Questo articolo è stato pubblicato il 14 ottobre 2011 nel numero 919 di Internazionale.
Tempo fa tre detenuti delle carceri israeliane sono comparsi davanti alla commissione che concede la libertà condizionale. Tutti e tre avevano già scontato almeno due terzi della pena, ma la commissione ha concesso la libertà solo a uno di loro. Il primo detenuto si è presentato alle 8.50. Era un arabo israeliano condannato a due anni e mezzo per frode. Alle 15.10 è arrivato un ebreo israeliano che scontava un anno e quattro mesi per aggressione. Alle 16.25 è stato discusso il caso di un altro arabo israeliano condannato a due anni e mezzo per frode. C’era una logica nelle decisioni della commissione, ma non aveva niente a che fare con l’origine dei detenuti né con il reato commesso né con l’entità della pena. Era tutta una questione di orari. Lo ha scoperto un gruppo di ricercatori che ha analizzato più di 1.100 decisioni prese dalla commissione in un anno. Dopo aver esaminato le richieste dei detenuti ed essersi consultati tra loro, i giudici avevano concesso la libertà in circa un terzo dei casi. Ma le probabilità che lo facessero variavano a seconda dell’ora: i detenuti che comparivano davanti alla commissione di mattina ottenevano la libertà nel 70 per cento dei casi, quelli che comparivano di pomeriggio in meno del 10 per cento dei casi. La fortuna, quindi, aveva favorito il detenuto delle 8.50, mentre l’altro arabo israeliano, che scontava la stessa condanna per lo stesso reato ed era comparso davanti alla commissione alle 16.25, non era stato altrettanto fortunato. Gli era stata negata la libertà come al detenuto delle 15.10, che scontava una condanna più leggera. Il loro caso era stato semplicemente esaminato all’ora sbagliata.
Secondo uno studio realizzato da Jonathan Levav, dell’università di Stanford, e Shai Danziger, dell’università Ben Gurion, nella decisione dei giudici non c’era niente d’intenzionale o d’insolito. Gli autori della ricerca, presentata all’inizio del 2011, sostengono che un comportamento incostante è un rischio che corre chiunque debba prendere decisioni. I giudici erano stati logorati dalla fatica mentale accumulata dopo aver valutato un caso dopo l’altro. Questo tipo di affaticamento può far compiere scelte sbagliate ai giocatori di football nel finale di una partita o spingere i dirigenti di un’azienda a prendere decisioni disastrose a tarda sera. La fatica mentale distorce il giudizio di tutti, manager e operai, ricchi e poveri. Anzi, può essere particolarmente pericolosa per i più poveri. Eppure poche persone ne sono consapevoli, mentre i ricercatori cominciano solo ora a capire perché succede e come si possono limitare i danni. L’affaticamento da decisione ci aiuta a capire perché persone di solito sensate si arrabbiano con colleghi e familiari, spendono somme spropositate in vestiti o comprano alimenti scadenti al supermercato. Per quanto cerchiamo di essere razionali e distaccati, non possiamo prendere una decisione dietro l’altra senza pagarne il prezzo a livello biologico. È una fatica diversa da quella fisica: non siamo coscienti di essere stanchi, ma la nostra energia mentale diminuisce. Più scelte facciamo durante il giorno, più diventa difficile continuare a scegliere.
Evitare di scegliere può creare problemi successivamente, ma allenta la tensione
Alla fine il nostro cervello cerca una scorciatoia, solitamente di due tipi. La prima è l’avventatezza: agiamo impulsivamente invece di pensare alle conseguenze. L’altra è il modo migliore per risparmiare energia: non fare niente. Invece di angosciarci, non prendiamo nessuna decisione. Evitare di scegliere può creare dei problemi successivamente, ma sul momento allenta la tensione mentale. Resistiamo a qualsiasi cambiamento e a qualsiasi mossa potenzialmente rischiosa, come rilasciare un detenuto che potrebbe commettere di nuovo un reato. Perciò anche il giudice affaticato sceglie la soluzione più facile, e il detenuto resta in carcere.
