Israele e gli Emirati Arabi Uniti erano come due amanti che si rincorrevano da tempo, ma non osavano mostrare in pubblico i loro sentimenti. Ora finalmente l’unione è stata ufficializzata. È più o meno questa l’impressione che ha dato il 13 agosto l’annuncio della normalizzazione dei rapporti diplomatici tra i due paesi da parte del loro principale intermediario, il presidente statunitense Donald Trump.
“Grande passo in avanti oggi! Accordo di pace storico tra i nostri due grandi amici, Israele ed Emirati Arabi Uniti”, si è compiaciuto Trump sul suo account Twitter, pubblicando contemporaneamente un comunicato stampa congiunto di Washington, Abu Dhabi e dello stato ebraico. “Questo storico passo avanti diplomatico farà progredire la pace nella regione del Medio Oriente e testimonia la diplomazia e la coraggiosa visione dei tre dirigenti”, si legge nel documento. Nel testo inoltre viene precisato che le delegazioni d’Israele e degli Emirati Arabi Uniti s’incontreranno nelle prossime settimane per firmare vari accordi bilaterali nei settori dell’investimento, della sicurezza, delle telecomunicazioni, della tecnologia e della cultura. L’accordo potrebbe inoltre facilitare l’accesso dei musulmani alla moschea di Al Aqsa nella città vecchia di Gerusalemme, permettendogli di raggiungere Tel Aviv direttamente da Abu Dhabi, hanno precisato i funzionari statunitensi citati dall’agenzia Reuters.
L’annuncio è stato poi confermato alcuni minuti dopo su Twitter da Mohamed bin Zayed, principe ereditario di Abu Dhabi e leader de facto degli Emirati Arabi Uniti. Bin Zayed ha dichiarato: “È stato concluso un accordo per mettere fine ai tentativi di annessione dei territori palestinesi da parte d’Israele”. Abu Dhabi sembra voler cercare di salvare capra e cavoli, per far tacere i detrattori che potrebbero accusarla di “tradire” la causa palestinese, storicamente centrale nella retorica araba.
Tempismo perfetto
Per Benjamin Netanyahu il tempismo sembra perfetto, visto che il premier è impantanato in problemi giudiziari ed è sempre più criticato da una parte della popolazione, non solo per le accuse di corruzione che pesano su di lui, ma anche per la sua gestione della pandemia di covid-19 e per il bilancio economico dello stato. “Il momento scelto può essere legato al fatto che Trump e Netanyahu hanno seri problemi nei loro paesi”, ha dichiarato Khaled Elgindy, direttore del programma per la Palestina e le questioni israelopalestinesi al Middle East institute. “Quale modo migliore di rilanciarsi, per questi due leader in difficoltà, di un grande passo avanti diplomatico?”, aggiunge.
Il 13 agosto il primo ministro israeliano ha parlato dell’avvento “di una nuova era nelle relazioni tra Israele e il mondo arabo”, ma ha contraddetto le affermazioni del principe ereditario di Abu Dhabi. Netanyahu ha insistito sul fatto che la normalizzazione dei rapporti diplomatici determinerebbe un rinvio del progetto d’annessione di una parte della Cisgiordania, non il suo abbandono. Il progetto era stato ufficializzato a gennaio a Washington, nel corso della presentazione del piano statunitense per il Medio Oriente, a cui erano presenti l’ambasciatore del Bahrein, quello del sultanato dell’Oman, e soprattutto quello degli Emirati Arabi Uniti, Youssef Al Otaiba. “Ho portato la pace, realizzerò l’annessione”, ha dichiarato il 13 agosto il primo ministro israeliano.
Hamas ha subito accusato Abu Dhabi di aver pugnalato alle spalle i palestinesi
L’accordo tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti spazza via l’iniziativa di pace presentata dal re dell’Arabia Saudita Abdullah al vertice della Lega araba nel 2002 a Beirut, in base alla quale i paesi della regione vincolavano la normalizzazione delle loro relazioni con Israele al ritiro totale di quest’ultima dai territori occupati, una soluzione accettabile sia per i palestinesi sia per la soluzione dei due stati. “È una sconfitta per i palestinesi che speravano che i paesi arabi non avrebbero normalizzato i loro rapporti con Israele prima di un accordo definitivo sulla creazione di uno stato palestinese”, osserva Elham Fakhro, ricercatrice specializzata nei paesi del golfo arabo presso l’International crisis group.
