I medici lo definiscono il problema delle cinquemila ore. Se soffrite di una malattia cronica comune, per esempio un disturbo cardiovascolare o il diabete, siete voi i responsabili della vostra salute per le cinquemila ore all’anno in cui non dormite. E a dirla tutta, non sempre prendete le decisioni migliori.
“I cambiamenti necessari per superare una malattia cronica dipendono dal paziente, non dal medico”, sottolinea Stacey Chang, direttore del Design institute for health della Dell medical school di Austin, in Texas. “Affidare il controllo a un dottore a volte è controproducente”.
Per questo, una nuova serie di strumenti digitali sta cercando di coinvolgere il paziente nella cura della sua salute. Sul mercato esistono braccialetti elettronici per controllare il battito cardiaco, i passi o i livelli di glucosio nel sangue, sensori medici per la casa che rilevano dati sul peso o la pressione sanguigna, app che danno informazioni o consigli personalizzati.
C’è un solo problema: è difficile capire cosa funziona davvero.
Nonostante la quantità di prodotti per controllare la salute (dai Fitbit ai sensori cardiaci di telemedicina) e i dati che circolano tra pazienti e medici, ci sono ancora poche informazioni sui benefici effettivi per i pazienti o sui vantaggi economici. Uno dei motivi è che, superato l’entusiasmo iniziale, i pazienti smettono di usarli.
Con il passare del tempo, le persone smettono di usare i dispositivi che ricevono
Un’analisi di cinque app mediche realizzate per l’iPhone, per esempio, dimostra come solo un ottavo dei partecipanti, o forse meno, continui a usarle dopo dieci settimane. Da un’altra ricerca realizzata a Singapore è emerso che circa 200 persone che usavano un braccialetto elettronico per il fitness non abbiano registrato, a distanza di un anno, risultati medici migliori rispetto a un gruppo di controllo simile.
E quando il Cedars-Sinai medical center di Los Angeles ha invitato circa 66mila pazienti registrati sul suo portale a condividere i dati dei loro braccialetti, meno dell’1 per cento l’ha fatto. È quanto emerge da un saggio pubblicato l’anno scorso sulla rivista Plos One.
Le buone abitudini
Kevin Volpp, dell’università della Pennsylvania, non si sorprende più di tanto. “Alcuni studi hanno dimostrato che, con il passare del tempo, le persone smettono di usare i dispositivi che ricevono”, afferma. “Questa è una delle sfide principali se l’obiettivo è migliorare la salute attraverso i dispositivi digitali. Nonostante gli enormi progressi nel campo della tecnologia, c’è ancora molto da fare in quello relativo allo studio dei modi in cui si formano le abitudini”.
Alcuni medici sperano che il divario possa essere colmato insegnando ai pazienti come usare queste nuove tecnologie, mentre altri ritengono che non sia sufficiente. “Non è abbastanza per determinare un cambiamento nei comportamenti”, afferma David Asch, direttore esecutivo del Center for health care innovation della Perelman school of medicine, all’università della Pennsylvania. La maggior parte delle persone a dieta dopo tutto sa quello che non dovrebbe mangiare.
Un esempio è dato da un servizio di “terapeutica digitale” dell’Omada health di San Francisco destinato a persone che rischiano di sviluppare patologie cardiovascolari o il diabete. In uno studio condotto su 1.121 anziani sovrappeso oppure obesi, i partecipanti hanno perso in media il 6,8 per cento di peso corporeo nell’arco di 26 settimane e l’89 per cento di loro ha completato 9 su 16 lezioni fondamentali. Si tratta di risultati ottimi in questo ambito.
“È un programma tecnologico e al tempo stesso dotato di grande umanità”, ha affermato Sean Duffy, direttore di Omada. “Spediamo per posta un kit di benvenuto che contiene una bilancia digitale con una sim card che contiene il nome del paziente. Quando si sale sulla bilancia si sente un bip, e a quel punto i dati sono nel sistema”. Il sistema forma inoltre gruppi di sostegno tra pazienti su base geografica e demografica, e a questi gruppi vengono assegnati degli operatori sanitari. Controllando i dati dei pazienti, gli operatori sanitari possono essere avvisati se qualcuno comincia a fare passi indietro.