L’affaticamento da decisione è l’ultima scoperta su un fenomeno che il sociopsicologo Roy F. Baumeister ha chiamato esaurimento dell’ego in omaggio a un’ipotesi freudiana. Sigmund Freud aveva ipotizzato che l’io, o ego, dipendesse dalle attività mentali che implicano un trasferimento di energia. Ma era rimasto nel vago sui dettagli. Anzi, alcuni erano sbagliati, come l’idea che gli artisti “sublimano” l’energia sessuale nel loro lavoro: in base a questo presupposto l’adulterio dovrebbe essere particolarmente raro nel mondo dell’arte. Il modello di energia dell’io di Freud è stato generalmente ignorato fino alla fine del novecento, quando Baumeister ha cominciato a fare degli esperimenti sulla disciplina mentale, prima alla Case Western e poi all’università della Florida. I suoi esperimenti hanno dimostrato che il cervello ha una quantità di energia limitata per esercitare l’autocontrollo.
Le persone coinvolte nei test resistevano alla tentazione di mangiare caramelle o biscotti al cioccolato appena sfornati, ma in seguito cedevano più facilmente ad altre tentazioni. Quando si sforzavano di restare impassibili vedendo un film commovente, poi dimostravano meno resistenza in un test di laboratorio che richiedeva autodisciplina, come risolvere un quesito di geometria o stringere un manubrio a molla. Si è scoperto che la forza di volontà non è solo un’idea popolare o una metafora, ma una forma di energia mentale che si può esaurire. Gli esperimenti hanno confermato l’ipotesi ottocentesca che la forza di volontà è come un muscolo che si affatica con l’uso e può essere conservata evitando le tentazioni. Per studiare l’esaurimento dell’ego, i ricercatori si erano concentrati inizialmente sulle azioni che richiedono autocontrollo, il tipo di autodisciplina solitamente associato alla forza di volontà. Per esempio, dovevano resistere davanti a una coppa di gelato. Non avevano preso in considerazione le decisioni di routine, come scegliere tra cioccolato e vaniglia, perché implicavano un processo mentale ritenuto diverso e meno faticoso. A livello intuitivo non sembrava che la scelta tra cioccolato e vaniglia richiedesse forza di volontà. Ma in seguito arrivò nel laboratorio di Baumeister la ricercatrice Jean Twenge, che aveva appena organizzato il suo matrimonio. Mentre studiava i risultati degli esperimenti sull’esaurimento dell’ego, Twenge si ricordò di quanto si era stancata la sera che lei e il suo fidanzato avevano fatto la lista di nozze. Volevano un servizio di piatti bianco o con qualche disegno? Quale marca di coltelli? Quanti asciugamani? Che tipo di lenzuola?
Quando siamo mentalmente esausti, scendiamo di meno a compromessi
“Alla fine avrebbero potuto convincermi a scegliere qualsiasi cosa”, aveva raccontato ai colleghi. Dato che quei sintomi erano sembrati familiari a tutti, avevano avuto un’idea. Un grande magazzino svendeva i suoi prodotti perché doveva chiudere i battenti. I ricercatori decisero di andare lì e comprare oggetti semplici ma abbastanza utili da piacere ai loro studenti. Quando tornarono in laboratorio, dissero che alla fine dell’esperimento ogni studente avrebbe potuto tenere un oggetto, ma prima avrebbe dovuto fare una serie di scelte. Meglio una penna o una candela? Una candela o una maglietta? Una maglietta nera o rossa? Nel frattempo il gruppo di controllo, formato da quelli che non dovevano decidere, doveva solo osservare gli stessi oggetti, esprimendo un parere su ognuno e dicendo con che frequenza l’aveva usato negli ultimi sei mesi.
In seguito tutti i partecipanti furono sottoposti a una classica prova di autocontrollo: lasciare una mano nell’acqua ghiacciata il più a lungo possibile. Quelli che nella prova precedente avevano dovuto fare delle scelte si arresero molto prima, resistendo solo 28 secondi. Gli altri resistettero in media 67 secondi. Evidentemente quelle scelte avevano indebolito la loro forza di volontà. Il dato fu confermato anche da altri esperimenti, durante i quali gli studenti avevano dovuto scegliere dei corsi nel programma del college.
