Sabato scorso a Seoul si è tenuta una grande manifestazione per chiedere al governo un’azione concreta contro i crimini sessuali digitali, un fenomeno che in Corea del Sud ha ormai assunto le dimensioni di un’epidemia. Non è decisamente un paese per donne (quindi nemmeno per uomini, verrebbe da dire) quello in cui esistono fenomeni estremi come il movimento dei sedicenti antifemministi – con un sito dedicato, Ilbe.com, che registra venti milioni di visite al mese in una nazione di 52 milioni di abitanti – o come quello chiamato 4Bi (bi in coreano significa no), in cui militano donne esasperate dalla misoginia in cui sono cresciute che rifiutano le convenzioni sociali che le riguardano: il matrimonio, la maternità, il sesso etero e frequentazioni potenzialmente romantiche con maschi.

Un paese che nel primo decennio del duemila era già stato scosso dal fenomeno delle molka, le microcamere nascoste posizionate nei bagni e negli spogliatoi femminili per catturare immagini da vendere e far circolare online, e che oggi deve fare i conti con un nuovo scandalo reso possibile da leggi sui crimini sessuali digitali troppo lasche.

Alla fine di agosto la polizia sudcoreana ha fatto sapere che stava indagando su 513 casi di pornografia deepfake, generata con l’uso dell’intelligenza artificiale sovrapponendo i volti di donne e ragazze reali a corpi finti senza il loro permesso e fatte circolare e vendute su Telegram. Si tratta di un aumento del 70 per cento in quaranta giorni. La maggior parte delle vittime sono adolescenti e giovani donne, e gran parte dei creatori, distributori e fruitori di questo materiale sono minorenni. Sono dati che lasciano sbigottiti e che hanno riportato alla mente il caso Nth room, che qualche anno fa riguardò video sessualmente espliciti estorti alle vittime con il ricatto e fatti circolare tramite Telegram. Da allora le autorità sudcoreane non si sono dotate di leggi adeguate contro questi crimini e le donne continuano a pagarne le conseguenze.

Una delle chatroom dell’app di messaggistica in cui sono state generate e distribuite le immagini porno contava 220mila membri. Un’altra più di 400mila. “Dalle compagne di classe alle medie alle commilitone nell’esercito, nessuna era al sicuro”, scrive Haeryun Kang, giornalista e filmmaker, spiegando che in molti casi le immagini contraffatte ritraevano donne o ragazze conosciute personalmente da chi le creava. Si parla di vittime in più di duecento scuole in tutto il paese, dalle medie alle università. E su sette uomini arrestati finora, sei sono adolescenti. “Il numero impressionante di membri di un canale Telegram che permette di ottenere immagini sessualmente esplicite di qualcuna che conoscono in cinque secondi semplicemente mandando una foto e pagando dimostra che il problema va al di là dei singoli individui coinvolti”, scrive in un comunicato l’organizzazione coreana per i diritti delle donne Womenlink.

Evidentemente non è solo una questione di leggi inadeguate ma, anche se per il presidente Yoon Suk-yeol nella società sudcoreana “non esiste un sessismo sistemico”, il problema è prima di tutto culturale. E la politica non aiuta. Per Lee In-seon, deputata del Partito del potere popolare di Yoon e presidente della commissione parlamentare sull’uguaglianza di genere e la famiglia, “i crimini sessuali sono questioni personali e non hanno nulla a che fare con la misoginia o la misandria”. Lee esprime un pensiero diffuso tra gli esponenti della maggioranza, a cominciare dallo stesso presidente, e questo spiega come mai a livello istituzionale non c’è ancora stata una risposta adeguata alla gravità e all’estensione del problema.

C’è poi un altro elemento che secondo Lee Soo-jung, docente di psicologia forense all’Università Kyonggi, spiega come mai il fenomeno in Corea del Sud ha assunto proporzioni simili più che in altri paesi, dove pure gli adolescenti ci sono così come l’accesso alla tecnologia per produrre deepfake. Lee dice che le nozioni di programmazione informatica avanzata insegnate ai sudcoreani fin dalle scuole elementari si limitano agli aspetti tecnici e non sono accompagnate da nessun tipo di prevenzione degli usi peggiori che se ne possono fare.

#2024NotYourPorn è uno degli hashtag della protesta, usato anche per una campagna lanciata su X per denunciare la censura di alcuni account femministi da parte del social network di Elon Musk. Sull’ex Twitter, infatti, alcune attiviste che segnalano gli screenshot di post di incel (involuntary celibate, i single non per scelta e per questo pieni d’odio per le donne) che minacciano le manifestanti di fotografarle e creare dei deepfake pornografici. “Bloccare gli account femministi equivale a reprimere le voci delle donne”, si legge in un messaggio in inglese che circola su X. I gruppi femministi parlano di “emergenza nazionale” e pongono una domanda: “può una società in cui la sicurezza di tanti suoi membri è minacciata quotidianamente, che tollera e incoraggia gli insulti e le denigrazioni delle cittadine, continuare a esistere? E, soprattutto, dovrebbe continuare a esistere?”.

Questo testo è tratto dalla newsletter In Asia.

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