Viste dall’alto della cabina di un camion, le auto sembrano spesso schegge impazzite. “Se sapessero quanti metri ci vogliono per fermare un mezzo pesante”, scuote la testa Ariano Merlo, autotrasportatore genovese che da trent’anni attraversa mezza Europa, mentre una moto forza un sorpasso a destra, e poi fila via, fino a diventare un puntino rosso che si perde nel buio.
È soprattutto di notte che in autostrada ogni cosa sembra diversa. Quando “i coni di luce proiettati dai fari fanno sprofondare nell’indistinto il profilo dei luoghi”, come scriveva nel 1967 Italo Calvino nel racconto Il viaggiatore notturno, e allora dal buio emerge solo ciò che è essenziale: “Strisce bianche sull’asfalto, luci gialle dei fari e puntini rossi”. E poi, certo, anche tantissimi cristi, madonne e padre Pio dipinti sui teloni, o singolari coreografie sui musi dei camion realizzate con tubi d’acciaio e luci d’ogni colore.
Pensata a misura del mezzo meccanico e non degli esseri umani, l’autostrada è capace di sbigottire chi la percorre, soprattutto di notte, con il suo tempo quasi del tutto vuoto. È quello infatti il tempo dei trasporti eccezionali, chiusure ed emergenze. E di chi va per strada perché deve, perché non può evitarlo, o solo per fuggire da se stesso e scivola via senza dare confidenza. E poi la notte in strada è anche il tempo dell’amore. Perfino di quello che dura una vita. “Mio marito l’ho conosciuto così, di notte”, mi racconta vicino a Rovigo Laura Broglio, camionista veneta piuttosto conosciuta per i suoi racconti sul mondo dei camion, prima online, poi anche su riviste di settore.
“Quella sera”, ricorda, “ero in rampa di carico e un magazziniere mi disse che l’autista del mezzo accanto al mio era delle mie parti. Così abbiamo cominciato a chiacchierare. Poi siamo partiti e abbiamo fatto un po’ di strada insieme, ognuno sul suo camion, parlando con i baracchini”, cioè gli apparecchi ricetrasmittenti con cui gli autisti si tengono in contatto tra loro. “Ed è finita che ci siamo sposati”.
Un tempo speciale
Oggi la notte Broglio lavora meno di un tempo, quando trasportava soprattutto ortofrutta. Ma la racconta ancora come un tempo speciale, durante il quale ogni cosa sembra diversa, e perfino le strade “con il buio non sembrano le stesse di quelle che hai percorso di giorno”.
“Quando facevo i mercati”, racconta, “avevo la sensazione di appartenere a un mondo che nessun altro vede davvero. E poi non c’è traffico, tutto è molto più tranquillo”. Forse anche troppo. La notte, infatti, per i camionisti che la trascorrono al volante è spesso anche il tempo della solitudine.
Una volta a tenere compagnia c’era il secondo in cabina. E poi, dice Merlo, “forse si guardava di meno ai tempi di guida e riposo, e con i colleghi ti davi appuntamento da qualche parte per mangiare o per un saluto. Ma ora no, non si può più, devi calcolare i tempi al minuto, devi essere un ragioniere”. Le regole sui tempi di guida e di riposo sono più rigide. E, fa notare Broglio, anche “quelli dettati dalle aziende sono più serrati di una volta, tanto che quasi non si riesce a fare la pausa per cenare nei famosi ristoranti per camionisti”.
E poi c’erano i baracchini, appunto, ora decisamente in declino. “Ognuno aveva un nome di battaglia”, ricorda Andrea Ferreri, direttore della rivista Professione camionista, “e c’erano personaggi molto famosi. I social network hanno sostituito tutto”.