Per verificare la loro teoria, i ricercatori fecero delle interviste in un centro commerciale, chiedendo ai clienti com’erano andati gli acquisti quel giorno. Poi gli chiesero di risolvere alcuni semplici problemi di aritmetica, aggiungendo che potevano smettere quando volevano. Com’era prevedibile, le persone che avevano preso più decisioni nei negozi si arresero prima. Quando si fanno spese fino allo sfinimento, vacilla anche la forza di volontà.
Qualsiasi decisione, sia quella di comprare un paio di pantaloni sia quella di scatenare una guerra, può essere riportata a quello che gli psicologi chiamano il modello Rubicone dell’azione, in onore del fiume che separava l’Italia dalla provincia romana della Gallia. Nel 49 aC Cesare raggiunse il Rubicone tornando dalla conquista della Gallia. Il condottiero romano sapeva che un generale non poteva portare le sue legioni al di là del fiume, perché sarebbe stata considerata un’invasione di Roma. Mentre aspettava dal lato del fiume che si trovava in Gallia, Cesare era ancora nella “fase predecisionale”, perché analizzava i rischi e i vantaggi di una guerra civile. Poi smise di fare calcoli e attraversò il Rubicone. A quel punto entrò nella fase “postdecisionale”, dicendo la famosa frase: “Il dado è tratto”.
L’intero processo avrebbe potuto esaurire la forza di volontà di chiunque, ma per scoprire qual era stata la fase più faticosa, Kathleen Vohs, un’ex collega di Baumeister che ora lavora all’università del Minnesota, ha condotto un esperimento con il sito della Dell Computers. Un gruppo di persone doveva studiare attentamente i pro e i contro di varie caratteristiche di alcuni computer, come il tipo di schermo o la capacità del disco rigido, senza fare una scelta definitiva. Un secondo gruppo aveva una lista di specifiche e doveva configurare un computer individuando passo per passo tutte le specifiche tra la miriade di opzioni possibili. Lo scopo di questa parte dell’esperimento era riprodurre quello che succede nella fase postdecisionale, quando si mettono in pratica le scelte fatte. Un terzo gruppo doveva scegliere le caratteristiche del computer: non doveva semplicemente valutare le possibili opzioni (come il primo gruppo) né applicare le scelte di altri (come il secondo), doveva lanciare il dado. E questo è stato il compito più difficile di tutti. Quando è stata misurata la capacità di autocontrollo, quelli del terzo gruppo erano di gran lunga i più stanchi.
L’esperimento ha dimostrato che attraversare il Rubicone è più difficile di qualsiasi cosa si possa fare sulle due sponde: sia stare dalla parte della Gallia esaminando le diverse opzioni sia marciare su Roma dopo aver attraversato il fiume. Di conseguenza, chiunque non abbia la forza di volontà di Cesare rischia di bloccarsi. A un giudice affaticato negare la libertà condizionale sembra la scelta più facile, non solo perché mantiene lo status quo ed elimina il rischio che il detenuto commetta altri reati, ma anche perché lascia aperte più possibilità: il giudice può concedergli la libertà in seguito, senza rinunciare all’opzione di tenerlo in prigione in quel momento. La parola decidere ha la stessa radice etimologica di omicidio: entrambe derivano dal latino cae-dere, che significa tagliare o uccidere, quindi perdere qualcosa. Questa perdita è molto importante quando interviene l’affaticamento da decisione.
Predatore e preda
Quando siamo mentalmente esausti, siamo più riluttanti a scendere a compromessi che richiedono una capacità di decidere particolarmente elaborata e faticosa. Nel resto del mondo animale il predatore e la preda non negoziano a lungo. Raggiungere un compromesso è una capacità umana complessa e quindi una delle prime a venir meno quando la forza di volontà è esaurita. A quel punto interviene quella che gli psicologi chiamano avarizia cognitiva e cerchiamo di risparmiare le nostre energie. Se stiamo facendo acquisti, tendiamo a considerare un solo aspetto, per esempio il prezzo: mi dia quello che costa meno. Oppure pensiamo alla qualità: voglio il meglio. L’affaticamento da decisione ci rende facili prede dei commercianti che sanno fare il loro mestiere, come ha dimostrato Jonathan Levav in alcuni esperimenti sugli abiti e le automobili.
