Dal 14 marzo almeno tredici paesi dell’Africa occidentale, dalla Liberia al Burkina Faso, hanno avuto gravi difficoltà nei collegamenti a internet a causa del danneggiamento di quattro cavi in fibra ottica sottomarini. In quei giorni molti siti non erano accessibili e i servizi bancari hanno subìto interruzioni. Anche se in alcuni casi la situazione è migliorata con il passare del tempo, per riparare il guasto, individuato al largo di Abidjan, in Costa d’Avorio, ci vorranno settimane.

L’incidente ha spinto molti a riflettere sulla centralità di questi cavi per assicurare il funzionamento di internet, da cui ormai dipendono molte economie, comprese quelle africane. Il sito nigeriano The Cable riporta i dati dell’azienda Telegeography, specializzata in ricerche di mercato sulle telecomunicazioni, secondo la quale in tutto il mondo sarebbero stati posati 1,4 milioni di chilometri di cavi. Ma “per l’Africa passa appena il 5 per cento di queste linee”, nota l’imprenditore sociale ghaneano Bright Simons, intervistato da Semafor, cosa che rende l’“economia digitale” africana ancora molto fragile.

Sono ormai una ventina le linee in fibra ottica, di varie lunghezze, che circondano il continente, con alcuni paesi meglio serviti di altri (per esempio, il Sudafrica ne ha nove). In genere i cavi sono posati sul fondo oceanico, ma quando arrivano più vicino alla costa sono interrati per migliore protezione. Da lì sbucano all’asciutto in stazioni di terra, dove si connettono all’infrastruttura terrestre.

Per i satelliti passa appena l’1 per cento del traffico di dati globale, spiega la studiosa sudafricana Jess Auerbach Jahajeeah, dell’università di Città del Capo in un articolo su The Conversation. “E anche quando entrano in gioco servizi come Starlink, sono ancora molto più lenti e costosi delle connessioni con i cavi sottomarini”.

Quando c’è un guasto a questi cavi la rete ne risente per alcune ore, poi il traffico viene deviato su altre linee. Ma non è detto che ce ne siano di disponibili, che ci siano delle derivazioni a unirle e che le aziende fornitrici dei servizi abbiano degli accordi che lo permettono. Secondo Auerbach Jahajeeah, alcuni paesi come la Liberia e la Sierra Leone possono contare su un solo cavo in fibra ottica, e, quando si rompe, si ferma tutto.

In ogni caso ci sono equipaggi specializzati pronti a intervenire. Auerbach Jahajeeah ha raccontato su The Continent la sua esperienza a bordo della nave Leon Thévenin, che fa parte di una flotta di sei imbarcazioni specializzate nella riparazione dei cavi, gestite dalla compagnia francese Orange Marine. La Leon Thévenin deve il nome a un ingegnere francese dei telegrafi e solca i mari da quarant’anni. Oggi è di base a Città del Capo, in Sudafrica, e ha un equipaggio formato da 60 marinai che hanno ricevuto un addestramento speciale in un istituto francese. Il cavo danneggiato, spesso delle dimensioni di un tubo per l’irrigazione, viene recuperato dal fondo marino, anche a chilometri di profondità. Una volta portato sulla nave, viene tagliato e analizzato dai tecnici per comprendere il problema. Seguono meticolose riparazioni, svariati test e il cavo torna a essere immerso con cautela. Nel 2023 la Leon Thévenin ha condotto nove interventi, contro una media di tre o quattro all’anno. Un indice dell’espansione della rete che si estende in fondo ai mari.

Un dettaglio curioso, fa notare la studiosa, è che un cavo posato nel 2012 ripercorre quasi precisamente la rotta transatlantica del commercio degli schiavi, mentre molti altri sono stati posati lungo le stesse linee in rame del servizio telegrafico che collegava tutto l’impero britannico.

Questo testo è tratto dalla newsletter Africana.

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