“Io il baracchino me lo tengo stretto”, dice però Bruno Squeri, camionista da più di trent’anni, per tradizione familiare ma soprattutto perché spinto dalla passione “per il viaggio e l’avventura”. “Una volta serviva per chiacchierare”, spiega, “ma anche per avere informazioni su viabilità e sicurezza da chi era sul territorio. Oggi il navigatore ti porta fino al cancello del cliente. È molto utile. Ma non ci puoi parlare”. E allora resta solo la musica. Che, dice Squeri, “trasmette emozioni e ci aiuta a restare svegli durante la notte”. Può anche salvare “da vortici di pensieri che quando si è soli, con gli occhi fissi sulla strada, possono arrivare al limite dell’ossessione”, aggiunge Ferreri. Anche perché per i camionisti la notte comincia presto, quando per gli altri è ancora giorno, e loro invece devono trovare un posto per dormire, che è quasi sempre la strada.
Quando le nove ore di guida al giorno sono finite, infatti, ci si deve fermare per forza. E, visto che in Italia mancano servizi e aree attrezzate, lo si fa un po’ dove capita: il parcheggio di un ristorante, un’area industriale, meglio se vicino a una telecamera che scoraggi i furti. Ma spesso si resta in autostrada. Ed è per questo che le aree di servizio si trasformano in moderni caravanserragli, che rinascono ogni notte per sciogliersi puntualmente con l’arrivo dell’alba. Su quello che accadrebbe con il favore del buio c’è tutto un fiorire di leggende, come quella su “parcheggi trasformati in ‘colline del piacere’ con disinvolti passaggi da una cabina all’altra”, scriveva Enrico Menduni in L’autostrada del Sole (Il Mulino 1999). Ma la realtà è che in quei parcheggi non accade granché e le notti sono decisamente più noiose di quanto si racconti.
Comunque sia, a questi villaggi effimeri ci sono poche alternative. “In Germania o in Francia”, dice Squeri, “ci sono molti parcheggi attrezzati, sicuri e che consentono di pianificare il viaggio e lavorare in sicurezza”. E lo stesso racconta Merlo, anche lui abituato a viaggiare all’estero. Quello che in Italia, secondo molti camionisti, ricorda più da vicino il livello delle aree che si trovano in altri paesi, è il Truck park Brescia est sulla A4, proprio accanto al casello autostradale.

All’interno c’è il parcheggio, chiuso e protetto dalle telecamere. Una zona con lavaggio, gommista e officina. E poi quella con bar, ristorante, docce e un albergo. C’è anche un negozio di ricambi, che offre qualsiasi cosa possa servire per personalizzare il proprio camion: tubi cromati, fari e luci di ogni forma e colore, che di notte fanno sembrare i camion delle astronavi.
Ovunque ci si fermi, la scomodità del dormire per strada oggi è almeno in parte compensata dal fatto che le cabine di guida sono diventate più confortevoli. Ci può essere un frigorifero, per esempio. E, dietro i sedili, una cuccetta che tutto sommato non fa rimpiangere un letto.
Sono finiti i tempi eroici di quando durante alcune manovre servivano due persone per girare il volante. O quelli di certe notti avventurose a sferragliare per salite e tornanti. “Nel dopoguerra”, racconta Ferreri, “sulla salita della Cisa, la strada che porta da La Spezia a Parma, scavalcando l’Appennino, i camion procedevano a passo d’uomo a causa della pendenza. All’epoca in cabina si stava in due. Di notte il secondo si metteva sul cassone con un bastone in mano per evitare che i ladri, approfittando del buio e della bassa velocità, salissero al volo e scaricassero la merce sulle auto che seguivano il camion. La leggenda dice che la mattina presto nei bar in pianura potevi riconoscere i ladri dai lividi sulle mani”. Oggi tutto è diverso. “È diminuita la fatica”, osserva Ferreri, “però è sparita anche la parte romantica della vita del camionista, soprattutto di notte”. Ma, va detto, rispetto a quegli anni è davvero cambiato il mondo.