L’idea alla base di questi esperimenti ricorre anche nei preparativi per un matrimonio, un rituale che dal punto di vista dell’affaticamento da decisione equivale a una settimana all’inferno. Spinto dalla sua fidanzata, Levav è andato da un sarto a farsi fare un vestito su misura e ha cominciato a esaminare elementi come il tessuto, il tipo di fodera, la forma dei bottoni, i risvolti, i polsini. “Quando sono arrivato al terzo campionario di tessuti, volevo morire”, ricorda Levav. “Non distinguevo più niente. Dopo un po’ ho cominciato a chiedere al sarto: ‘Lei cosa mi consiglia?’ Non ce la facevo più”. Alla fine Levav non si è fatto cucire nessun vestito (il fatto di dover spendere duemila dollari ha facilitato la sua decisione), ma ha usato quell’esperienza per condurre due esperimenti con Mark Heitmann, all’epoca ricercatore dell’università tedesca Christian Albrechts di Kiel, Andreas Herrmann, dell’università svizzera di San Gallo, e Sheena Iyengar, della Columbia university. In uno dei due esperimenti gli studenti svizzeri di un master dovevano ordinare un vestito su misura. Nell’altro i clienti di alcune concessionarie di automobili tedesche dovevano scegliere gli optional per la loro nuova macchina. I clienti, che erano veri e avrebbero pagato le scelte di tasca propria, dovevano scegliere tra quattro tipi di pomelli del cambio, tredici tipi di cerchioni, 25 configurazioni del motore e del cambio e 56 colori per la tappezzeria. Quando cominciavano a scegliere, i clienti esaminavano attentamente le varie possibilità, ma quando subentrava l’affaticamento da decisione, cominciavano ad accettare l’opzione di default. Inoltre, più le scelte iniziali erano difficili, come esaminare i 56 colori per la tappezzeria, prima si affaticavano. I ricercatori hanno scoperto che alla fine la differenza di prezzo tra le configurazioni scelte dai clienti era in media di 1.500 euro a macchina. Se un cliente decideva di spendere qualcosa di più per un tipo di cerchioni o per un motore più potente dipendeva dal momento in cui gli veniva sottoposta la scelta e da quanta forza di volontà gli era rimasta.
Un basso livello di autocontrollo è collegato a un basso reddito
Gli esperimenti con i vestiti su misura avevano prodotto risultati simili: quando cominciavano a essere affaticate, le persone accettavano i consigli dei commessi. Se dovevano affrontare le decisioni più difficili all’inizio – quelle con più scelte possibili, come i cento tipi di tessuti – si stancavano prima e dicevano di essersi divertiti di meno.
Comprare può essere particolarmente faticoso per chi non ha molti soldi e deve continuamente scendere a compromessi. La maggior parte degli statunitensi non sprecherebbe troppo tempo a chiedersi se si può permettere una saponetta, ma nelle campagne indiane questa decisione può essere molto faticosa. L’economista di Princeton Dean Spears ha offerto agli abitanti di venti villaggi del Rajasthan, uno stato dell’India nordoccidentale, la possibilità di comprare due saponette di una marca famosa per 20 centesimi. Era un forte sconto rispetto al prezzo normale, ma anche quella somma aveva messo in difficoltà gli abitanti dei dieci villaggi più poveri. Il fatto stesso di dover prendere una decisione logorava la loro forza di volontà, che in seguito veniva misurata vedendo per quanto tempo riuscivano a stringere un manubrio a molla. Nei villaggi un po’ più ricchi, questo calo della forza di volontà non si verificava. Dato che avevano più soldi, gli abitanti non dovevano sprecare troppe energie per decidere se comprare le saponette piuttosto che qualcosa da mangiare o un farmaco.
Spears e altri ricercatori sostengono che questo tipo di affaticamento da decisione è uno dei fattori chiave che mantengono le persone intrappolate nella povertà. Dato che la loro situazione finanziaria li costringe a fare molte scelte, i poveri hanno meno energie per studiare, lavorare e fare altre cose che potrebbero consentirgli di entrare nella classe media. È difficile sapere esattamente quanto sia importante questo fattore, ma non c’è dubbio che avere forza di volontà è un problema che nel caso dei poveri ha un significato particolarmente importante.
