Cappellaio Matto: Prendi più tè.

Alice: Non ho ancora preso niente, non posso prenderne di più.

Lepre Marzolina: Vuoi dire non puoi prenderne di meno.

Cappellaio Matto: Sì. È facile prendere più di niente.

Ma sapete, il Paese delle milizie è diverso dal Paese delle meraviglie: noi libici abbiamo dimostrato che possiamo prendere meno del niente che avevamo prima!

Un’altra cosa comune nel Paese delle milizie è il caos, e ovunque ci sia caos c’è pareidolia, il tentativo di porvi un ordine, una tendenza talmente congenita ai nostri cervelli da indurci a osservare e riconoscere schemi inesistenti. La situazione qui è talmente confusa che qualsiasi tentativo di analizzarla o descriverla oggettivamente è impossibile: non avrebbe alcun senso. Tuttavia non possiamo ignorare alcuni schemi che si ripetono in rapida successione. Dopo tutto, non posso fare a meno di provare a dare un senso alle cose.

Tripoli è piena di storie, ultimamente molto strane, storie che sono rimasti in pochi a raccontare. Come quella secondo cui l’unica cosa sulla quale tutte le fazioni libiche si sono trovate d’accordo fin qui è proseguire la caccia alle streghe contro i giornalisti e gli attivisti.

Il tweet dell’ambasciatore

Il 29 luglio c’è stata una manifestazione contro il governo Sarraj nella piazza dei Martiri. Alcuni giornalisti sono stati portati via, ma tutti sono stati liberati dopo qualche ora di detenzione. Tutti tranne il mio amico Salim Alshabel, che l’8 agosto ha festeggiato il suo ventiquattresimo compleanno in cella. Videomaker e fotografo di grande talento e coraggio, lavora con il canale televisivo Libya Hd e stava raccontando la protesta quando le milizie lo hanno preso.

Per circa quattro giorni nessuno ha saputo dove si trovasse e io temevo che il suo sarebbe diventato un altro caso di persona rapita e mai più ritrovata, o ritrovata solo dopo molto tempo (il che è anche peggio). Abbiamo avuto sue notizie solo quando Kobler e l’ambasciatore britannico in Libia hanno twittato su di lui, chiedendo che fosse rilasciato incolume.

Solo allora il ministero dell’interno ha rilasciato una dichiarazione in cui spiegava che il giornalista era stato arrestato (con l’accusa di ubriachezza!) e non rapito. Lo accusano inoltre di aver utilizzato un drone senza permesso. Nelle dichiarazioni non si è accennato affatto ai motivi per cui hanno “arrestato” gli altri giornalisti, forse perché nessun personaggio importante ha twittato su di loro.

Salim Alshabel. (Khalifa Abo Kraisse)

Salim ha già vissuto momenti simili. L’ultima volta gli hanno preso la macchina fotografica e le attrezzature prima di liberarlo. Questo però non l’ha fermato: ha continuato a riprendere e a intervistare persone, osando andare in luoghi che molti di noi evitavano. È stato il primo e unico cameraman a incontrare i membri del governo Sarraj al loro arrivo a Tripoli, quando farlo era molto pericoloso, e ha mandato in onda quel primo video.

Mentre le nostre autorità erano impegnate a dare la caccia ai giornalisti e ad “arrestarli”, nella stessa settimana i corpi di 21 migranti morti nel tentativo di attraversare il Mediterraneo sono stati risospinti verso riva a Maya, un’area a ovest di Tripoli. Gli abitanti di Maya hanno chiesto più volte aiuto, ma i cadaveri sono rimasti lì a decomporsi per tre giorni, finché le persone non si sono organizzate da sole. Con l’aiuto della Mezzaluna rossa hanno recuperato i corpi, hanno prelevato dei campioni e li hanno seppelliti da soli. Le autorità non hanno mai risposto, neppure con una dichiarazione ufficiale, forse perché l’ambasciatore britannico non ha twittato su questa vicenda mentre faceva colazione in uno dei bar di Tripoli quella stessa settimana.

Haitham Tajouri è un famigerato comandante di milizia e capitano della polizia, ed è schierato contro tutti

Domenica scorsa Tripoli si è risvegliata piena di manifesti affissi per strada su cui si vedeva una foto del mufti con sopra un segnale di divieto e il messaggio: “Basta con la Fratellanza musulmana, basta bagni di sangue”. Io mi trovavo nell’ufficio del mio amico – lavoriamo di domenica – situato al centro di Tripoli, non lontano dall’ambasciata italiana. Avevo la sensazione che la giornata fosse leggera e abbastanza tranquilla quando il suo collega è arrivato di corsa, pallido e tremante.

