Negli Stati Uniti le autorità sanitarie sono entusiaste del nuovo vaccino monodose Johnson & Johnson, nonostante abbia un’efficacia inferiore nella prevenzione delle forme sintomatiche rispetto ad altri vaccini disponibili. I dati degli studi clinici indicano infatti un’efficacia del 72 per cento, contro il 94 e il 95 per cento rispettivamente del vaccino della Moderna e di quello della Pfizer-Biontech. Tuttavia, secondo molti esperti, non bisogna concentrarsi su questi numeri. Molto più significativo, dicono, è il fatto che il vaccino Johnson & Johnson, al pari degli altri due, sia sostanzialmente perfetto nella prevenzione delle forme più gravi di covid-19. “Sono gasatissimo”, ha confessato nel fine settimana al New York Times il coordinatore per i vaccini della Virginia. “Efficacia del 100 per cento contro i decessi e i ricoveri? Non ho bisogno di sapere altro”.

Da settimane, autorità sanitarie ed esperti diffondono il messaggio secondo cui tutti i vaccini anticovid sono equivalenti rispetto all’obiettivo fondamentale. L’utilità potenziale di questo approccio per la promozione del vaccino è evidente: staremmo tutti meglio e usciremmo da questo incubo prima se la gente capisse che il miglior vaccino è quello che è disponibile per primo. In quest’ottica, Vox ha invitato i propri lettori a concentrarsi sulla “statistica più importante rispetto ai vaccini”: il fatto che “non si sia registrato nemmeno un caso di decesso o ricovero durante gli studi clinici di tutti i diversi vaccini”. La dottoressa e analista della Cnn Leana Pen ha sottolineato che secondo questo parametro “tutti i vaccini sono sostanzialmente efficaci al 100 per cento”. Alcuni ex esponenti della commissione di consulenza anticovid di Joe Biden hanno scritto su USA Today che “i diversi tassi di ‘efficacia’ ignorano il dato più importante: i vaccini sono efficaci al 100 per cento nella prevenzione dei ricoveri ospedalieri e dei decessi”.

Ma c’è un problema. È vero che i tre vaccini autorizzati dalla Food and drug administration (Fda) sono ottimi, se non straordinari, nel proteggere la salute delle persone. Nessuno dovrebbe evitare di farsi vaccinare nel timore di ricevere un vaccino assegnato più scadente di altri. Ma è altrettanto vero che i vaccini anticovid non sono tutti uguali. Alcuni sono più efficaci di altri nel prevenire determinati disturbi, per esempio. Alcuni causano meno effetti collaterali. Alcuni sono più convenienti. Alcuni sono stati prodotti usando tecniche e metodi più tradizionali. E rispetto alla tesi secondo cui tutti i vaccini sono ugualmente efficaci nel prevenire il ricovero e il decesso? Ebbene le cose non stanno così.

I messaggi devono essere corretti
Per alcune persone queste differenze tra le diverse opzioni potrebbero avere un peso significativo, dunque non dovrebbero essere minimizzate o nascoste. Soprattutto non adesso. Le forniture di vaccini negli Stati Uniti presto supereranno la domanda, a prescindere dalla diffusione delle varianti più contagiose. Nel frattempo i governatori stanno allentando alcune restrizioni, per esempio revocando le regole sull’uso delle mascherine. C’è la tentazione di credere che un messaggio semplice e deciso – anche uno che rasenta la pubblicità – sia la soluzione migliore in una fase cruciale. Ma se il messaggio non è corretto possono esserci delle conseguenze.