Molti studi hanno dimostrato che un basso livello di autocontrollo è collegato a un basso reddito e a una serie di altri problemi, tra cui il cattivo rendimento scolastico, il divorzio, la criminalità, l’alcolismo e la malattia. Negli Stati Uniti la mancanza di autocontrollo ha portato a parlare di “poveri immeritevoli”, simboleggiati dalla madre di famiglia che vive con il sussidio pubblico e usa i buoni alimentari per comprare cibo scadente. Ma Spears invita ad avere più comprensione per chi deve prendere decisioni tutto il giorno con pochi soldi. Nel corso di uno studio ha scoperto che quando un povero e un ricco vanno a fare la spesa, è più probabile che il povero mangi qualcosa lungo la strada. Questa potrebbe sembrare una conferma della sua debolezza di carattere: potrebbe risparmiare soldi e mangiare cibo più sano a casa invece di comprare uno di quegli snack che contribui-scono a far salire il tasso di obesità tra i poveri.
Ma andare al supermercato affatica più i poveri che i ricchi, perché ogni acquisto richiede un compromesso mentale. Quando arrivano alla cassa, avranno meno forza di volontà per resistere a una merendina o a una barretta di cioccolato. Non per niente questi si chiamano “acquisti d’impulso”. È una delle ragioni per cui gli snack si trovano vicino alla cassa, dove le persone arrivano esauste dopo le scelte fatte nei reparti. Con una forza di volontà ridotta è più probabile che cedano a qualsiasi tentazione, e soprattutto ai dolci, alle bibite e a qualsiasi cosa possa fornire una dose immediata di zuccheri.
I supermercati lo hanno capito da tempo, mentre gli scienziati ne hanno scoperto da poco il motivo grazie al risultato accidentale di un esperimento fallito. I ricercatori del laboratorio di Baumeister volevano verificare la teoria del martedì grasso, l’idea che si può aumentare la forza di volontà concedendosi qualche piacere, come fa chi festeggia il carnevale prima dei rigori della quaresima. Al posto della solita colazione gli chef del laboratorio dell’università della Florida avevano preparato un gustoso frullato per chi partecipava all’esperimento. I volontari facevano una pausa tra due attività di laboratorio che richiedevano forza di volontà. Senza dubbio il frullato aveva rafforzato la loro volontà aiutandoli a svolgere meglio il compito successivo. Ma l’esperimento prevedeva anche un gruppo di controllo formato da persone a cui era stato somministrato un bibitone insapore a basso contenuto di grassi. La bibita non era piaciuta a nessuno, ma aveva comunque fatto aumentare l’autocontrollo. Questo smentiva la teoria del martedì grasso. Oltre a non fornire più una buona scusa per scatenarsi nelle strade di New Orleans, il risultato era imbarazzante per i ricercatori. Matthew Gailliot, lo specializzando che dirigeva lo studio, lo aveva ammesso sottovoce.
Baumeister aveva cercato di essere ottimista. Forse l’esperimento non era fallito. Dopotutto, qualcosa era successo. Perfino il bibitone insapore aveva funzionato. Ma perché? Forse quello che contava non era il sapore ma le calorie. All’inizio l’idea gli era sembrata insensata. Gli psicologi studiavano da anni i risultati degli esercizi mentali senza preoccuparsi troppo del consumo di latte e derivati. Pensavano che la mente umana fosse una specie di computer e si erano concentrati sul modo in cui elaborava le informazioni. Nell’ansia di scoprire l’equivalente umano dei microcircuiti integrati, gli psicologi avevano dimenticato un aspetto fondamentale: una macchina ha bisogno di energia. Il cervello, come il resto del corpo, ricava energia dal glucosio, lo zucchero contenuto in tutti gli alimenti. Per stabilire il rapporto di causa ed effetto, i ricercatori del laboratorio di Baumeister hanno cercato di alimentare il cervello con una bibita a base di limone a cui veniva aggiunto dello zucchero o un dolcificante artificiale. La limonata con lo zucchero provocava una scarica di glucosio i cui effetti potevano essere verificati immediatamente in laboratorio. L’alternativa senza zucchero aveva più o meno lo stesso sapore, ma non provocava la scarica di glucosio. Ripetendo l’esperimento, hanno osservato che lo zucchero rafforzava la forza di volontà, mentre il dolcificante artificiale non produceva nessun effetto. Il glucosio riusciva a mitigare l’esaurimento dell’ego e a volte a bloccarlo completamente. Questo migliorava l’autocontrollo delle persone e la qualità delle loro decisioni: quando facevano una scelta resistevano ai loro pregiudizi irrazionali, e quando dovevano prendere decisioni economiche era più probabile che scegliessero una strategia a lungo termine invece di un vantaggio immediato. Questo effetto è stato verificato anche nei cani grazie a due studi condotti da Holly Miller e Nathan DeWall, dell’università del Kentucky. Dopo aver obbedito all’ordine di sedersi e rialzarsi per dieci minuti, gli animali mostravano meno autocontrollo e spesso prendevano la pericolosa decisione di invadere il territorio di un altro cane. Ma bastava una dose di glucosio per restituirgli la forza di volontà.