Uno specchio del paese
“Non esistono più le soste in mezzo al deserto”, annunciava nel giugno 1956 Il Gatto Selvatico, storica e raffinata rivista dell’Eni, a proposito delle nuove stazioni di servizio che nascevano lungo le strade del paese e che facevano “pensare a una stagione felice, ai traffici che si popolano di nuove insegne, di nuove case per gli uomini”. Per farsi un’idea di cosa fossero le auto in quegli anni, sul numero 10 del Vademecum autostrade d’Italia (1964) si consigliavano – perché evidentemente all’epoca non erano di serie né obbligatori – accessori come lo specchietto retrovisore sul lato sinistro dell’auto o le cinture di sicurezza. E poi anche i guanti da guida estivi, e perfino un ventilatore, progenitore un po’ arrangiato dei moderni climatizzatori.
È il periodo in cui sulle aree di servizio si sfidano aziende come la Pavesi, la Motta e l’Alemagna, e le stazioni hanno architetture avveniristiche e servizi di lusso. Si racconta che in alcune di quelle a ponte si svolgessero perfino banchetti di nozze. Ma poi comincia a declinare una certa idea di viaggio. Praticità e velocità cancellano tutto.
Autostrada e aree di servizio restano comunque uno specchio fedele del paese. “Ho fotografato una coppia con un’automobile sportiva. Avevano comprato un peluche enorme per il proprio cagnolino, e stavano provando a farlo entrare nel bagagliaio”, racconta per esempio la fotografa Barbara Cannizzaro, a proposito del suo lavoro, allestito nella mostra L’alba dell’autostrada del Sole alla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma per celebrare i sessant’anni della A1.
“Accanto a quella coppia”, prosegue, “c’era un camionista. E poi è passata una signora con un passeggino per il gatto, alcuni ragazzi che andavano in vacanza, un operaio. Siamo tutti lì, tutti diversi ma gli uni accanto agli altri, come succede ancora in pochi posti. Prendiamo tutti lo stesso caffè, facciamo lo stesso percorso tra gli scaffali e poi ripartiamo. Eppure ci ignoriamo”.

Di notte ogni cosa cambia. C’è più voglia di chiacchierare, forse per noia, soprattutto dopo la mezzanotte e fino all’alba, quando i clienti sono davvero pochi. È quello il tempo delle grandi pulizie, della preparazione dei cornetti e di qualche panino che dev’essere pronto al mattino. “Come funziona nel nord? È uguale?”, mi chiede il barista di un’area di servizio meridionale, curioso di capire come se la passino altrove i colleghi. Una domanda che nel nord del paese non mi hanno fatto mai. Comunque, non è poi così diverso. Cambia soprattutto quello che c’è attorno all’autostrada, non ciò che capita di notte per strada, che è lo stesso dappertutto, incluse certe bizzarrie, e la vita che si mostra senza troppi infingimenti, a volte con crudezza, altre con tenerezza.
Ci sono clienti, per esempio, che di notte vanno apposta nelle aree di servizio per giocarsi un gratta e vinci. C’è chi va perché non può dormire, chi perché ha finito le sigarette, chi perché per qualche minuto cerca un rifugio o solo la possibilità di sfuggire a certe inquietudini che lo spingono fuori di casa nel pieno della notte. E c’è chi ci finisce solo per il bisogno di incrociare lo sguardo di qualcuno, senza l’obbligo di dire una parola. C’è perfino chi arriva in bicicletta, passando non dall’autostrada ma attraverso il varco riservato agli impiegati del bar. Quella di entrare di notte dalla viabilità ordinaria a quanto pare è un’abitudine piuttosto diffusa e tollerata nel nord come nel sud, soprattutto lì dove l’autostrada attraversa aree senza grandi centri abitati, dove di notte di aperto c’è poco o niente e il bar sull’autostrada è un porto sicuro, spesso l’unico nel giro di chilometri.