Ho pensato che magari quello fosse il suo aspetto abituale, visto che non lo conoscevo, ma ho avuto conferma del fatto che fosse sotto shock quando ha cominciato a raccontarci che c’era mancato poco che gli sparassero. Veniva da Al Fornaj quando si è ritrovato in mezzo a pesanti scontri, spari e tante, tante auto. Non sapeva chi stesse attaccando chi e perché. Molte persone stavano accovacciate nelle loro auto cercando di allontanarsi dagli spari.

Abbiamo fatto qualche telefonata e controllato Facebook (qui se andate in strada e date un pugno in faccia al primo che vi capita, prima che cada per terra, controllate sul vostro smartphone e… tre, due, uno, leggerete: “Uomo arrabbiato prende a pugni un altro uomo nella zona est di Tripoli”). Abbiamo scoperto che la cosiddetta brigata dei ribelli di Tripoli aveva attaccato l’edificio Sgraziato libico (si chiama davvero così) ed era riuscita a scacciarne la brigata che lo controllava, licenziando tutti i dipendenti che ci lavoravano e intimandogli di non farsi più vedere.

Gli aggressori erano guidati da Haitham Tajouri, a capo della stessa milizia che aveva assunto il controllo della sede del ministero della salute il 6 agosto scorso dopo essersi scontrata con la brigata responsabile della sicurezza di quell’edificio.

Il politico in pigiama

Chi è Haitham Tajouri? È un famigerato comandante di una milizia e un ufficiale di polizia con il grado di capitano. La sua è diventata una delle milizie più forti di Tripoli. Era stato già coinvolto in alcuni scontri ed è schierato contro tutti: Haftar, il gruppo dei Combattenti libici, le milizie di altre città che controllano Tripoli e la Fratellanza musulmana.

Nel 2013 ha annunciato di voler entrare nella polizia per guidare la Libia nella direzione giusta ed è stato promosso al grado di capitano. L’ambasciatore statunitense aveva twittato la notizia in questi termini: “Congratulazioni al capitano Haitham Tajouri che è entrato nelle forze di sicurezza dello stato della #Libia. 18:13, 11 dicembre 2013”.

Ritengo di essermi guadagnato il diritto di prendermi gioco della nostra situazione

Lo conosciamo anche per un altro incidente. In un video lasciato trapelare si vede Tajouri mentre interroga Nuri Ali Abu Sahmain, l’ex presidente del congresso generale nazionale (Gnc) sotto custodia, in modo piuttosto umiliante, dato che il politico appare in pigiama (piuttosto brutto). L’episodio è collegato a uno scandalo che coinvolge Nuri e la sua assistente, sorpresi in una situazione inappropriata. Nel video Nuri offre spiegazioni e risponde a diverse domande sul suo coinvolgimento in questo e in un altro caso. Poi dice ad Haitham questa frase famosa, diventata uno dei più diffusi meme in Libia: “Haitham, tu mi conosci, a te non nascondo niente”. Non so se vale la pena menzionare il fatto che anni dopo il presidente del Gnc ha appoggiato con forza una proposta di legge che prevedeva la fustigazione e la lapidazione degli adulteri!

Immagino la reazione di alcuni amici che, per qualche ragione, continuano a chiedermi: “Che ne pensi? Qual è la soluzione?”. Il mio sarcasmo tende sempre a mettersi in mezzo e molti non lo apprezzano, ma io ritengo di essermi guadagnato il diritto di prendermi gioco della nostra situazione. Consideratemi un esperto libico di cosa non fare: posso dirvi cosa non funzionerà e perché.

Tuttavia, tanto per cambiare ho due suggerimenti. Il primo, che si ispira ai Viaggi di Gulliver, riguarda la situazione nel suo complesso. C’è un tizio che aveva una teoria straordinaria in base alla quale se le divisioni all’interno di un partito politico si fanno troppo gravi, dovremmo prendere cento persone di ogni partito politico e dividere i loro cervelli e poi mettere in ogni cranio metà cervello conservatore e metà liberale. Poi potranno vedersela tra loro. Be’, per far funzionare quest’idea, qui dovremmo dividere i cervelli in almeno tre o quattro parti, forse anche di più, e poi rimetterli assieme.

Per quando riguarda il mio amico, tutto quello che posso fare per il momento è usare l’hashtag الحرية_لسليم_الشبل# (#SalimAlshabellibero) e sperare che qualcuno twitti su di me quando verrà il mio momento.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Il giornalista Salim Alshabel è stato rilasciato il 17 agosto.

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