L’idea che tutti i vaccini siano sostanzialmente uguali e perfetti nella prevenzione di ricoveri e decessi per covid-19 è molto diffusa sui social network, come dimostra l’articolo pubblicato su USA Today dagli ex esponenti della squadra di Biden, dove è presente un link a una tabella presa da Twitter. Creata dall’infettivologa Monica Gandhi, la tabella mostra i risultati degli studi clinici su sei diversi vaccini. Una colonna è colorata di giallo canarino, con la dicitura “protezione dal ricovero/decesso”. Per tutti i vaccini si legge “100 per cento”. Una tabella simile, pubblicata su Twitter pochi giorni prima da Ashish Jha, rettore della facoltà di salute pubblica dell’università Brown, veicola lo stesso messaggio attraverso una griglia di “zero”, per indicare il numero di ricoveri e decessi. Lo stimato medico e ricercatore Eric Topol si è unito al coro pubblicando i propri dati sugli studi clinici, con una colona composta unicamente da “100 per cento”. “Impressionante!”, ha scritto in cima alla tabella Topol. I tre tweet sono stati rilanciati quindicimila volte.

I dati, in effetti, suggerivano un’idea incoraggiante. Basandosi sui numeri rilevati finora possiamo ipotizzare che i vaccini forniscano una protezione estremamente elevata contro gli sviluppi più gravi. Ma non sappiamo fino a che punto questa protezione sia elevata, ed è piuttosto evidente che i vaccini non faranno sparire del tutto i ricoveri e i decessi da covid-19.

Naturalmente gli esperti sono consapevoli di questa realtà. Gandhi ha aggiornato la sua tabella con i dati più recenti, e al momento l’efficacia di Moderna rispetto a ricoveri e decessi è indicata al 97 per cento. Jha ha precisato su Twitter che “niente è sicuro al 100 per cento, ma questi vaccini si avvicinano molto”. Topol ha dichiarato all’Atlantic che i numeri inseriti nel suo tweet non sono una base sufficiente per ricavare “qualsiasi misura della dimensione dell’effetto”, anche se il fatto che puntino tutti nella stessa direzione è “molto incoraggiante”. Comunque sia la tesi sulla perfezione del vaccino contenuta nelle tabelle inizialmente diffuse su Twitter – il nocciolo, per molti lettori, di tutti quei “100” e “0” – è stata riproposta all’infinito, e spesso mal interpretata.

L’efficacia di un vaccino
Per cogliere la natura incerta di questi dati particolari è importante ricordare come è cominciato il processo di sviluppo dei vaccini. Ad aprile, poco dopo l’inizio della pandemia, l’Organizzazione mondiale della sanità aveva fissato come obiettivo dei vaccini un’efficacia del 50 per cento, con diverse opzioni sulla misurazione di questo valore. I vaccini avrebbero potuto essere valutati in base alla riduzione delle forme sintomatiche, delle forme gravi o della contagiosità.

I dati non possono supportare la pretesa secondo cui i vaccini sarebbero efficaci al 100 per cento nella prevenzione di questi esiti gravi

L’Fda ha preso una posizione simile a giugno, e altre agenzie di controllo hanno seguito l’esempio dell’Oms. Tra le opzioni disponibili, quella dell’efficacia contro le forme sintomatiche dell’infezione era la più praticabile, perché si tratta di un esito comune e di una condizione facile da confermare in uno studio su larga scala. Un criterio che comprendesse i contagi asintomatici sarebbe stato ancora più esaustivo, ma la quantità di test da effettuare sarebbe stata proibitiva, soprattutto all’inizio della pandemia. Alla fine, gli studi sui vaccini sono stati preparati nel modo seguente: ogni vaccino avrebbe dovuto dimostrare di avere un’efficacia almeno del 50 per cento considerando come “esito primario” da combattere quello delle forme sintomatiche dell’infezione.

Gli studi avrebbero potuto considerare come esiti primari le forme gravi, i ricoveri ospedalieri o i decessi, ma questo avrebbe rallentato il processo. Tali eventi, infatti, sono molto meno frequenti (negli Stati Uniti è probabile che si siano verificati 200 contagi per ogni decesso) e per generare dati sufficienti a garantire un’efficacia del 50 per cento sarebbero serviti più tempo e un numero maggiore di partecipanti. Gli scienziati che hanno sviluppato i vaccini hanno incluso la “forma grave di covid-19” come esito secondario, ovvero una condizione che sarebbe stata misurata e analizzata, ma su cui lo studio non era progettato per fornire una risposta definitiva. L’efficacia rispetto ai ricoveri e ai decessi, tuttavia, non è stata inserita come esito secondario in tutti gli studi.