Il presidente dell’Autorità palestinese, Abu Mazen, ha convocato una “riunione d’urgenza” per stabilire quale linea tenere dopo questo annuncio. Hamas ha subito accusato Abu Dhabi di aver pugnalato alle spalle i palestinesi.
Il gioco di Trump
Gli Emirati Arabi Uniti sono diventati il terzo paese del mondo arabo a normalizzare i loro rapporti con Israele, più di quarant’anni dopo la firma del trattato di pace israeloegiziano nel 1979 e quasi 26 anni dopo l’ufficializzazione dei rapporti tra la Giordania e lo stato ebraico nel 1994. Il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi non ha tardato a salutare l’annuncio dell’accordo come una “tappa” verso la “realizzazione della pace in Medio Oriente”.
Se il tempismo dell’annuncio è sorprendente, è anche vero che s’inserisce nella continuità del riavvicinamento tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti, rafforzato dall’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca nel 2016. Nel giugno del 2019 la svolta è arrivata con la conferenza sulla guerra in Medio Oriente organizzata in Bahrein, durante la quale era stata presentata la parte economica del piano di pace statunitense, ribattezzato piano Kushner, con la significativa assenza dei palestinesi.
Perfino le serie televisive Oum Haroun e Makhraj 7, andate in onda tra aprile e maggio durante il mese di ramadan sul canale Mbc, sono state un segnale della volontà di preparare l’opinione pubblica a una possibile normalizzazione dei rapporti con Israele e hanno esplicitamente affrontato l’argomento dell’occupazione, oltre a quello della presenza degli ebrei nel golfo arabo, provocando proteste nella regione.
Questa serie di eventi fa il gioco di Donald Trump. “Ora potrà sostenere che la sua politica estera nella regione ha avuto successo”, sostiene Giorgio Cafiero, direttore della Gulf state analytics, una società di consulenza geopolitica con sede a Washington. “In questo senso la decisione di Abu Dhabi servirà a rafforzare Trump nell’arena politica statunitense in un periodo difficile, con le imminenti elezioni e la crisi del covid-19”, aggiunge. Secondo alcune fonti statunitensi citate dalla Reuters il consigliere e genero di Donald Trump, Jared Kushner, e l’ambasciatore degli Stati Uniti in Israele, David Friedman, sono stati molto coinvolti nei negoziati che hanno portato all’accordo.
L’importanza di questo annuncio sarà legata alla capacità o meno di generare un effetto domino nel golfo arabo. “Non è chiaro se i paesi del golfo seguiranno subito la strada tracciata. L’Arabia Saudita ha intensificato i suoi rapporti con Israele nel settore dell’intelligence e della cooperazione diplomatica dietro le quinte, nel quadro della sua più ampia strategia di risposta all’Iran”, fa notare Elham Fakhro. “È improbabile che i sauditi seguano l’esempio degli Emirati Arabi, perlomeno non senza qualche concessione più concreta d’Israele a favore dei palestinesi”, aggiunge Khaled Elgindy.
“Prevedo che il regno del Bahrein e il Sudan saranno i primi a seguire l’esempio di Abu Dhabi sulla normalizzazione delle relazioni diplomatiche con Tel Aviv”, dice Giorgio Cafiero. La sera del 13 agosto il Bahrein ha accolto con favore la decisione di normalizzare i rapporti tra lo stato ebraico e Abu Dhabi.
La normalizzazione delle relazioni tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti però potrebbe dare nuova spinta anche all’autoproclamato “asse della resistenza” guidato dall’Iran, che sta subendo gravi sconfitte nella regione. L’accordo potrebbe rafforzare la retorica di Teheran, che presenta la Repubblica islamica e i suoi alleati come gli unici che non chinano il capo di fronte a Israele.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano libanese L’Orient-Le Jour.
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