Donne a dieta
Nonostante questa serie di scoperte, i ricercatori avevano ancora delle riserve sulla funzione del glucosio. I più scettici sostenevano che l’uso complessivo dell’energia da parte del cervello resta più o meno lo stesso, indipendentemente da quello che una persona sta facendo. Questo contraddice l’ipotesi che l’esaurimento dell’energia influisca sulla forza di volontà. Uno degli scettici era Todd Heatherton, che all’inizio della sua carriera aveva lavorato con Baumeister e poi era finito a Dartmouth, dov’era diventato un pioniere della cosiddetta neuroscienza, lo studio dei rapporti tra processi mentali e comportamenti sociali. Heatherton credeva nella teoria dell’esaurimento dell’ego, ma non riusciva a capire come questo processo neuronale potesse essere provocato semplicemente dalle variazioni dei livelli di glucosio. Così Heatherton e i suoi colleghi hanno reclutato 45 donne che seguivano una dieta e hanno registrato le reazioni del loro cervello alle immagini di alcuni alimenti. Subito dopo le donne dovevano vedere un film comico e sforzarsi di non ridere, un metodo standard, anche se crudele, per prosciugare l’energia mentale e indurre l’esaurimento dell’ego.
Poi gli venivano mostrate di nuovo le immagini delle cose da mangiare, e le scansioni cerebrali rivelavano l’effetto dell’esaurimento: si notava una maggiore attività nel nucleus accumbens, la zona del cervello che registra le gratificazioni, e una corrispondente diminuzione dell’attività dell’amigdala, che contribuisce a controllare gli impulsi. L’attrazione per il cibo era più evidente quando il controllo degli impulsi era indebolito, una pessima combinazione per chi è a dieta. Ma se gli fosse stata somministrata una dose di glucosio, cosa avrebbero rivelato le scansioni cerebrali?
Le persone passano dalle tre alle quattro ore al giorno a resistere ai desideri
I risultati di questo esperimento sono stati resi noti a gennaio, durante il discorso con cui Heatherton ha accettato di presiedere la Society for personality and social psychology, l’associazione di sociopsicologi più grande del mondo. Nel suo intervento al convegno annuale di San Antonio, Heatherton ha rivelato che la somministrazione di glucosio inverte i cambiamenti provocati nel cervello dall’esaurimento dell’ego. Una scoperta, ha detto, che lo ha sorpreso molto. I risultati ottenuti non costituiscono solo un’ulteriore conferma del fatto che il glucosio è determinante per rafforzare la volontà, ma hanno anche contribuito a capire in che modo il glucosio può funzionare senza modificare l’uso complessivo di energia nel cervello. Sembra che l’esaurimento dell’ego aumenti l’attività in alcune aree cerebrali e la riduca in altre. Quando i livelli di glucosio sono bassi, il cervello non smette di lavorare, ma smette di fare alcune cose e comincia a farne altre. Risponde di più alle gratificazioni immediate e prende meno in considerazione le prospettive a lungo termine.
Queste scoperte sugli effetti del glucosio ci aiutano a capire perché seguire una dieta è una prova di autocontrollo particolarmente difficile. Perfino le persone con una forza di volontà eccezionale fanno fatica a perdere peso. Cominciano la giornata con le migliori intenzioni, resistono alla tentazione di far colazione con un cornetto o di mangiare il dolce a pranzo, ma ogni atto di resistenza indebolisce ulteriormente la loro forza di volontà. E alla fine della giornata devono reintegrarla. Ma per ritrovare l’energia devono dare al loro corpo un po’ di glucosio. Sono intrappolati in un circolo vizioso: chi è a dieta ha bisogno di forza di volontà per non mangiare ma, per avere questa forza di volontà, ha bisogno di mangiare.