In uno studio, i partecipanti ricevevano un dollaro e quaranta per ogni giorno in cui compivano settemila passi
Un’altra app, sviluppata dai ricercatori del Johns Hopkins Bayview medical center di Baltimora, si occupa dell’assistenza ai pazienti dopo un infarto.
Di solito gli ospedali riempiono i pazienti con pile di scartoffie che contengono istruzioni per le dimissioni poco prima di accompagnarli in sedia a rotelle alla loro automobile, “quando i pazienti non prestano attenzione a ciò che gli diamo”, dice Françoise Marvel, del Bayview. Questa mancanza di comunicazione può aumentare la confusione delle persone su come prendersi cura di sé nei giorni successivi alle dimissioni, che sono importantissimi. Ecco perché circa un quinto dei pazienti che hanno avuto un attacco di cuore torna in ospedale entro il primo mese dall’uscita.
L’app Corrie del Johns Hopkins affronta il problema con video educativi, informazioni sui farmaci, un monitoraggio degli appuntamenti medici e altre importanti forme di aiuto in un’app facile da usare. Marvel afferma che i primi risultati di uno studio clinico condotto su cinquanta pazienti sono promettenti: nessuno è tornato in ospedale nel primo mese dopo l’infarto.
Anche i familiari possono seguire l’andamento grazie a un’altra app Corrie. “Se una persona viene a sapere che suo padre non prende il farmaco per la pressione tutti i giorni”, sottolinea Marvel, “interverrà con un’insistenza con cui nessuna telefonata da parte di un medico o di un’infermiera potrà mai competere”.
Tuttavia, nonostante l’entusiasmo per queste tecnologie, a causa della mancanza di test indipendenti effettuati nel mondo reale è difficile dire con certezza cosa funzioni e cosa invece no. Una cosa però è chiara secondo i ricercatori: non si può dare per scontato che il paziente accetti i dispositivi tecnologici per curarsi e monitorarsi da solo.
Medici e pazienti
Ogni paziente ha bisogno di trovare modalità per motivarsi che abbiano un senso, per esempio immaginandosi a giocare attivamente con i suoi nipotini, continua Chang. Un operatore sanitario professionista e in carne e ossa può aiutarlo a costruire questa struttura motivazionale, ma per un’app la sfida è maggiore.
Secondo Volpp, le ricerche condotte nell’ambito dell’economia comportamentale possono contribuire a ottimizzare gli incentivi più concreti a favore di abitudini salutari offerti dai datori di lavoro o dalle assicurazioni sanitarie. In uno studio clinico i cui risultati sono stati pubblicati dalla rivista Annals of internal medicine, per esempio, i partecipanti ricevevano un dollaro e quaranta per ogni giorno in cui compivano settemila passi oppure un conto corrente virtuale con 42 dollari (l’equivalente di 30 giorni di quello stesso pagamento) dal quale veniva sottratto un dollaro e quaranta ogni giorno in cui non compivano settemila passi. Il secondo metodo ha funzionato meglio del primo.
In generale, più capiamo come utilizzare le tecnologie sanitarie digitali, più aumenta l’importanza del coinvolgimento attivo del paziente. “Secondo il modello convenzionale, possiamo usare la tecnologia per avvicinare i pazienti ai medici”, afferma Asch. “Io credo che questo sia sbagliato. Abbiamo carenza di medici, e i medici sono uno dei modi più costosi per fornire assistenza sanitaria”.
“Una soluzione migliore e più sostenibile”, aggiunge, “è imparare come dipendere meno dal medico e avere comunque dei buoni risultati”.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
Questo articolo è stato pubblicato da The Atlantic.
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