Mi hanno chiamato nella tarda mattinata di sabato, svegliandomi nel mio giorno di riposo.
Qandeel Baloch, 26 anni, una delle più note celebrità del Pakistan diventata famosa per i suoi selfie suggestivi e il suo atteggiamento strafottente, era morta. Era stata strangolata il 15 luglio dal fratello, che in seguito ha riferito alla polizia di ritenere “intollerabile” l’atteggiamento di sua sorella.
“Strangolata dici? A morte? È morta?”, ho chiesto al mio capoufficio, che mi aveva chiamato per darmi la notizia. Mentre prendevo le chiavi della macchina per andare in ufficio mi tremavano le mani, e sulla porta mi è caduto il portafoglio.
Avevo parlato con lei proprio il giorno prima. Mi aveva chiamato per chiedermi un favore e io le avevo garantito che avrei fatto del mio meglio per aiutarla. E adesso era morta? Non riuscivo a farmene una ragione.
Da giornalista avevo raccontato decine di storie di delitti d’onore, in cui la vittima viene uccisa da un parente che giustifica l’assassinio sostenendo di aver voluto proteggere la famiglia dalla vergogna.
Tante donne sono state bruciate, accoltellate, fucilate e strangolate per aver violato i desideri della loro famiglia, rifiutando per esempio una proposta di matrimonio, sposando l’uomo “sbagliato” o ancora aiutando un’amica a fuggire.
Tutti questi omicidi rappresentano delle tragedie individuali. Insieme, però, formano una macchia cruenta su una nazione che vorrebbe diventare una moderna democrazia liberale eppure non riesce ancora ad affrontare il problema della violenza sulle donne in una società dominata dagli uomini.
Questo omicidio però mi ha colpito sul piano personale. Anche se non ci eravamo mai incontrati, avevo creato un rapporto di amicizia con la giovane star. Ci sentivamo per telefono o tramite WhatsApp da febbraio scorso, quando per la prima volta l’ho chiamata per intervistarla sul rapporto dei giovani pachistani con i social network.
La Kim Kardashian del Pakistan
All’epoca Baloch non aveva mai rilasciato un’intervista per la stampa occidentale e sembrava molto preoccupata dalle mie motivazioni.
Si offendeva quando pensava che le si volesse in qualche modo mancare di rispetto: “Perché mi chiedi qual è il messaggio dietro questo video? Ho detto quello che dovevo dire, non l’hai capito?”, mi ha risposto in modo piuttosto brusco quando le ho chiesto di raccontarmi qualcosa di più su uno dei suoi video.
Abbiamo però continuato a parlare, e piano piano ha abbassato la guardia.
“Molti dei tuoi follower sono giovanissimi, perciò sei un’icona per gli adolescenti. Quanti anni hai, se posso chiedertelo?”.
“Non posso dirtelo!”, ha replicato. “Perché non tiri a indovinare?”.
“Poco più di venti?”, ho chiesto. “Stai cercando di lusingarmi!”, ha riso, e il ghiaccio sembrava sciolto.
Il video che nel 2014 l’ha fatta diventare una celebrità si intitolava How I’m looking.
“L’ho girato senza pensarci troppo. Dopo un mese è diventato virale. Mi sono chiesta, ‘che sta succedendo?’. I fan continuavano a chiedermi di farne altri”. “Sono diventata famosa per il mio modo di essere, dico sempre quello che penso. Non sono una persona falsa. La gente è attratta da questo”, diceva.
Ex attrice televisiva che ha partecipato alla versione pachistana di Pop idol, Baloch aveva adottato uno pseudonimo (il suo vero nome, si è saputo dopo, era Fauzia Azeem) ed era diventata una star dei social network.Il suo obiettivo, mi ha raccontato, era guadagnare con la pubblicità su YouTube, ma non sono riuscito a farle confessare cosa facesse per mantenersi.
Quando abbiamo parlato aveva legioni di fan, la sua pagina Facebook aveva più di 700mila like, oltre a un canale YouTube tutto suo.
“La gente sta impazzendo, soprattutto le ragazze. Mi dicono che sono per loro una fonte di ispirazione e che vogliono essere come me. Io parlo in modo franco e senza troppi giri di parole. E parlo con il cuore in mano. Le persone hanno capito che qualsiasi cosa sia o rappresenti, almeno sono sincera. Non sono assolutamente falsa”, mi diceva.
Non solo selfie
La donna non si limitava a postare video e selfie provocanti e sensuali. Il giorno di san Valentino ha indossato un abito rosso molto scollato e ha implorato il presidente del paese, che aveva denunciato la festività come un’innovazione occidentale, di “lasciare che l’amore fosse libero di manifestarsi”.
