Molfetta, 18 gennaio 2024. - Davide Pischettola, NurPhoto/Getty Images
Molfetta, 18 gennaio 2024. (Davide Pischettola, NurPhoto/Getty Images)

I danni prodotti dalla pesca a strascico in Europa superano di gran lunga i suoi effetti positivi, afferma un nuovo studio in attesa di revisione.

Un gruppo di ricercatori ha esaminato l’attività dei pescherecci a strascico nelle acque dell’Unione europea, del Regno Unito, della Norvegia e dell’Islanda tra il 2016 e il 2021, confrontando per la prima volta costi e benefici economici complessivi.

Il risultato è una perdita netta, dovuta soprattutto al rilascio di gas serra dai sedimenti dei fondali marini disturbati dal contatto con le reti trascinate dai pescherecci.

A seconda di come si calcola il costo di una tonnellata di anidride carbonica equivalente, il saldo negativo può variare tra i 330 milioni e i 10,8 miliardi di euro all’anno.

Le emissioni di gas serra non sono l’unico danno ambientale prodotto da questa tecnica. Le enormi reti a strascico, ampie anche centinaia di metri, possono compromettere seriamente l’ecosistema dei fondali e catturano indiscriminatamente una grande varietà di specie, molte delle quali non hanno valore economico.

Sussidi dannosi

Eppure il 13 per cento della pesca a strascico in Europa avviene all’interno delle aree marine protette, vanificando gran parte dei loro benefici.

Gli effetti negativi dello strascico danneggiano altri tipi di pesca più selettive e sostenibili, che potrebbero produrre benefici equivalenti in termini di reddito, occupazione e sicurezza alimentare.

Inoltre, in molti casi la pesca a strascico è redditizia solo grazie ai sussidi dei governi, che in Europa ammontano a circa 1,3 miliardi di euro all’anno. L’Italia è tra i paesi europei che offrono le sovvenzioni più generose.

Secondo i ricercatori vietare la pesca a strascico nelle aree protette senza trasferire altrove quella quota di attività sarebbe sufficiente a ridurre in modo significativo gli effetti negativi.

Usare una parte dei sussidi dannosi basterebbe a finanziare la transizione verso tecniche più sostenibili senza alcun costo per i contribuenti europei.

Questo testo è tratto dalla newsletter Pianeta

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