Dunque, i dati non possono supportare la pretesa secondo cui i vaccini sarebbero efficaci al 100 per cento nella prevenzione di questi esiti gravi (Topol ha evidenziato il concetto in un articolo pubblicato in autunno sul New York Times). Dei sei vaccini inclusi nelle tabelle che hanno fatto il giro di Twitter, solo due degli studi della sperimentazione clinica – di Oxford-AstraZeneca e della Johnson & Johnson’s – comprendevano il ricovero come esito secondario e hanno riferito il tasso di efficacia. La ricerca clinica per un altro vaccino, prodotto dalla Novavax, prevedeva il ricovero come esito secondario, ma lo studio non è stato ancora pubblicato (sul mio sito ho fornito informazioni più dettagliate e analisi dei dati).

Ricoveri e forme gravi
Un lettore casuale dei rapporti sugli studi clinici (o dei loro riassunti sui social network) potrebbe pensare che la mancata citazione di ricoveri di persone vaccinate durante le sperimentazioni significhi che nessuna è mai stata ricoverata. È un’equazione rischiosa, considerando che i dati sono stati pubblicati parzialmente su diverse riviste specializzate e attraverso diverse agenzie di controllo, e non in forma completa in un’unica piattaforma; che la pianificazione di alcuni studi non ha specificato in anticipo che l’efficacia rispetto ai ricoveri sarebbe stata calcolata; e che di un vaccino (quello della Novavax, attraverso un comunicato stampa) abbiamo solo pochi dati. Sarebbe altrettanto rischioso presumere che tutti i ricoveri siano stati inclusi nell’analisi delle persone che hanno sviluppato forme gravi di covid-19. Il ricovero e la forma grave di covid-19 non sono sinonimi. Un paziente può restare a casa anche se la malattia ha provocato un calo drastico dei suoi livelli di ossigeno, mentre alcune persone con sintomi moderati possono essere ricoverate per abbondanza di posti letto o per prudenza nel caso in cui la loro condizione rischi di peggiorare.

Le persone probabilmente vogliono conoscere le possibili conseguenze dei vaccini oltre all’efficacia contro il ricovero e la morte

I due studi che hanno esplicitamente riportato i ricoveri come criterio dell’efficacia chiariscono bene quest’ultimo aspetto. Per il vaccino dell’AstraZeneca, una persona che faceva parte del gruppo di controllo ha manifestato una forma grave di covid-19, mentre i ricoveri sono stati otto. Per quanto riguarda il vaccino della Johnson & Johnson, 34 persone nel gruppo placebo hanno sviluppato una forma grave di covid-19, ma solo cinque sono state ricoverate. È vero che nessuna persona vaccinata dei due studi è stata ricoverata dopo che il vaccino ha dato il via alla risposta immunitaria, ma con un numero così ridotto è impossibile trarre conclusioni affidabili su quanto sia elevata l’efficacia rispetto a questi sviluppi. Come ha sottolineato Diana Zuckerman del National center for health research a proposito dello studio di Johnson & Johnson, “è fuorviante dire alle persone che nessun individuo vaccinato è stato ricoverato se non si precisa anche che solo cinque perone nel gruppo placebo sono state ricoverate”. Zuckerman ha ragione. Le previsioni esatte sull’efficacia sono impossibili anche in una popolazione più ampia, che non rientra negli studi. Per esempio alcune ricerche hanno coinvolto poche persone con più di sessant’anni nei loro esperimenti.

Osservando i dati sulle forme gravi è facile capire quanto siano fragili questi numeri. Nella sperimentazione della Pfizer, per esempio, solo una persona vaccinata ha manifestato una forma grave di covid-19, contro tre nel gruppo placebo. Questo significa che un singolo caso ha fatto la differenza tra un’efficacia calcolata del 66 per cento e una del 100 per cento. Nelle sperimentazioni della Novavax e di Oxford-AstraZeneca nessuno ha sviluppato forme gravi della malattia tra le persone vaccinate, contro una soltanto nel gruppo di controllo, dunque aggiungere o sottrarre un caso grave avrebbe alterato le percentuali in modo ancora più drammatico. Il problema è se possibile più evidente rispetto ai decessi. Solo due studi sui vaccini (della Moderna e della Johnson & Johnson) hanno registrato decessi all’interno dei gruppi di controllo.