“Politici disgustosi e idioti ci stanno provando, ma non possono fermare l’amore”, mi ha detto.
Aveva anche una schiera di detrattori, che le davano della “stronza” o della “puttana”, o le auguravano di morire a ogni post che pubblicava su Facebook.
Mi ha detto che questi commenti non le facevano né caldo né freddo. “Di solito nemmeno li leggo i commenti, pubblico il mio messaggio e lo lascio lì”, raccontava.
Alla fine della nostra conversazione ero rimasto affascinato e stupito dal suo atteggiamento e dal suo coraggio, anche se non mi sembrava molto sicura delle sue prossime mosse.
Life has taught me lessons in a early age...My Journey from a girl to a SELF DEPENDENT WOMEN was not easy.%3Ca href=%22https://twitter.com/hashtag/Qandeel?src=hash%22%3E#Qandeel%3C/a%3E %3Ca href=%22https://t.co/Mwyn4UC32z%22%3Epic.twitter.com/Mwyn4UC32z%3C/a%3E
— Qandeel Baloch (@QandeelQuebee) 14 luglio 2016
Mi ha raccontato di aver ricevuto delle offerte dalla televisione, ma non voleva tornare nel mondo dello spettacolo tradizionale perché, diceva, “sono più conosciuta della metà delle star televisive” e aveva la sensazione che quel mondo fosse pieno di “gente falsa”.
Cercava qualcosa di più grande: la partecipazione a Big boss, un reality show indiano, oppure il matrimonio con l’uomo che dichiarava di amare, l’ex giocatore di cricket datosi alla politica Imran Khan.
Baloch non cercava i riflettori, li afferrava e poi li usava per illuminare il Pakistan
La fama e la notorietà di Baloch sono cresciute con il trascorrere dei mesi. In primavera aveva promesso che avrebbe fatto uno striptease alla nazionale pachistana di cricket se avesse vinto contro l’India nella World twenty cup (tenuto conto del testa a testa tra le due squadre negli ultimi anni, c’era una buona possibilità di non essere costretta a mantenere la promessa).
Intanto, i conservatori religiosi continuavano a vomitarle addosso il loro disprezzo.
Persino alcuni liberali la liquidavano ritenendola una diva in cerca di attenzione, talmente fuori dagli schemi da non essere utile a nessuno se non a se stessa con le sue buffonate.
Lei non prestava loro alcuna attenzione e continuava a fare quello che voleva. In un messaggio mi ha scritto di essere soddisfatta del modo in cui avevo parlato di lei nel mio pezzo. “Bravo ragazzo”, mi ha scritto (anche se in inglese pachistano smart può anche significare “magro” e lei potrebbe essersi riferita alla mia foto del profilo).
Le star da reality di solito non sono un argomento interessante per l’Afp, ma capivamo anche noi che Baloch stava facendo qualcosa di diverso: non cercava i riflettori, li afferrava e li usava per illuminare il Pakistan.
L’ipocrisia del clero pachistano
L’ho intervistata di nuovo qualche mese più tardi, dopo che aveva postato dei suoi selfie con il leader religioso Abdul Qavi, provocando una tempesta mediatica in seguito alla quale quest’ultimo aveva perso il suo posto di lavoro nel governo.
Non mi era sembrato che si rallegrasse più di tanto della sua caduta e prevedeva che presto sarebbe tornato al suo posto.
“Ne sta facendo una tragedia, ma vedrai che tornerà non appena avrà risolto questa grana”.
Tuttavia, riteneva importante “averlo mostrato com’è nella realtà”, raccontandone il comportamento inadeguato e il fatto che avesse cercato di incontrarla con insistenza. Qavi, in risposta, ha riferito ai mezzi d’informazione che era stata lei a chiedere un incontro e che lui aveva accettato con l’intento di istruirla sulle questioni di fede.
Postando foto divertenti e suggestive in cui Baloch indossava il suo cappello, ha voluto smascherare l’ipocrisia di quel religioso e di tutto il clero pachistano.
“È una macchia sul nome dell’islam. Chi è lui per proclamarsi guardiano della fede?”.
Parole combattive, avevo pensato all’epoca.
È difficile enfatizzare troppo quello che questa donna rappresentava in Pakistan, un paese musulmano di 200 milioni di abitanti profondamente conservatore.
Quando abbiamo parlato per la prima volta a febbraio, per pigrizia l’avevo descritta come la “Kim Kardashian” del Pakistan, per spiegare velocemente a un pubblico occidentale che, come nel caso della sua omologa americana, anche Baloch traeva la sua fama soprattutto dai social network.
Quell’analogia si è diffusa moltissimo, ma oggi la ritengo inadeguata. A differenza della ricca americana, le origini di Baloch erano modeste. Secondo gli standard occidentali, i suoi selfie potrebbero apparire monotoni.