L’area di servizio allora sostituisce per un attimo la piazza del paese e offre quello che il paese non può dare. Ci si dà appuntamento con gli amici per decidere cosa fare. O ci si incontra per caso e ci si ferma per una cioccolata calda. Non c’è fretta, si chiacchiera, si chiede dei parenti, si fuma una sigaretta. Per chi lavora dietro al bancone è come se d’improvviso si facesse giorno.
Riecco la fila alla cassa, i clienti in attesa del caffè. Poi tutto si ferma di nuovo, torna il silenzio. Molti comunque raccontano di preferire il turno di notte. Non Andrea (lavoro di fantasia), al lavoro nel bar di una grande area di servizio vicino Napoli: “Io di notte preferisco stare a letto con la mia compagna, ho una famiglia”.
Fuori dall’ordinario
La notte per qualcuno è anche il tempo della paura. Rapine ormai se ne fanno poche, anche perché si paga con le carte e gira poco contante. Ma non si sa mai. A quanto raccontano i lavoratori, le stazioni di servizio considerate più sicure sono quelle più lontane dalle città. E, soprattutto, quelle più lontane dalle uscite dall’autostrada, perché ogni chilometro in più fa guadagnare tempo alla polizia, che può aspettare i ladri al casello. I furti nei camion invece capitano ancora.
E poi c’è l’imprevedibile. “Una notte un tizio è arrivato a piedi, fasciato alla buona e sanguinante”, racconta un benzinaio al lavoro in un’area di servizio del centronord. “Doveva essere un camionista, forse era olandese. Era strano, prima piangeva, poi sorrideva. Abbiamo provato a rassicurarlo e abbiamo chiamato i soccorsi. Quando ha visto l’ambulanza ha cominciato a spaccare tutto, forse si è sentito tradito”.
Di fatti così durante la notte ne capitano, ma di giorno è peggio. “Una volta sono stato aggredito”, racconta un altro benzinaio, sempre sulla A1, “ma di mattina. Da anni faccio la notte e non mi è mai successo niente di grave”. Per tanti, comunque, di notte l’arrivo della polizia stradale è un conforto.
D’altra parte, “la sicurezza la garantiamo anche con la nostra semplice presenza”, spiega il commissario capo Fabrizio Labarile, dirigente del centro operativo della polizia stradale. “Con una buona vigilanza e illuminazione si prevengono stati di abbandono, terreno fertile per chi vuole commettere dei crimini”. Oggi, aggiunge, “le aree di servizio sono luoghi sicuri, anche di notte”. Tra gli interventi che Labarile ricorda di più non ci sono furti o rapine. “Soprattutto sotto le feste”, racconta, “ci capita di trovare persone sole, smarrite, che si sono allontanate da casa a volte senza neanche sapere dove stavano andando. In questi casi, per chi sta attraversando un momento di disagio, la nostra presenza è rassicurante. Siamo formati anche per questo”, prosegue Labarile, “per dare una risposta efficace sul piano emotivo, insieme a quella istituzionale”.

Anche gli ausiliari alla viabilità lavorano sulla sicurezza. Ma di un altro genere. Nicola Fiorini è responsabile di tratta sulla A4, l’autostrada che attraversa orizzontalmente l’Italia del nord, da Torino a Trieste. Sono quarant’anni che fa questo lavoro e ne ha viste di tutti i colori. Come per esempio automobilisti anziani guidare contromano in autostrada, mentre “di recente”, racconta, “una persona è stata fermata in monopattino, fortunatamente prima che entrasse in galleria”.
“Il nostro lavoro”, spiega, “consiste nel garantire le condizioni necessarie alla sicurezza della viabilità, per esempio ripristinandole dopo un incidente. Lavoriamo seguendo dei protocolli, ma i protocolli non riescono a eliminare del tutto i rischi. E di notte siamo particolarmente esposti perché”, spiega, “c’è meno traffico, si corre di più e con più distrazioni, anche a causa dei telefoni”.
