È noto come scandalo dei “falsi positivi”: durante il conflitto interno della Colombia i soldati uccidevano i civili presentandoli come guerriglieri caduti in combattimento. Secondo la Giurisdizione speciale per la pace (Jep), un tribunale che indaga sui crimini commessi durante il conflitto armato, le vittime civili di questa pratica sono state 6.402 tra il 2004 e il 2008. L’obiettivo dei soldati era migliorare i dati sulla lotta alle organizzazioni guerrigliere in modo da ottenere alcuni benefici, come giorni di riposo in più e onorificenze.
Per anni il collettivo Madres de falsos positivos de Soacha y Bogotá (Mafapo), formato dalle madri dei civili uccisi, ha cercato di ottenere giustizia per i propri figli, bussando a decine di porte che non sono mai state aperte. Poi lo scorso ottobre il presidente Gustavo Petro ha chiesto perdono ai familiari delle vittime a nome dello stato e, insieme al collettivo di donne, ha autorizzato la creazione di un’opera commemorativa che sorgerà nell’Estación de la Sabana, nella capitale Bogotá. S’intitolerà Un monumento posibile: 6.402 razones para no olvidar, un monumento possibile: 6.402 ragioni per non dimenticare, e sarà realizzata dalle madri stesse. Con quest’opera, hanno spiegato le donne alla rivista colombiana Cambio, vogliono mantenere vivo il ricordo dei loro figli e di quello che gli è stato fatto, creando uno spazio artistico che rimanga in eredità a tutta la società.
Il figlio di Carmenza Gómez Romero aveva 23 anni nel 2007, quando fu ucciso dai soldati della Brigata XV del battaglione Santander de Ocaña semplicemente per guadagnare tre giorni di permesso. Gli avevano promesso un lavoro con cui avrebbe guadagnato molto bene e lui, che aveva una profonda fiducia nell’esercito, non aveva sospettato assolutamente che si trattasse di una trappola. Parlandone oggi la donna si commuove ancora, ma l’emozione per la costruzione del monumento le dà un minimo di sollievo: “Se lo guardi con attenzione vedi che è un corpo di donna, con le gambe e un centro dove ci sarà un albero – uno yarumo – che simboleggia la creazione della vita”. I concetti centrali dell’opera saranno il cammino, l’utero, la memoria, la speranza, il radicamento e lo sradicamento. “Le ferite per la morte di un figlio non si chiudono mai”, aggiunge Gómez Romero. “Però durante il processo che ha accompagnato l’opera abbiamo sentito che si stavano cicatrizzando e andrà sicuramente meglio appena si inaugurerà (nel 2025), perché molte persone visiteranno il luogo e rifletteranno su quello che è successo in Colombia e che non deve tornare a ripetersi mai più”.
La fase creativa è durata tre mesi ed è stata coordinata dal ministero della cultura colombiano, che ha coinvolto il collettivo Mafapo, artisti, architetti, artigiani nativi e curatori di mostre. Prima di pensare a come realizzare l’opera si è dato spazio al racconto, al disegno, all’ascolto e alla memoria, in modo che insieme, attraverso la condivisione dei fatti e del dolore, dei simboli e delle emozioni, si cominciasse a sentire e a capire la forma che avrebbe avuto.
Questo testo è tratto dalla newsletter Sudamericana.
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