Inoltre è importante ricordare che si tratta dei primi risultati: i dati di alcune persone che hanno partecipato a una fase successiva degli studi non sono inseriti nei rapporti, e l’analisi è ancora in corso. A dicembre l’Fda ha comunicato che una persona vaccinata coinvolta nello studio della Moderna era stata ricoverata con un apparente forma grave di covid-19 due mesi dopo aver ricevuto la seconda dose. Quella persona faceva parte di un gruppo in attesa di una valutazione finale che non è citato nella lettura formale dei risultati della Moderna.

Nessuno è perfetto
Grazie ai programmi vaccinali in corso abbiamo scoperto qualcosa in più. Quattro rapporti importanti sono arrivati nelle ultime due settimane. In uno di essi i ricercatori hanno confrontato circa 600mila persone a cui è stata somministrata la doppia dose del vaccino della Pfizer in Israele con altre 600mila persone non vaccinate, con età e altri criteri comparabili. L’efficacia dei vaccini nella prevenzione dei ricoveri è stata rilevata all’87 per cento. “Questo vaccino è fantastico nel mondo reale”, ha twittato Jha. Un articolo preliminare (preprint) proveniente dalla Scozia ha riportato un tasso di efficacia contro il ricovero di circa l’80 per cento tra le persone di età superiore agli ottant’anni. In quel caso quasi tutte le persone prese in esame avevano ricevuto soltanto una dose del vaccino della Pfizer o dell’AstraZeneca. Due rapporti di Public Health England relativi alla stessa fascia d’età indicano una riduzione dei ricoveri rispettivamente del 50 e del 43 per cento, anche in questo caso dopo una sola somministrazione del vaccino della Pfizer. Sono risultati incoraggianti. Significa che i vaccini funzionano in modo ottimale. Ma nessuno dovrebbe pensare che sono tutti uguali o che la protezione sia perfetta.

Quale spazio resta alle nostre decisioni? Come ha dichiarato Anthony Fauci al New York Times nel fine settimana, “ora abbiamo tre vaccini molto efficaci. Punto”. Ripeto, i tre vaccini portano enormi benefici e il rischio per la vostra salute si ridurrà ulteriormente quando anche le persone che vi stanno intorno saranno vaccinate. A prescindere dal vaccino che vi sarà somministrato, è probabile che nel futuro prossimo sia necessario un richiamo, dello stesso vaccino o forse di uno diverso. Accettando il primo vaccino disponibile evitate inoltre il rischio di trovarvi senza protezione se i tassi di contagio dovessero aumentare nella vostra zona.

L’efficacia è solo un aspetto della questione. I vaccini della Pfizer e della Moderna sono più efficaci nella prevenzione delle forme sintomatiche di covid-19, mentre quello della Johnson & Johnson offre altri vantaggi: non dev’essere conservato a basse temperature, dunque è più facile da distribuire e più accessibile per molte comunità; è più economico degli altri due (l’azienda lo fornisce a prezzo di costo in tutto il mondo) e infine permette di massimizzare le risorse grazie al fatto che ne va somministrata un’unica dose.

Il vaccino della Johnson & Johnson presenta benefici anche per le persone. Essendo monodose è più comodo, e inoltre garantisce un tasso inferiore di effetti collaterali rispetto a quello della Moderna. Non è possibile paragonare i risultati degli studi in modo preciso, ma esistono segnali che indicano una differenza notevole. Circa il 2 per cento delle persone vaccinate con il Johnson & Johnson hanno manifestato disturbi (spossatezza, dolori muscolari e febbre) abbastanza pesanti da interferire con le attività quotidiane. Per le persone vaccinate con il farmaco della Moderna il tasso era superiore al 15 per cento. Le persone indecise all’idea di vaccinarsi potrebbero ritenere questa differenza decisiva per convincersi. Chi dubita della nuova tecnologia a mRna nei vaccini della Pfizer e della Moderna potrebbe apprezzare il fatto che l’approccio della Johnson & Johnson è già stato adottato per il vaccino contro l’ebola, approvato in Europa lo scorso anno.