Voglia di cioccolato
Quando ha consumato il glucosio, il corpo cerca un modo rapido per reintegrarlo, e quindi prova un forte desiderio di zuccheri. Dopo una prova di laboratorio che richiede autocontrollo, le persone tendono a mangiare più dolci, ma non altri tipi di snack, come le patatine. La sola prospettiva di dover esercitare l’autocontrollo ci fa desiderare qualcosa di dolce. Un effetto simile spiega perché molte donne hanno voglia di cioccolato e di altri dolci prima delle mestruazioni: il corpo sta cercando una rapida integrazione perché i loro livelli di glucosio sono fluttuanti. Una merendina o una bibita migliorano subito l’autocontrollo (è per questo che si usano spesso negli esperimenti), ma la soluzione è solo temporanea. È molto più utile la regolare assunzione del glucosio contenuto nelle proteine e in altri alimenti più nutrienti.
I vantaggi del glucosio sono stati confermati in modo chiaro dallo studio sulla commissione israeliana per la concessione della libertà condizionale. A metà mattinata, di solito prima delle 10.30, la commissione faceva una pausa e i giudici mangiavano un sandwich e della frutta. I detenuti che comparivano prima della pausa avevano circa il 20 per cento di probabilità di ottenere la libertà, mentre per quelli convocati dopo la pausa le chance erano intorno al 65 per cento. Le probabilità tornavano a diminuire nel corso della mattinata. Poco prima del pranzo scendevano al 10 per cento. Dopo pranzo risalivano al 60, ma solo per poco tempo. Ricordate il detenuto ricevuto alle 15.10 che non aveva ottenuto niente? Aveva avuto la sfortuna di essere il sesto caso esaminato dopo il pranzo. Un altro che scontava la stessa pena per lo stesso reato era stato ricevuto alle 13.27 – il suo era stato il primo caso discusso dopo la pausa – e aveva ottenuto la libertà. Avrà pensato che fosse un esempio del buon funzionamento della giustizia, ma probabilmente la decisione era dipesa solo dai livelli di glucosio del giudice.
È facile immaginare come si potrebbero evitare queste differenze, magari facendo lavorare i giudici solo mezza giornata, preferibilmente di mattina, con frequenti pause per riposarsi e mangiare qualcosa. Ma non è altrettanto facile risolvere il problema dell’affaticamento da decisione nel resto della società. Anche se tutti potessimo permetterci di lavorare solo mezza giornata, finiremmo comunque per esaurire la nostra forza di volontà, come hanno scoperto Baumeister e i suoi colleghi con un esperimento condotto a Würzburg, in Germania. Gli psicologi hanno dato un Blackberry a più di duecento persone, che hanno continuato a seguire la loro routine quotidiana per una settimana. I telefoni avrebbero squillato a intervalli irregolari, chiedendo alle persone di dire se in quel momento provavano un desiderio o se lo avevano provato poco prima. Con questo complicato studio Wilhelm Hofmann, che all’epoca lavorava all’università di Würzburg, ha raccolto diecimila risposte relative a diversi momenti della giornata.
E ha scoperto che provare desideri è la norma, non l’eccezione. Quando il telefono squillava, metà delle persone stava provando un desiderio – di mangiare, di riposarsi o di dire al proprio capo quello che pensavano veramente di lui – e un altro quarto diceva di aver provato un desiderio nella mezz’ora precedente. Molti di questi desideri erano quelli ai quali cercavano di resistere, e più esercitavano la loro forza di volontà più era probabile che cedessero alla tentazione successiva. Quando si presentava un altro desiderio che provocava un conflitto interiore del tipo “vorrei ma non dovrei”, se poco prima avevano già resistito a una tentazione, cedevano più facilmente.
