Gli indizi sulle violenze sessuali commesse da Hamas il 7 ottobre sono emersi con la diffusione sui social network delle immagini raccolte nei kibbutz attaccati e al festival musicale Nova, e dei video girati dagli stessi miliziani. Si vedono donne nude, sanguinanti, e cadaveri con segni evidenti di abusi. Poi hanno cominciato a circolare i racconti dei sopravvissuti, di chi ha recuperato i corpi, del personale degli obitori, e le fotografie scattate dai soccorritori nei luoghi degli attacchi.
Una delle prime indagini approfondite è stata condotta dall’ong Physicians for human rights Israel, la cui missione è combattere la discriminazione medica e migliorare l’accesso all’assistenza sanitaria nella Striscia di Gaza, in Cisgiordania e in Israele. In un documento pubblicato a novembre, l’organizzazione ha chiesto un’indagine contro la “diffusa” violenza sessuale riscontrata “in diversi luoghi”, che potrebbe rappresentare un “crimine contro l’umanità”.
Varie organizzazioni israeliane create all’indomani del 7 ottobre hanno cominciato a cercare prove e all’inizio di dicembre la polizia israeliana ha detto di aver raccolto “più di 1.500 testimonianze sconvolgenti e dure” e più di 60mila “documenti visivi” tra cui immagini delle telecamere go-pro indossate dai miliziani, quelle delle telecamere di sorveglianza e altre girate dai droni. La Bbc e altri mezzi d’informazione ne hanno confermate alcune nelle loro inchieste. “Sembra proprio che Hamas abbia imparato a usare il corpo delle donne come un’arma dal gruppo Stato islamico in Iraq e da quello che è successo in Bosnia”, ha detto alla Bbc Cochav Elkayam-Levy, esperta legale del Davis institute of international relations all’università ebraica di Gerusalemme.
In una conferenza sulla violenza sessuale e di genere organizzata dalle Nazioni Unite a New York il 4 dicembre, Israele ha parlato di abusi sessuali sistematici compiuti dai miliziani di Hamas sulle donne durante gli attacchi del 7 ottobre nel sud d’Israele, che hanno ucciso 1.200 persone. Le prove presentate erano “ampie e schiaccianti e provenivano da diverse fonti”, spiega la Cnn. Yael Richert, commissaria della polizia israeliana, ha condiviso le informazioni raccolte durante le indagini e ha citato le testimonianze di varie persone che hanno assistito direttamente a stupri e violenze sessuali o ne hanno visti chiari segni sulle vittime. Shari Mendes, una riservista dell’esercito che ha esaminato i corpi delle soldate uccise negli attacchi, ha confermato che molti erano stati brutalizzati, soprattutto nelle parti intime. Anche il parlamento israeliano ha organizzato una sessione in cui sono state presentate prove di violenze sessuali, mutilazioni e abusi commessi da Hamas. Il gruppo palestinese ha negato ogni accusa.
L’ambasciatore israeliano Gilad Ardan ha accusato l’Onu di ipocrisia per essere rimasto in silenzio di fronte alle prove e alle testimonianze emerse sui “crimini sessuali” commessi da Hamas contro donne e ragazze. In seguito l’Onu ha fatto varie dichiarazioni condannando pubblicamente qualunque violenza sessuale che possa essere stata commessa e chiedendo che sia fatta chiarezza, ma il governo israeliano ha considerato la reazione “tardiva e insufficiente”. Il 6 dicembre l’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani, Volker Türk, ha detto di aver chiesto a Israele di consentire a una sua squadra di condurre un’indagine sull’accaduto.
Ma gli ostacoli sono molti. Il primo è che le vittime delle violenze sono in gran parte morte e le poche sopravvissute, “qualche decina”, ha detto alla Reuters Orit Soliciani, che dirige la Israel’s association of rape crisis centres, sono traumatizzate. Il quotidiano francese Le Monde sintetizza così i problemi: “L’ampiezza dell’attacco del 7 ottobre, i combattimenti che sono seguiti, la raccolta frettolosa dei corpi e la loro inumazione non hanno permesso una documentazione appropriata dell’insieme delle violenze commesse da Hamas. Le analisi medico-legali non hanno potuto essere effettuate a causa dell’urgenza o dello stato dei cadaveri, che in tanti casi sono stati bruciati”. La tradizione ebraica prevede che il cadavere sia sepolto il prima possibile così com’è, quindi molte donne sono state seppellite con i vestiti che avevano quando sono state uccise, senza esami che potessero individuare le tracce delle violenze.
Un approfondimento di Haaretz conferma alcuni dettagli: “Una grande complicazione è il fatto che in molte scene del crimine si sono combattute battaglie prolungate, alcune durate due giorni. Alla fine la preoccupazione principale delle autorità era il recupero dei corpi. Quindi non è stata realizzata una raccolta organizzata delle prove”. I campioni necessari alle indagini sulle violenze sessuali devono essere raccolti entro 48 ore, ma lo stato dei cadaveri rendeva difficile perfino il loro riconoscimento, quindi questo tipo di esame non è stato metodico. Anche perché, spiega ancora Haaretz, non c’era il personale adatto: “In Israele ci sono solo sette patologi forensi, e tutti lavorano all’Abu Kabir institute of forensic medicine di Tel Aviv”. Nei giorni successivi ai massacri cinque di loro sono stati trasferiti alla base militare Shura, vicino a Ramle, diventata un centro per l’identificazione delle vittime, ma non sono riusciti a condurre analisi approfondite sulle centinaia di cadaveri che continuavano ad arrivare.
L’agenzia di stampa Reuters sottolinea che la Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aja, istituita per perseguire i responsabili di crimini di guerra, ha detto di avere giurisdizione sulle atrocità commesse dai miliziani di Hamas in Israele e di avere già raccolto un “volume significativo di informazioni e prove”. Gli avvocati israeliani hanno fatto notare che il tribunale ha dei requisiti probatori sulla violenza sessuale meno complessi di quelli richiesti da Israele, per esempio non serve la testimonianza della vittima. Ma per lo stato israeliano, la Corte è problematica, prosegue la Reuters: “Israele non riconosce la sua giurisdizione, anche se gli individui e lo stesso stato possono presentare prove”.
Se le inchieste dimostrassero che il movimento palestinese ha ordinato e pianificato le violenze sessuali, si creerebbe un precedente per Hamas, che non ha mai usato queste pratiche nel suo repertorio di azioni, ha confermato a Le Monde Laetitia Bucaille, che insegna sociologia all’Institut national des langues et civilisations orientales di Parigi: “Se questo cambio nella modalità di azione è avvenuto, si tratterebbe di una volontà di punire e di umiliare”. In questo caso Hamas potrebbe essere accusata di crimini contro l’umanità e anche di genocidio, se fosse dimostrato che le violenze sono state commesse contro le persone a causa della loro appartenenza a un gruppo, con l’intenzione di eliminarlo in parte o del tutto.
Questo testo è tratto dalla newsletter Mediorientale.
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