Dire che le persone vaccinate non vanno incontro ad alcun rischio sicuramente influenzerà i loro comportamenti

Considerando queste preoccupazioni c’è un certo rischio nel dichiarare (pur con tutte le buone intenzioni) che i vaccini anticovid sono tutti uguali o che garantiscono protezione totale dalle forme gravi della malattia. La vaccinazione è un imperativo della salute pubblica, e l’impegno per promuoverla risponde al bene comune. Ma è anche una decisione che riguarda la salute personale. Le persone vogliono proteggere se stesse e i loro cari, e probabilmente vogliono conoscere le possibili conseguenze oltre all’efficacia contro il ricovero e la morte, a prescindere da cosa si dice in questo momento.

Al contempo affrontare pubblicamente queste problematiche può essere insidioso. Rispondendo a una richiesta di informazioni sulla sua tabella, Gandhi ha ribadito l’importanza di osservare l’efficacia rispetto alle forme gravi e ha sottolineato che un discorso scientifico “prudente, collegiale e collaborativo sui vaccini è indispensabile per superare la pandemia”. Topol ricorda di aver enfatizzato già diverse volte in passato l’efficacia misurata dei vaccini contro le forme sintomatiche della malattia, dunque un riferimento isolato alla sua tabella “è fuori contesto”. In una email Jha ha confermato il messaggio del suo tweet originario, sottolineando che i ricoveri e i decessi da covid-19 sono estremamente rari tra le persone che hanno partecipato agli studi. Secondo il professore parlare delle differenze tra i vaccini equivale a “discutere del sesso degli angeli”.

Capisco che possa sembrare una discussione cavillosa, ma in realtà sono convinta che sia importante. Sarebbe diverso se pensassi che l’efficacia dei sei vaccini rispetto al ricovero e al decesso fosse davvero vicina al 100 per cento, o se fossi convinta della tesi diffusa secondo cui i vaccini hanno “quasi” o “del tutto” eliminato queste possibilità. I dati sono incoraggianti, ma dire che le persone vaccinate non vanno incontro ad alcun rischio di sviluppare una forma grave e che per loro il covid-19 è pericoloso quanto un raffreddore sicuramente ne influenzerà i comportamenti.

Immaginate come si sentirebbero le persone che fanno parte delle categorie ad alto rischio all’idea di andare al cinema, o come si comporterebbero i dirigenti rispetto allo stanziamento di risorse per la sicurezza sul lavoro se tutti partissimo dal presupposto che i vaccini garantiscono una protezione totale dai ricoveri e dalla morte. Ora immaginate come si sentirebbero le stesse persone sapendo di essere protette solo all’85 per cento.

Non c’è motivo di credere che un battage di questo tipo favorisca gli interessi della comunità. Le persone convinte che i vaccini offrano una protezione totale potrebbero perdere fiducia negli esperti se la realtà si dimostrasse diversa. La sfiducia nell’informazione sui vaccini è già un problema, e potrebbe peggiorare. Gli attivisti che si oppongono alle vaccinazioni potrebbero rinfacciare agli esperti “gasatissimi” le loro promesse.

“L’idea che la gente non sia in grado di gestire una sfumatura è paternalistica, oltre che sbagliata”, ha twittato Jha alla fine di febbraio. Sono perfettamente d’accordo. Trattare le persone come adulti è fondamentale. Non abbiamo bisogno di esagerare. Parlare delle differenze tra i diversi farmaci e i diversi vaccini è complicato, ma non per questo dobbiamo evitare di farlo. Vale lo stesso per i vaccini anticovid.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito sul mensile statunitense The Atlantic.

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