Inhebek Hedi, il primo lungometraggio del giovane regista tunisino Mohamed Ben Attia, vincitore del premio per la migliore opera prima alla Berlinale del 2016, ha un titolo intraducibile. “In tunisino è un gioco di parole”, spiega Ben Attia. “Inhebek Hedi significa ‘ti amo Hedi’”, e si riferisce alla storia d’amore tra i protagonisti, Hedi e Rym. Ma il nome Hedi in arabo significa anche calmo e quindi tutto il titolo si potrebbe tradurre anche “calmati”, stai calmo: una sorta di ammonimento che arriva dalla società, dalla famiglia, dallo stato, che intima a Hedi di accettare le cose come stanno, mentre invece sta cercando di cambiarle. Tutto il film di Ben Attia si muove così, con grande delicatezza, tra una storia “minore”, ovvero il percorso di liberazione personale di Hedi, e una storia “maggiore”, uno sguardo sulle condizioni dei giovani tunisini che hanno fatto la rivoluzione, a cinque anni di distanza.

Il mondo nel quale si aggira il giovane Hedi nella prima parte del film è grigio, come addormentato. Ricorda molto l’atmosfera apatica vissuta dalla gioventù tunisina all’epoca dell’autocrazia del presidente Ben Ali, dove i genitori di quegli stessi giovani davano per scontato un futuro già tracciato. Hedi si deve sposare con una ragazza che conosce a malapena, e sua madre, che fa tutto per lui, gestisce i suoi soldi, si occupa di tutti i preparativi del matrimonio e addirittura arreda l’appartamento dei futuri sposi. Hedi non è felice ma abbozza. Abbozza anche con il suo capo, aspetta che il tempo passi, disegnando, scappando della realtà.

L’intervista di Catherine Cornet a Mohamed Ben Attia


Il film è prodotto dai fratelli Dardenne con i quali Ben Attia condivide la forza espressiva. Seguiamo sempre Hedi ripreso di spalle, i primi piani sono molto ravvicinati. L’attore Majd Mastoura, che ha ricevuto l’Orso d’argento come miglior attore, indossa una maschera di tristezza in tutta la prima parte del film, destinata poi a cadere, quando Hedi si apre al mondo e a una storia d’amore gioiosa, con un finale profondo e inaspettato.

L’immenso albergo per turisti dove Hedi troverà rifugio durante un suo viaggio di lavoro è altrettanto vuoto e deprimente. La Tunisia sta vivendo una crisi turistica senza precedenti. In questo hotel, però, Hedi incontra Rym, una ragazza solare, libera e coraggiosa che danza per i turisti. Dopo l’entrata in scena di Rym l’intreccio tra la storia minore e quella maggiore s’infittisce ancora di più: vale la pena di rivoluzionare la propria vita per amore di Rym.

Il regista non ricerca la metafora a tutti costi, ma la Tunisia può ricordare il grande albergo vuoto dove i due protagonisti s’incontrano: “Tutti i giovani a cui abbiamo fatto un provino per il ruolo di Hedi vorrebbero partire. La situazione economica è disastrosa”, spiega Ben Attia che rimane comunque un ottimista. La rivoluzione nasce prima negli individui, è personale. E il coraggio di ribellarsi è contagioso, perché ha il sapore della libertà: “Come Hedi, facevo il venditore di automobili e facevo i miei cortometraggi nel tempo libero. Ma a un certo punto non ce la facevo più. Quella di mollare tutto e cambiare vita può sembrare una scelta coraggiosa, ma ci sono momenti dove non è neanche più una scelta: deve essere così”.

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