In Spagna la stagione delle corride inizia tradizionalmente a febbraio a Valdemorillo, una piccola città situata a circa quaranta chilometri da Madrid. Di solito non attira grandi nomi, ma la stella dei matador Morante de la Puebla ha confermato che quest’anno parteciperà. In un settore segnato da divisioni interne, è sempre più diffusa l’idea che la prossima stagione dovrà essere un successo se si vuole evitare che la corrida scompaia del tutto.
In Catalogna le corride sono state vietate nel 2010, ma nel resto del paese il dibattito è cambiato da quando è cominciata la pandemia: se in passato ci si concentrava sull’opportunità di proibirle, ora il tema è se si debba lanciare un salvagente a questa parte dell’industria culturale in difficoltà. L’attuale coalizione di sinistra al governo sembra non avere la volontà politica di porre un veto esplicito a quella che un tempo era conosciuta come la fiesta nacional né, al contrario, di concederle un sostegno per mantenerla in vita. Così, per esempio, i biglietti per le corride sono stati esclusi da un programma (annunciato nell’ottobre dello scorso anno dal primo ministro Pedro Sánchez) che prevedeva la distribuzione ai giovani di buoni da 400 euro spendibili in ambito culturale.
Le corride vengono recensite nelle pagine culturali dei quotidiani spagnoli e non in quelle sportive, e sono di competenza del ministero della cultura. Il divieto catalano – dichiarato illegale dalla corte costituzionale spagnola nel 2016 – è stato sia una mossa di propaganda politica sia un tentativo di difendere i diritti degli animali. Sulla scia del referendum illegale sull’indipendenza della Catalogna nel 2017, il partito xenofobo e anti immigrazione Vox ha sfruttato il sentimento anticatalano e procorrida nella sua campagna per le elezioni politiche e nel 2019 è diventato il terzo partito spagnolo. Morante de la Puebla accompagna spesso il leader del partito Santiago Abascal in campagna elettorale.
Ma questo legame è molto più vantaggioso per Vox che non per i toreri, in particolare nelle aree rurali dove il partito di Abascal ha ottenuto il consenso degli elettori pro corrida e a favore della caccia. L’estrema destra ha difeso la professione, ma l’ha anche trasformata in un obiettivo più alto. Un numero sempre maggiore di cittadini progressisti nutre un’antipatia viscerale per la corrida, vista come l’ultimo bastione di reazionari per i quali non c’è posto in una democrazia europea del ventunesimo secolo.
Nelle guerre culturali della Spagna contemporanea, la lobby anti corrida spesso tende a bollare troppo in fretta gli aficionados come reperti del regime franchista con il sigaro in bocca. I difensori della fiesta nacional, dal canto loro, precludono qualsiasi dibattito sul futuro della corrida liquidando tutte le potenziali critiche come censure moralistiche. Dunque, è di fatto impossibile discutere in modo serio di un argomento che suscita forti emozioni ed è stato strumentalizzato dai rappresentanti di tutto lo spettro politico.
Se un leader locale vede rosso
A livello locale, i consigli comunali non hanno il potere di emanare un divieto generale, ma possono negare le licenze. Nella città costiera settentrionale di Gijón, la sindaca socialista Ana González ha annunciato che l’arena comunale d’ora in poi sarà usata per concerti dal vivo anziché per le corride. La decisione, stando alle sue dichiarazioni, è arrivata dopo che “è stato superato il limite”: la scorsa estate sono stati uccisi due tori che erano stati chiamati “El nigeriano” ed “El feminista”. La presenza di Morante de la Puebla all’evento aveva fatto pensare a una provocazione deliberata, ma probabilmente si è trattato di una coincidenza. I tori da combattimento ereditano i loro nomi dalle madri, quindi è verosimile che gli appellativi “El nigeriano” ed “El feminista” siano un retaggio delle generazioni precedenti e che non siano stati scelti per l’occasione. Detto questo, in passato si sono verificate delle eccezioni. Nel 1939 il primo toro affrontato dal leggendario Manolete come matador professionista era stato battezzato “El comunista” durante la breve seconda repubblica (1931-36). Dopo la vittoria del generale Franco nella guerra civile (1936-39), quel nome divenne una maledizione ed “El comunista” fu diplomaticamente rinominato “El mirador” (Lo spettatore).
A ogni modo, questo è un esempio di come la lobby della corrida sia diventata una specie di cassa di risonanza. Spesso è difficile capire come venga percepita dall’esterno. Una lettera aperta scritta dal presidente della Fundación del toro de Lidia (un’organizzazione senza fini di lucro nata per promuovere e difendere la corrida) si è trasformata in un regalo per la satira, a causa delle affermazioni secondo cui la chiusura dell’arena di Gijón era in qualche modo paragonabile alla distruzione di manufatti religiosi da parte dei fondamentalisti islamici: “Sia i taliban sia la sindaca di Gijón dimenticano che né i Buddha di Bamiyan né i tori appartengono a loro, ma sono un patrimonio comune dell’umanità”.
Secondo la sindaca González, gli aficionados hanno fatto quello che volevano per troppo tempo, mentre ora è il momento di ascoltare i numerosi cittadini di Gijón che si oppongono alla corrida. Negli ultimi anni, gli animalisti hanno organizzato grandi proteste fuori dall’arena. Durante la pandemia, hanno spostato la questione sul piano morale, rimanendo a casa e accusando il gestore della struttura di attentare alla salute pubblica (oltre che a quella degli animali).
Anche senza tener conto del movimento abolizionista, la corrida è un modello di business in crisi, e dovrà affrontare delle prove eccezionali che renderanno la sua sopravvivenza ancora più difficile con il perdurare della pandemia. Le principali arene spagnole (Bilbao, Madrid, Pamplona, Siviglia, Valencia, Saragozza) sono rimaste in gran parte inattive per due anni. Ma con un pubblico che invecchia e alcune delle misure di distanziamento sociale che probabilmente rimarranno in vigore, il ritorno delle corride richiede un sacrificio ai matador e agli allevatori, che dovranno ridurre in modo significativo i loro compensi per permettere ai gestori delle arene di andare in pari.
I costi fissi rendono difficile organizzare una corrida su piccola scala. I racconti sul declino della popolarità di questo settore sembrano esagerati quando le grandi corride arrivano ad attirare più di diecimila spettatori, ma i contratti per i toreri, fatta eccezione per una manciata di nomi di punta, diminuiscono a mano a mano che le arene provinciali chiudono. Proprio come la pandemia, probabilmente non ci sarà un giorno specifico in cui la corrida finirà, ma sembra improbabile che possa prosperare nella sua forma attuale ancora per molto.
(Traduzione di Davide Musso)
Questo articolo è stato pubblicato da The Conversation.
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