
“Non avevamo altra scelta”, ha detto il sindaco Carlos Galán, aggiungendo che “i livelli critici nei serbatoi da cui attingiamo l’acqua potabile di Bogotá ci hanno spinto a prendere misure per ridurre il consumo da 17 metri cubi al secondo a 15”. Galán ha poi assicurato che gli ospedali e le scuole pubbliche non rimarranno senz’acqua.
La città è stata divisa in nove zone e ognuna, ogni dieci giorni, subirà un’interruzione della fornitura per ventiquattr’ore, ovviamente il provvedimento non riguarderà i condomini o le case che hanno serbatoi d’acqua individuali.
Il sindaco ha precisato che queste misure potrebbero essere mantenute, ridotte o intensificate a seconda di come evolverà la situazione – l’amministrazione comunale farà una valutazione ogni quindici giorni – e ha chiesto a tutti gli abitanti di impegnarsi a risparmiare l’acqua, “perché la crisi potrebbe essere seria”.
Due dighe, Chuza e San Rafael, situate nel parco naturale di Chingaza, a est di Bogotá, forniscono da sole il 70 per cento del fabbisogno di acqua della capitale. Attualmente sono riempite rispettivamente a meno del 16 e del 19 per cento della loro capacità.
Da quando sono state messe in funzione quarant’anni fa, il livello dell’acqua non è mai sceso così in basso. Più del 90 per cento del consumo di acqua nella capitale è destinato all’uso residenziale. Secondo le autorità, una famiglia media bogotana consuma 6.910 litri d’acqua al mese. Il sindaco ha invitato i suoi cittadini a “unirsi per risparmiare acqua e cambiare le proprie abitudini”, a fare la doccia in coppia, a non farla per niente nei giorni in cui non si esce di casa, a limitare il tempo che si trascorre sotto la doccia, a chiudere l’acqua quando ci si lava i denti o ci si fa la barba e a controllare che tubature e rubinetti siano a tenuta stagna.
Tra le cause di questa siccità straordinaria e prolungata c’è sicuramente il fenomeno climatico periodico del Niño, che in Colombia ha provocato un aumento delle temperature e una riduzione delle precipitazioni, soprattutto dal mese di gennaio. Le sue conseguenze non sono state una sorpresa ma nonostante questo la giunta comunale e il governo non hanno agito per tempo, sollevando qualche polemica tra i politici e cittadini, che si chiedono come mai il razionamento sia cominciato proprio ora e si fosse potuto giocare con un po’ di anticipo.
Sul quotidiano spagnolo El País Benjamin Quesada, climatologo dell’università del Rosario, sostiene che le scarse precipitazioni non sono state una sorpresa, si sapeva da mesi la situazione a cui si sarebbe andati incontro. Secondo lui, è mancata la prevenzione e il comune non ha istruito a sufficienza la popolazione sugli accorgimenti da prendere in anticipo per evitare di ricorrere a misure più drastiche.
In ogni caso Quesada, e insieme a lui altri esperti e scienziati, sottolineano che il razionamento potrà forse tamponare l’emergenza ma non è la soluzione giusta sul medio e lungo periodo: “Bisogna ripensare il modo di usare l’acqua sia a livello personale sia nelle industrie, puntare sul riciclo e sul riutilizzo migliore delle acque grigie e di quelle piovane”.
Questo testo è tratto dalla newsletter Sudamericana.
Iscriviti a Sudamericana |
Cosa succede in America Latina. A cura di Camilla Desideri. Ogni due settimane, il venerdì.
|
Iscriviti |
Iscriviti a Sudamericana
|
Cosa succede in America Latina. A cura di Camilla Desideri. Ogni due settimane, il venerdì.
|
Iscriviti |
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it