In pochi luoghi della Terra la minaccia del cambiamento climatico è così esistenziale e immediata come negli stati insulari dell’oceano Pacifico e di quello Indiano.

La maggior parte di questi arcipelaghi è formata da atolli corallini che si elevano per pochi metri al di sopra della superficie del mare, e l’innalzamento del livello delle acque dovuto allo scioglimento dei ghiacci e all’espansione termica potrebbe sommergerli completamente o renderli inabitabili nel giro di pochi decenni.

Non c’è da stupirsi, quindi, che questi stati siano in prima linea nella diplomazia climatica, formando una coalizione che a ogni conferenza delle Nazioni Unite chiede misure più ambiziose per ridurre le emissioni di gas serra, e che siano tra i più attivi negli sforzi di adattamento.

Alcuni, come le Maldive, stanno investendo in enormi progetti di recupero di terra per espandere e consolidare le isole, altri si stanno organizzando per spostare altrove la loro popolazione. A maggio Tuvalu ha firmato un accordo con l’Australia, che si è impegnata a offrire asilo climatico a tutti i suoi 11mila abitanti a un ritmo di 280 all’anno.

Ma il loro futuro potrebbe essere meno nero di quanto si pensi, scrive il New York Times. Nel 2010 due ricercatori australiani pubblicarono uno studio sull’evoluzione di 27 isole del Pacifico, basato sul confronto tra le foto aeree scattate a metà del novecento e le immagini satellitari più recenti. La loro conclusione era sorprendente: nonostante in quel periodo il livello del mare fosse salito in media di due millimetri all’anno, la maggior parte delle isole non stava affatto scomparendo.

I risultati dello studio fecero scalpore, e negli anni successivi altri ricercatori hanno cercato di replicarli confrontando le immagini di un migliaio di isole, scoprendo che alcune erano effettivamente rimpicciolite, ma altre erano rimaste stabili e alcune si erano addirittura espanse. Inoltre nelle regioni dove l’innalzamento del livello del mare era stato maggiore l’erosione non era stata più intensa che altrove.

Recentemente uno degli autori dello studio originario ha guidato un’analisi più approfondita su un atollo delle Maldive, scoprendo che per millenni le isole hanno continuato ad adattarsi ai cambiamenti del livello del mare grazie al deposito di sedimenti provenienti dalle barriere coralline che le circondano. A seconda delle condizioni locali, questo processo può tenere il passo dell’innalzamento delle acque o addirittura superarlo.

Questo non significa che gli stati insulari non hanno niente da temere. Gli atolli sono minacciati anche da altri effetti del cambiamento climatico, come l’intensificazione degli uragani e delle tempeste. Lo sbiancamento dovuto al riscaldamento delle acque può uccidere i coralli, che sono la principale fonte di nuovi sedimenti. Inoltre resta da vedere se l’equilibrio tra erosione e deposito resisterà all’accelerazione dell’innalzamento del livello dei mari che tutti gli studi più recenti sullo stato dei ghiacciai prevedono.

Ma questa scoperta, oltre a offrire un barlume di speranza agli abitanti degli stati insulari, dovrebbe spingere i loro governi a riconsiderare alcune delle loro strategie. Secondo gli autori, infatti, interferire con i processi naturali creando barriere artificiali o sottraendo terra al mare può alterare le correnti e interrompere il deposito di sedimenti. La cosa migliore, come in molti altri casi, potrebbe essere abituarsi a convivere con il cambiamento, adattandosi allo spostamento delle coste e imparando a prevederlo.

Questo testo è tratto dalla newsletter Pianeta.

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