Nel contesto pachistano, però, il suo desiderio di abbracciare la sessualità e di sfidare le norme della società hanno rappresentato un’audace presa di posizione dal significato profondamente politico.
Le donne in Pakistan vivono una situazione molto particolare. Da un lato hanno accesso all’istruzione, guidano e da decenni ormai occupano posti da insegnante, medico o avvocato, soprattutto nelle classi più agiate; anche se adesso, anche le donne appartenenti alle classi più popolari, spinte da necessità economiche, stanno cominciando a lavorare, soprattutto nelle grandi città.
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— Qandeel Baloch (@QandeelQuebee) 11 luglio 2016
Il paese è addirittura stato governato da una donna; prima di essere uccisa in un attentato organizzato durante un suo comizio nel 2007, Benazir Bhutto è stata per due volte primo ministro e presidente del Partito popolare pachistano. Tuttavia, questi apparenti progressi verso l’uguaglianza di genere contraddicono le lotte quotidiane che le donne sono costrette ad affrontare contro uomini che cercano di controllarle in tutto, dal modo in cui si vestono e parlano al loro accesso allo spazio pubblico e professionale.
Femminismo rumoroso
Venerdì 15 luglio, Baloch mi ha chiamato per chiedermi aiuto su una questione che la preoccupava. Mi sembrava agitata e angosciata. Alcuni giorni prima il suo ex marito aveva raccontato ai giornalisti locali che lei era stata una moglie avida e cattiva. Dal canto suo, lei sosteneva che lui era violento e che aveva divorziato per scappare e trovare rifugio in una casa di accoglienza per donne.
Adesso mi chiedeva di modificare la sua pagina su Wikipedia rimuovendo qualsiasi riferimento a lui, oltre a un’altra informazione che lui aveva diffuso e che metteva in pericolo la vita di un’altra persona. Mi aveva parlato di minacce di morte e qualsiasi osservatore del paese sapeva che quelle minacce erano vere.
Nonostante il fatto che quell’informazione fosse già stata diffusa su internet, ho pensato che le sue richieste fossero sensate e le ho detto che avrei apportato le correzioni per conto della persona a rischio.
Quel venerdì mattina, ricordo di aver riagganciato pensando a quanto fosse coraggiosa questa donna. Sono stato tentato di mandarle un messaggio in cui le dicevo di essere un suo grande ammiratore, qualcosa che suonasse come: “Continua così, ragazza”.
Ma in veste di giornalista cerchi sempre di mantenere un confine tra i contatti personali e gli amici e non volevo superare quella linea. Adesso vorrei averlo fatto. Vorrei averle mandato quel messaggio.
Ho rimosso l’informazione e ho aggiunto un commento alla pagina di discussione su Wikipedia spiegandone il motivo. Nonostante ciò, quando quella sera sono tornato a controllare, ho visto che il cambiamento era stato rifiutato senza alcuna spiegazione.
Poche ore dopo lei era morta. Prova del fatto, casomai ce ne fosse bisogno, che in Pakistan i rischi per le donne audaci sono fin troppo reali.
A distanza di giorni continuavo a pensare al suo assassinio. Non posso dire di averla conosciuta bene, ma piango per la sua morte. Questa donna rappresentava un femminismo rumoroso, sfrontato che non cercava l’approvazione di nessuno.
Alcune attiviste per i diritti delle donne hanno riferito all’Afp di come lei abbia dato un “volto” ai delitti d’onore e i progressisti temono che la sua morte possa da un lato incoraggiare aspiranti assassini e dall’altro indurre altre donne indipendenti a pensarci due volte prima di uscire dai ranghi.
Dopo la sua morte, è stato scoperto che era lei a mantenere la sua famiglia, e non solo i suoi genitori, ma anche i suoi tanti fratelli e sorelle.
La fiamma di questa giovane donna ha brillato al massimo del suo splendore sui social network e, in mezzo agli insulti di quelli che le hanno sempre augurato del male, si distinguono anche dei bellissimi omaggi.
La regista e femminista di Karachi Fatema Shah ha deplorato su Facebook la condizione di paura e di dolore in cui vivono adesso molte donne: “Sir uthaye. Maar do. Ghar say jaye. Maar do. Dil dukhaye. Maar do. Samajh na aye. Maar do”.
“Se alza la testa, uccidetela. Se lascia casa sua, uccidetela. Se vi spezza il cuore, uccidetela. Se non la capite, uccidetela”.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
Questo articolo è stato pubblicato sul blog Making-of dell’Agence France-presse. Nel blog, giornalisti e fotoreporter raccontano il loro lavoro.
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