La politica dei dazi imposta dall’amministrazione Trump, pensata per rilanciare la produzione manifatturiera negli Stati Uniti, sta già facendo sentire i suoi effetti sull’industria musicale e potrebbe avere conseguenze ancora più gravi in futuro. Il 2 aprile il presidente ha annunciato l’introduzione di una tariffa minima del 10 per cento verso tutti i partner commerciali di Washington, una del 25 per cento su automobili prodotte all’estero e ulteriori dazi nei confronti dei paesi con cui gli Stati Uniti hanno un disavanzo commerciale. Nessuno è stato risparmiato, nemmeno le isole australiane vicino all’Antartide abitate solo da pinguini.
L’obiettivo di queste misure è proteggere l’industria statunitense e incentivare l’acquisto di beni prodotti nel paese. Tuttavia, dato che molte merci statunitensi sono fatte con componenti o materie prime importate, anche i prodotti Made in U.S.A subiranno rincari che si rifletteranno sui consumatori. Gli strumenti musicali e i prodotti fisici dell’industria musicale, come spiega un recente articolo di Billboard, saranno tra i più colpiti.
Secondo un dirigente del settore della produzione di vinili i costi di stampa aumenteranno. Il pvc, il materiale con cui vengono fabbricati i 45 giri, proviene in gran parte dall’estero e sarà soggetto ai dazi. La carta e il cartone per fare le confezioni arrivano soprattutto dal Canada, mentre la lacca per le matrici viene dal Giappone.
Anche David Macias, cofondatore dell’etichetta discografica Thirty Tigers, avverte che i prezzi saliranno. Secondo lui la situazione potrebbe scoraggiare i consumatori e mettere sotto pressione i negozi indipendenti. “I vinili costeranno 35 dollari. Diventeranno articoli di lusso”, sostiene Macias. Nel frattempo le risposte dei partner commerciali minacciano di aggravare la situazione.
Per gli strumenti musicali vale un principio simile: molte aziende, come la Fender e la Yamaha, per costruire chitarre, bassi e batterie usano componenti prodotte in Messico e in Cina e quindi saranno costrette ad aumentare i prezzi. Per non parlare dei tour, che nei prossimi mesi saranno destinati a costare ancora di più, con un effetto domino scontato sul costo dei biglietti.
La Cina ha risposto con dazi del 34 per cento sui prodotti statunitensi, e il Regno Unito sta preparando una lista di beni da colpire. Secondo l’associazione della musica indipendente A2IM alcuni paesi potrebbero perfino trattenere il pagamento dei diritti d’autore.
Tra i settori più colpiti, inoltre, potrebbe esserci il turismo legato alla musica. Nashville, per esempio, sta già registrando un calo di visitatori canadesi. La compagnia aerea canadese Flair ha cancellato i voli verso la città del Tennessee, e i viaggi da Buffalo al Canada sono calati del 14 per cento rispetto all’anno precedente. Anche Las Vegas teme una diminuzione delle presenze.
Le tariffe potrebbero danneggiare non solo i beni fisici ma anche i servizi digitali. L’Unione Europea potrebbe reagire con restrizioni su proprietà intellettuale, servizi e investimenti. Questo metterebbe a rischio le aziende tecnologiche statunitensi che offrono servizi musicali a livello globale, dalla Apple a Spotify.
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