Dai risultati dell’esperimento gli studiosi hanno dedotto che le persone passano dalle tre alle quattro ore al giorno a resistere ai desideri. In pratica, intervistando quattro o cinque persone in un momento qualsiasi della giornata, si scopriva che almeno una usava la sua forza di volontà per resistere a una tentazione. I desideri provati più spesso dai soggetti dell’esperimento erano quelli di mangiare e di dormire, seguiti dalla voglia di rilassarsi, smettere di lavorare per un momento e fare un cruciverba o un gioco. Subito dopo venivano i desideri sessuali, seguiti dal bisogno di altri tipi d’interazione, come la voglia di collegarsi a Facebook. Per resistere alle tentazioni, le persone usavano diverse strategie. La più comune era cercare di distrarsi o di cominciare una nuova attività, ma a volte avevano provato semplicemente a reprimere il desiderio. I risultati variavano. Le persone erano abbastanza brave a resistere al sonno, al desiderio sessuale e a quello di spendere soldi, ma non altrettanto brave a ignorare il richiamo della tv e di internet e più in generale la tentazione di rilassarsi invece di lavorare.
Una trentina di siti web
Non è possibile sapere quanto i nostri antenati esercitassero il loro autocontrollo prima dell’era dei Blackberry, ma è probabile che molti di loro soffrissero meno di esaurimento dell’ego. Quando c’erano meno decisioni da prendere, anche l’affaticamento era minore. Oggi ci sentiamo sopraffatti perché dobbiamo fare molte scelte. Il nostro corpo forse arriva al lavoro in orario, ma la nostra mente può evadere in qualsiasi momento.
Chi usa regolarmente il computer vede una trentina di siti web al giorno. Le continue decisioni che deve prendere lo affaticano: deve continuare a lavorare a un progetto, leggere gli ultimi gossip, guardare un video su YouTube o comprare qualcosa su Amazon? In dieci minuti di shopping on-line possiamo rovinarci per il resto dell’anno. L’effetto di tutte queste tentazioni e decisioni non è intuitivo. Nessuno si rende conto di quanto sia faticoso decidere. Ma le piccole e le grandi decisioni si accumulano. Scegliere cosa mangiare a colazione, dove andare in vacanza, chi assumere, quanto spendere sono tutte cose che consumano la nostra forza di volontà e non c’è nessun sintomo che ci rivela quando il suo livello si è abbassato. Non è come restare senza fiato durante una maratona. L’esaurimento dell’ego non si manifesta come una sensazione, ma come una propensione a vivere tutto con maggiore intensità. Quando i sistemi di regolazione del cervello sono indeboliti, le frustrazioni sono più irritanti del solito. L’impulso a mangiare, bere, spendere o dire stupidaggini è più forte (e l’alcol abbassa ulteriormente l’autocontrollo). Come i cani dell’esperimento, gli esseri umani rischiano di litigare inutilmente per il territorio. Nel prendere decisioni scelgono scorciatoie illogiche e tendono a preferire i vantaggi immediati. Come i giudici della commissione israeliana, sono inclini a prendere la decisione più facile e meno rischiosa anche se può danneggiare qualcun altro.
“La capacità di prendere decisioni non è un tratto del carattere, nel senso che è sempre lì”, dice Baumeister. I suoi studi dimostrano che le persone con più autocontrollo organizzano la loro vita in modo da conservare la forza di volontà. Non programmano riunioni interminabili, evitano i buffet dove si può mangiare di tutto, scelgono abitudini che eliminano la fatica di fare continue scelte. Invece di decidere ogni mattina se costringersi a fare ginnastica, prendono un appuntamento regolare con un amico per farlo insieme. Invece di contare sempre sulla forza di volontà, la conservano per le emergenze. “Perfino le persone più sagge non scelgono bene quando sono stanche”, dice Baumeister. Chi è davvero saggio non ristruttura la sua azienda alle quattro del mattino, non prende impegni importanti all’ora del cock-tail. E se deve decidere alla fine della giornata, sa che è meglio non farlo a stomaco vuoto.
“Chi prende le decisioni migliori”, conclude Baumeister, “è una persona che sa quando non può fidarsi di se stesso”.
(Traduzione di Bruna Tortorella)
Questo articolo è stato pubblicato il 14 ottobre 2011 nel numero 919 di Internazionale. L’originale era apparso sul New York Times Magazine.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it