“Ma quali eroi? Abbiamo fatto solo il nostro lavoro con senso di responsabilità”. Paola lavora da vent’anni in un ipermercato della catena francese Carrefour e si infiamma quando pensa al modo in cui è stata rappresentata la sua categoria durante le settimane di quarantena. “E poi”, aggiunge con un pizzico di sarcasmo, “avete mai visto un eroe messo in cassa integrazione?”.
Incastonato all’interno di un grande centro commerciale nel cuore della Brianza, a due passi dalla superstrada Milano-Meda, il punto vendita è uno di quei megastore in cui si trova di tutto, dal cibo agli elettrodomestici, dagli accessori di elettronica all’abbigliamento. Ma nelle ultime settimane, per rispettare le disposizioni del governo, l’accesso ai clienti è stato consentito solo per gli acquisti alimentari. Così l’ipermercato ha continuato a funzionare a metà, con alcuni reparti chiusi, le vendite ridotte, gli ingressi contingentati. E i lavoratori a svolgere quel servizio essenziale durante il lockdown.
La storia di Paola è quella di tanti commessi, cassieri, scaffalisti, addetti alle vendite: un esercito di lavoratrici e lavoratori che hanno assicurato l’approvvigionamento alimentare durante questi mesi di crisi sanitaria, garantendo che gli scaffali dei supermercati fossero pieni e che tutto funzionasse correttamente.
Tutti in cassa integrazione
“I clienti hanno vissuto sicuramente dei disagi. Sono stati costretti a fare file interminabili. Ma noi abbiamo cercato di fare del nostro meglio, nonostante tutto”, dice Paola con una certa amarezza. Perché dietro quel “nonostante tutto” c’è la storia di un supermercato che dopo tutti gli sforzi che hanno fatto, dopo i rischi che si sono assunti personalmente, sta per mandare in cassa integrazione i suoi trecento dipendenti.
Il 21 aprile scorso i lavoratori, insieme ai colleghi di altri 25 ipermercati, hanno appreso che l’azienda aveva avviato le pratiche per la cassa integrazione in deroga, una delle misure previste dal governo in risposta alla situazione di emergenza economica legata al covid-19. Una procedura che riguarderebbe un totale di 4.472 dipendenti tra i punti vendita di Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio e Sardegna.
“All’inizio l’azienda ci aveva sollecitato a prendere le ferie, garantendoci in questo modo di non metterci in cassa integrazione. E così abbiamo fatto”, racconta Paola. Salvo scoprire a posteriori che la promessa non sarebbe stata mantenuta. Quando i rappresentanti sindacali hanno chiesto spiegazioni, l’azienda si è giustificata mostrando un calo delle vendite arrivato a picchi del 30 per cento.
L’azienda sta approfittando della crisi sanitaria per scaricare sulle casse dello stato i costi di errori aziendali
“Gli ipermercati sono i grandi sconfitti di questa crisi”, spiega Romolo De Camillis, direttore area retail della Nielsen, l’azienda che rileva gli andamenti dei consumi. Situati spesso nella cintura periferica dei comuni, questi punti vendita di grandi dimensioni sono stati penalizzati dalle restrizioni ai movimenti decretate dal governo, oltre che dall’essere parte di centri commerciali dove gli altri negozi di beni non essenziali erano chiusi. Risultato: sono stati disertati anche dai loro clienti abituali.
“Abbiamo registrato un -13 per cento complessivo di vendite per le superfici sopra i 4.500 metri quadrati durante il periodo di lockdown”, dice sempre De Camillis. Ma al calo degli ipermercati è corrisposto un aumento rilevante di incassi da parte di tutti gli altri negozi, a partire dai piccoli supermercati di quartiere. “Le piccole superfici hanno avuto aumenti medi del 26 per cento rispetto all’anno precedente, beneficiando del fatto che bar, ristoranti e tutta l’area del consumo fuori casa era chiusa”, conclude il direttore della Nielsen. “Si tratta di performance di vendita che non ho mai visto in più di vent’anni di attività”.
La domanda è quindi: perché le insegne della grande distribuzione organizzata, che hanno fatto incassi favolosi nei formati più piccoli e in quelli di prossimità, hanno deciso di ricorrere alla cassa integrazione per quei punti vendita meno performanti? Non sarebbe stato più opportuno coprire le perdite con i guadagni straordinari degli altri negozi? “Ancora una volta c’è il rischio che si facciano pagare i costi di una crisi aziendale ai lavoratori e alle finanze pubbliche”, dichiara Fabrizio Russo, segretario nazionale della Filcams Cgil, il sindacato che rappresenta i lavoratori del commercio. “Tra l’altro”, aggiunge, “il calo di fatturato non è neanche del tutto imputabile al virus perché le perdite della multinazionale francese sono una costante degli ultimi tempi”.
Gli ipermercati erano effettivamente in crisi ancora prima dell’emergenza sanitaria legata al nuovo coronavirus: gli elevati costi di gestione e il cambiamento delle abitudini di consumo avevano già fatto registrare andamenti negativi nei fatturati di questi grandissimi punti vendita. Lo dimostra il fatto che a fine febbraio, nei giorni immediatamente precedenti alla chiusura totale, la stessa Carrefour aveva concluso una procedura di mobilità per oltre 400 lavoratori degli ipermercati e 150 della sede centrale, considerati in esubero. “Da questo punto di vista ci pare che l’azienda francese stia approfittando della crisi dovuta al covid-19 per scaricare almeno in parte sulle casse dello stato i costi di errori aziendali”, sottolinea ancora Russo. Interpellata per questa inchiesta, la Carrefour non ha fornito risposta.