Come le pattuglie della stradale, anche i loro mezzi procedono lenti, non oltre gli ottanta chilometri all’ora, perché parte del lavoro consiste nell’osservare lo stato delle cose per rendersi conto di eventuali anomalie. Ogni squadra percorre circa trecento chilometri a notte. Attorno a loro il mondo sembra fermo. E tutto resta così, in uno stato di sospensione, almeno fino alle 5 del mattino, quando la vita lentamente riprende. È quella l’ora in cui in autostrada si incontra anche qualche tassista, soprattutto sulle tratte che vanno verso gli aeroporti delle grandi città. Ma non solo.
“Io una notte ho portato una coppia fino in Valle d’Aosta. Partendo da Roma”, racconta Luca Martinini. “Ero quasi alla fine del turno”, ricorda il tassista romano, “e stavo tornando a casa. I clienti erano due. Con loro avevano solo due bottiglie d’acqua. Durante il viaggio mi hanno raccontato che stavano correndo dal figlio che si era messo nei guai. Erano molto tristi. Non è stato un viaggio facile”.
“Salutandomi”, dice ancora il tassista, “la signora si è raccomandata di fermarmi a riposare lungo la strada per Roma. Sono stati molto gentili”. Di solito però il lavoro di notte è più tranquillo. “A me la notte piace: è libertà”, dice Martinini. Ma, spiega, bisogna anche stare attenti, soprattutto nelle ore che precedono l’alba, quando si è davvero soli.
In certe aree di servizio attorno alla capitale dove gli capita di fermarsi con i colleghi per un caffè e una chiacchiera, per esempio, “c’è un’atmosfera molto strana. Magari incontri la guardia giurata che ha appena staccato, agenti di polizia, qualche collega. Ma anche gente scoppiata. E non sempre è facile”. Comunque, aggiunge, “di notte le clienti migliori sono le prostitute: sono tranquille, pagano e rispettano il nostro lavoro”.
“Di notte ho trovato la mia pace, mi fa stare bene”, racconta anche la tassista di Milano Cristina Russo. Rispetto a Roma però la situazione sembra più movimentata. “La città”, dice, “è diventata molto pericolosa, soccorriamo tanti che sono stati rapinati o aggrediti”. Russo non si è mai trovata ad avere a che fare con situazioni davvero drammatiche. Dipende forse anche dal suo modo di comportarsi.
“Di notte serve pazienza e capacità di giocarsela un po”, spiega. E non sempre è facile perché “molte persone purtroppo si allargano in modo fastidioso, anche imbarazzante. Si deve essere duri quando serve”. In autostrada le capita di andare soprattutto verso gli aeroporti. “Una sera è successo tre volte. Ho stappato una bottiglia per festeggiare”, dice scherzando. Il problema, spiega, “è che, quando devi rientrare in città verso l’alba, allora il viaggio può diventare eterno, perché dopo le 6 le autostrade attorno a Milano sono trafficatissime”.
L’alba nelle stazioni di servizio è annunciata dal motore di qualche camion che si accende e sovrasta il cinguettio degli uccelli che hanno cantato tutta la notte sugli alberi. Altrove invece le prime luci del mattino colgono quasi di sorpresa chi si è trovato su una nave, necessaria prosecuzione dell’autostrada per chi viaggia tra la Sardegna e il continente. “La notte in nave è cortissima”, racconta Broglio. “Ci si imbarca verso le 22, per ultimi. Si mangia in fretta e verso mezzanotte già si dorme perché al massimo alle 5 bisogna essere in piedi”. In cabina, racconta, “sei con i colleghi, con persone che non conosci. C’è chi russa, chi si sveglia. Io però spesso riesco a riposare perché sono sola, considerate le poche autiste in Italia”.
Sull’acqua viaggiano anche i traghetti che trasportano chi deve attraversare lo stretto fra Reggio Calabria e Messina, mentre quelli che attraversano la laguna di Venezia navigano lenti lungo il canale della Giudecca e poi si affacciano su San Marco, diretti verso il Lido. Nascosti dalla nebbia, come il sole che ormai si prepara a chiudere la notte.
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