Un’operazione temeraria
Che il formato iper sia in sofferenza lo sa bene anche quello che da un anno è diventato il primo gruppo italiano del settore. Era il 14 maggio 2019 quando il mondo della grande distribuzione organizzata italiana veniva sconvolto dalla notizia della più imponente acquisizione di sempre: Conad aveva deciso di inglobare sotto le proprie insegne i punti vendita Auchan, una fitta rete di supermercati sparsi sul territorio con un giro d’affari di circa 4 miliardi di euro. Un’operazione decisamente temeraria, se si tiene conto che il gruppo francese non ha mai brillato nel mercato italiano, accumulando perdite colossali anno dopo anno. Alla fine dell’acquisizione, il 31 luglio 2019, l’amministratore delegato di Conad Francesco Pugliese dichiarava: “Ora possiamo cominciare a lavorare alla valorizzazione dei punti vendita della rete ex Auchan. Un patrimonio che abbiamo riportato nelle mani di imprenditori italiani, che sta attraversando un periodo di difficoltà che supereremo lavorando insieme”.
La delicata operazione di rilancio prevedeva, tra le altre cose, una rimodulazione delle superfici degli ipermercati, con una riduzione complessiva da 248mila a 138mila metri quadrati, come annunciato da Pugliese in una conferenza stampa nel dicembre 2019. Una riduzione motivata dalla scarsa redditività di queste grandi superfici, che imponeva anche una ricollocazione delle persone che ci lavoravano.
Fin dall’inizio il problema degli esuberi sembra essere il tallone d’Achille dell’operazione. Perché oltre alle mura, ai prodotti e al marchio, in ballo c’è il destino di un esercito di 16mila lavoratori, evidentemente sovradimensionato rispetto alle performance del gruppo.
Dopo una prima stima di seimila persone, Pugliese rassicurava nella stessa conferenza stampa di dicembre che “con lo sforzo di tutti e se i sindacati si siedono al tavolo, riusciamo a ridurre gli esuberi della metà, a circa tremila persone”.
Non saremo eroi, ma sicuramente continueremo a combattere per i nostri diritti
Ma evidentemente qualcosa non deve aver funzionato perché solo due mesi dopo è arrivata la doccia fredda: il 13 febbraio 2020 l’azienda chiede la cassa integrazione a rotazione per i quasi novemila dipendenti dell’ormai ex gruppo Auchan. Nell’occasione, Conad precisa che il ricorso alla cassa serve a “supportare gli interventi di ristrutturazione e risanamento di alcuni punti vendita” e che “tutti gli interventi sulla rete commerciale ex-Auchan sono – e saranno – accompagnati da misure di ‘salvaguardia del lavoro’”.
Fin qui il mondo prima del covid-19. Da lì a pochi giorni tutto cambia. Nella vita di tutti irrompe la pandemia. Il paese si ferma, i cittadini sono obbligati a restare a casa mentre i supermercati continuano a garantire il cibo offrendo un servizio essenziale per buona parte della popolazione ma, allo stesso tempo, aumentando i volumi d’affari in modo considerevole.
In questo frangente Conad segue l’esempio di Carrefour: decide di ricorrere alla carta della cassa integrazione in deroga per covid-19. Lo fa per quasi duemila lavoratori, parte dei quali degli ipermercati, i restanti degli uffici e perfino di alcuni negozi di prossimità di Roma, Milano, Pesaro e Verona.
È proprio a causa di questi ultimi che il sindacato si insospettisce, rispedendo al mittente la richiesta di cassa. “Abbiamo chiesto comprovate motivazioni per cui è necessario mettere in cassa integrazione lavoratori di strutture che hanno lavorato tanto in questo periodo, sobbarcandosi sacrifici enormi e facendo aumentare il fatturato alle aziende”, dice Alessio Di Labio, segretario nazionale della Filcams Cgil che ha partecipato alla trattativa.
Il sospetto è lo stesso avanzato dai sindacati per il caso Carrefour: che Conad abbia voluto approfittare della pandemia per scaricare sulle casse dello stato e sui lavoratori spese di ristrutturazione aziendali. Che cioè “la richiesta di cassa per covid-19 fosse in realtà una misura per far fronte a una situazione pregressa”, denuncia Di Labio. Anche perché, aggiunge, “per i 700 lavoratori delle sedi, la cassa integrazione era già stata chiesta, ma non ancora approvata, prima che la malattia piombasse nelle nostre vite”. Interpellati a più riprese, i dirigenti di Conad non hanno ritenuto opportuno rispondere.
In uno scenario di probabile contrazione dei consumi nel futuro prossimo, è difficile fare previsioni su quello che succederà al comparto della grande distribuzione organizzata. Probabilmente i fasti di queste settimane saranno una parentesi e si tornerà a un generale contesto di stagnazione. Non è escluso che alla fine saranno i lavoratori a pagare il prezzo di una crisi che inevitabilmente coinvolgerà anche il settore del commercio.
Paola, la lavoratrice dell’ipermercato Carrefour, non nasconde la sua preoccupazione. Da madre separata con un figlio adolescente, sa bene che le spese sono tante e che la cassa integrazione peserà sul bilancio familiare. “Nei giorni in cui lavoravamo durante la pandemia quello che mi preoccupava di più era abbracciare mio figlio quando tornavo a casa, perché avevo paura di contagiarlo”. Ora, alla paura dell’abbraccio, si somma la preoccupazione per un futuro incerto, in cui non sa se manterrà il lavoro che ha fatto per vent’anni. Di una cosa sola è certa e la ripete con fermezza: “Non saremo eroi come ci hanno dipinto, ma sicuramente continueremo a combattere per i nostri diritti”.
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